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AVEVA DEI PRECEDENTI L’ALBANESE

Ilir Beti, l’impresario edile albanese di 35 anni residente ad Alessandria, responsabile del disastro stradale che si è verificato sabato scorso vicino a Rocca Grimalda sulla A26, aveva già avuto una condanna per guida in stato di ebbrezza, ed era stato protagonista di un’aggressione a un automobilista, al quale aveva puntato un cacciavite alla gola
Alessandria – È finita come doveva finire con Ilir Beti, l’impresario edile albanese residente ad Alessandria che ha seminato il terrore tra Alessandria e Genova è dunque finito in carcere. Lo volevano i parenti delle vittime e buona parte dell’opinione pubblica, ma a determinare la svolta sono stati determinanti l’evoluzione del quadro probatorio con le nuove testimonianze, la ricostruzione del folle viaggio in contromano sull’autostrada, e il profilo della personalità di Beti. E, infine, il rischio di fuga, reiterazione del reato, inquinamento delle prove. Tutto il contrario di quanto avevano fatto sapere dalla Procura della Repubblica solo due giorni fa. Michele Di Lecce, capo della procura di Alessandria, aveva ripetuto ai media: “Capisco l’indignazione ma il codice non lo prevede (l’arresto, n.d.r.)”.Di Lecce spiegava che il carcere preventivo è previsto solo nei casi in cui si verifichi anche l’omissione di soccorso. E a chi gli chiedeva se era ancora possibile la custodia cautelare per Beti, diceva: “Direi proprio di no. Intanto è trascorsa la flagranza del reato, ma soprattutto la limitazione della libertà personale prima della sentenza definitiva, è prevista dal codice solo se intervengono tre motivi specifici: il pericolo di fuga, il rischio di reiterazione del reato o la possibilità di inquinare le prove, che non sussistono”. Ma la situazione è cambiata repentinamente grazie alle pressioni dell’opinione pubblica ed alla indignazione degli stessi ministri Maroni e Palma: “Io e Palma – ha detto Maroni alla tradizionale conferenza stampa di Ferragosto – siamo d’accordo per portare presto in Consiglio dei ministri l’introduzione del reato specifico di omicidio stradale. Riteniamo sia utile distinguere l’omicidio colposo da chi, guidando ubriaco o drogato, causa incidenti mortali”. Dopo quello che è accaduto sull’A26, ha aggiunto da parte sua Palma, “crediamo che l’introduzione del reato sia una necessità. La nuova fattispecie non deve consentire un abbassamento della pena e deve permettere la possibilità dell’arresto in flagranza differita come avviene per la violenza negli stadi”. Che cosa è cambiato rispetto a sabato notte? Sono state messe agli atti nuove testimonianze e s’è scoperto che a Beti nel 2006 era rimasto per un mese senza patente, ritirata per guida in stato di ebbrezza. E che fra i precedenti dell’imprenditore albanese c’è un’aggressione a un automobilista, minacciato con un cacciavite puntato alla gola. Come è stato sintetizzato dai dirigenti della Questura di Alessandria, l’arresto di Beti è il risultato dell’evolversi del quadro probatorio e della ricostruzione di un “carattere propenso a delinquere”. A testimoniare contro l’albanese sono i 13 automobilisti che, dopo essere riusciti a schivare il Suv, hanno suonato clacson e lampeggiato, cercando disperatamente di fermare il bolide in contromano. Nell’ordinanza Beti viene descritto come “soggetto irascibile e violento soprattutto quando si pone alla guida di veicoli a motore”. Ma uno dei legali che lo assistono, Giancarlo Triggiani, contesta l’ipotesi di omicidio volontario: “Mi sembra – dice – una costruzione un pò ardua da sostenere”. Nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Stefano Moltrasio, a sottolineare la cosciente premeditazione del reato da parte del Beti, e quindi la sua responsabilità che giustifica l’incriminazione per omicidio volontario e non colposo, viene fatto osservare che il grado di ubriachezza di Beti non era tale da potere ritenere “grandemente compromesse” le “capacità intellettive e valutative”. Inoltre, sapendo di guidare una della auto più sicure e possenti, “un tremendo bisonte stradale”, Beti sapeva che al rischio fatto correre agli altri non corrispondeva serio pericolo nè per lui, nè per l’amica russa che dormiva sui sedili posteriori. Beti, inoltre, aveva già avuto una condanna per guida in stato di ebbrezza, ed era stato protagonista di un’aggressione a un automobilista, al quale aveva puntato un cacciavite alla gola. Infine, prima di provocare il tremendo incidente e quando ancora guidava nella giusta direzione, aveva litigato con un altro automobilista, costringendolo a fermarsi dopo “avergli tagliato ripetutamente la strada”. Ora è finito dentro e per un po’ non lo vedremo al volante di un’auto.

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