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L’ALLEGRA FINANZA DEI COMUNI

Stiamo bassi, perché il tema è delicato e spiacevole: ma i numeri sono numeri, e portano a calcolare che la finanza-ombra di comuni e province vale almeno un miliardo all’anno. Ad alimentarlo sono tre «D» maledette, che contaminano i conti di un numero crescente di enti locali, anche al nord: debiti fuori bilancio, disavanzo, dissesto. Il fenomeno più esplosivo è il primo: nasce come uno strumento eccezionale, da applicare quando una “sorpresa” (per esempio una sentenza che condanna il comune per un esproprio sbagliato) crea un pagamento che va onorato, anche se le risorse ordinarie dell’ente non lo permetterebbero. Si crea così un buco, che la legge chiede di ripianare entro i due anni successivi. «Il fenomeno dei debiti fuori bilancio – scrive con il suo linguaggio ovattato la Corte dei conti nella sua ultima relazione sui bilanci di sindaci e presidenti di provincia – da indizio di patologia nella gestione del bilancio sembra rientrare ormai nella fisiologia, data la rilevanza degli importi riconosciuti e del numero degli enti coinvolti». L’anno scorso buchi piccoli e grandi si sono aperti in 1.550 comuni, per un totale di 632,2 milioni di euro. A un primo sguardo il censimento della magistratura contabile segnala una dinamica stabile, con «solo» un aumento dell’1,5% sul 2008, ma basta un’occhiata un po’ più attenta per cambiare idea: di solito al censimento rispondevano fra i 7.500 e gli 8mila comuni, nel 2009 l’appello si è fermato a quota 6.519. Difficile credere al miracolo di un’estinzione generalizzata, perché nel frattempo gli importi medi continuano a crescere. Fatta la tara delle mancate risposte, l’evoluzione porterebbe i debiti fuori bilancio a 755 milioni, con un aumento del 21,8% sul 2008 e addirittura del 45,7% rispetto a due anni fa.
Insomma: è vero che il comparto nel suo complesso ha superato gli obiettivi del patto e migliorato i propri conti, ma sempre più spesso si aprono crepe che i dati complessivi non riescono a vedere. I conti locali possono diventare critici anche quando non interviene un buco inaspettato. Basta, semplicemente, che le spese fisse corrano più delle entrate, e il gioco è fatto. Una prima stima del fenomeno arriva sempre dalla Corte dei conti, che nel 2008 (dati definitivi) ha contato 82 comuni in rosso per un disavanzo complessivo da 158,5 milioni. Anche questo terreno, però, è più accidentato di quanto sembra. Il principio del “buon padre di famiglia” imporrebbe di finanziare le spese fisse solo con entrate altrettanto stabili, ma la legge è meno tranchant e permette di fare ricorso a una serie di entrate straordinarie, a partire dagli oneri di urbanizzazione. Senza la deroga, l’equilibrio apparente salterebbe in moltissimi comuni, anche nelle regioni più ricche. Qualche esempio? Alessandria pareggia il preventivo 2010 grazie a 9 milioni extra, a Reggio Emilia la stampella è da 7 milioni, a Parma addirittura di 24, e copre l’11,5% delle spese correnti. Ora il governo vorrebbe ora stoppare il ricorso alle entrate extra per finanziare le spese ordinarie, e i sindaci lottano per strappare un’altra deroga. I numeri appena citati spiegano il perché. A completare i conti della finanza-ombra ci sono i dissesti, diventati sempre più rari da quando alzare bandiera bianca non fa più partire l’assegno statale. Lo stato, però, sta ancora pagando i mutui legati ai vecchi default, una partita da circa 110 milioni all’anno. E il miliardo è bell’e raggiunto.

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