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TUTTE LE COMMEMORAZIONI HANNO SENSO SE ONORANO LA VERITÀ

Quando uno scienziato diventa uno storico (a.g.)

da Giorgio Prinzi, ROMA
Cara Alessandria Oggi,
in primo luogo non posso che ringraziarVi per l’attenzione e lo spazio che ci dedicate come CIRN, Comitato Italiano per il Rilancio del Nucleare, anche se ora non mi accingo a scrivere su questa materia, ma su un altro argomento di attualità. Ho una diversa prospettiva di giudizio su quelle che Voi chiamate “celebrazioni delle sconfitte”, che in altra ottica vengono invece viste come momenti del riscatto, del ritrovato orgoglio, dell’impegno rinnovato.
Sono reduce in prima persona da due “celebrazioni di sconfitte”, quella dell’armistizio dell’8 settembre 1943 e quella del giorno successivo, venerdì 9, per il decimo anniversario dell’attentato dell’11 settembre 2001. Come si vede è prassi, se i protagonisti non sono vip, spostare le ricorrenze, non al primo festivo, come proposto in finanziaria, ma all’ultimo feriale utile. Il motivo è sempre il risparmio, nello specifico sullo straordinario festivo dei dipendenti comunali.
Cominciamo dalla ricorrenza dell’armistizio. Come ogni cosa il fascismo ebbe aspetti positivi e aspetti negativi. Sino al 1938 quelli positivi prevalsero decisamente su quelli negativi, altrimenti non si spiegherebbe l’ampio consenso anche tra il proletariato “bolscevico” per arginare la crescita del quale sorse e si affermò il fascismo. Altra componente di cui impedire lo sviluppo era quella che con un temine odierno potremmo definire l’apparato militare industriale, che prese forma con lo sforzo bellico nel corso della prima guerra mondiale e che dalla classe dirigente all’epoca al potere veniva considerato come fattore di sovversione più pericoloso dello stesso insorgente socialismo. Di questo aspetto si parla poco, perché anche l’Italia repubblicana ha avuto e mantiene tuttora una preconcetta avversione verso questa componente, che nel dopoguerra non ha mai avuto modo di sorgere come soggetto protagonista.
Dopo le leggi razziali, che toccarono profondamente la coscienza nazionale, il grave errore della maggioranza della classe dirigente del tempo fu quello di ritenere il coinvolgimento dell’Italia nel conflitto come una irripetibile opportunità politica contingente e fugace da cogliere al volo. Non mancarono all’interno del regime le voci dissenzienti, quale quella timida di Galeazzo Ciano e quella forte e decisa di Rodolfo Graziani, un “insospettabile”, che affrontò Mussolini in un drammatico confronto, tanto da divenire oggetto di un progetto di missione punitiva, poi mai messo in atto. Graziani non eseguì l’ordine di attaccare sino a quando il perseverare in questo atteggiamento non divenne inutile a seguito del bombardamento di Londra, tragico anche per la nostra aeronautica che subì gravi perdite, al quale il “duce” aveva con insistenza chiesto l’onore di potere partecipare.
Nel 1943 l’Italia era allo stremo, il fronte interno del tutto collassato e nell’ambito delle Forze armate riprendeva vigore la componente che si rifaceva alla tradizione risorgimentale, fortemente antitedesca e che mirava ad un cambio di fronte. La tesi è recente, ma è sviluppata in un volume che ho firmato a quattro mani con lo storico Massimo Coltrinari; l’8 settembre 1943 non doveva esserci alcun armistizio (questo spiega la mancanza di ordini e di predisposizioni al riguardo), ma una controffensiva pianificata dalla componente filogermanica del vertice politico militare, con l’ambiguo assenso del sovrano, che decise di lasciare Roma solo a seguito della presa visione dei piani di “Giant Two”, che prevedevano un’operazione di aviosbarco con aperto appoggio delle truppe italiane, che ne avrebbero assunto la responsabilità (il comando a terra), in luogo del più volte e con insistenza richiesto sbarco tradizionale alle foci del Tevere, per opporsi al quale esistevano predisposizioni ancor oggi visibili. Sarebbe stato un fallimento, una trappola per gli Alleati. La reale destinazione della “fuga da Roma” era Chieti, dove dal 4 di settembre aveva cominciato a costituirsi un alto comando tedesco, poi rimasto operativo sino al superamento del fronte, e dove effettivamente ebbero inizio le operazioni di acquartieramento di lungo periodo dei Comandi italiani. Nella cittadina abruzzese erano stati fatti affluire per l’esigenza diecimila appartenenti alla disciolta Milizia.
A Roma nel frattempo il generale Giacomo Carboni, Responsabile della sua difesa e Commissario straordinario dei servizi segreti, consegnava delle armi ad elementi sovversivi, circostanza confermata da Antonello Trombadori, che aveva trattato la cessione. Tra i luoghi di custodia il Museo dei Bersaglieri a Porta Pia, il cui consegnatario nutriva simpatie “bolsceviche”. Chi volesse approfondire la questione può scaricare molte informazioni dalla pagina web http://www.secondorisorgimento.it/associazione/manifestazioni/ottosettembre/8s2006.htm. Doveva esserci una sommossa che avrebbe coinvolto civili e militari probabilmente per giustificare una dura repressione dopo avere rigettato il tentativo di sbarco che i vertici italiani ritenevano in grande stile, con l’impiego di 15 divisioni su più teste di ponte e con il grosso a Nord di Roma.
Cosa non funzionò? Il fronte interno era crollato e la componente risorgimentale delle forze armate che vedeva il nemico nel tedesco non era formata solo da sparute frange sovversive. All’annunzio dell’armistizio, interi reparti presero le armi contro quello che sino a poche ora prima era stato l’alleato; intorno a Roma la Divisione “Ariete” al comando del generale Cadorna, la più pronta sotto ogni profilo, inflisse pesanti perdite alle truppe germaniche che tentavano di portarsi a Sud e che riuscirono a proseguire solo dopo che ad essa venne dato l’ordine di ripiegare su Tivoli. L’ordine in realtà riguardava tutte le sei divisioni schierate a difesa di Roma e non era funzionale a proteggere quella che non era affatto una fuga, ma un trasferimento, ma era finalizzato a consolidare una linea di fronte su posizioni forti, relativamente lontane dalla Capitale che non si voleva venisse coinvolta in azioni belliche. Lo stesso sbarco a Salerno sarebbe fallito se le truppe italiane avessero opposto un minimo di consistente resistenza; gli angloamericani furono addirittura sul punto di ricevere l’ordine di reimbarco. Le truppe tedesche, attardate dalla resistenza italiana intorno a Roma, giunsero quando il loro arrivo era divenuto inutile.
L’8 settembre una sconfitta? Nell’ottica di coloro che si schierarono sulla tradizione risorgimentale è la svolta, l’inizio del riscatto, la base di partenza per la nuova Italia, democratica e repubblicana. Gli italiani si divisero infatti in due parti numericamente equivalenti. Fu effettivamente guerra civile, almeno sino alla conquista di Roma il 4 giugno 1944, quando i regolari italiani dei due opposti schieramenti vennero concentrati su fronti non direttamente contrapposti.
I combattenti regolari degli opposti schieramenti si sono riconciliati, nel rispetto gli uni degli altri e delle inconciliabili scelte, come si può prendere visione dalla pagina web http://www.agenziaradicale.com/index.php?option=com_content&task=view&id=8061&Itemid=50; sono le ideologie ed i loro irriducibili seguaci a volere perpetuare quella contrapposizione conflittuale tra italiani. Dalla “sconfitta” dell’8 settembre ha preso infatti l’avvio un processo da cui è nata l’Italia attuale, che certo non ci soddisfa, ma che consideriamo migliore di quella che sarebbe scaturita in caso di vittoria della parte opposta. Ecco perché celebriamo quel giorno.
Un discorso analogo è calzante per la commemorazione dell’11 settembre, giorno in cui gli Stati Uniti d’America e tutto l’Occidente furono così duramente colpiti da provocare una forte e corale reazione, con un ribaltamento della situazione con la “vittoria” di Tora Bora, che cancellò tutte le ambizioni di Osama bin Laden di divenire Califfo, affermando una egemonia prima culturale, poi forse anche militare sull’Occidente. Venerdì a Roma alla cerimonia in ricordo delle vittime organizzata da un sodalizio di cui sono membro, alla quale hanno partecipato anche un addetto militare statunitense e Kass Thomas, “ambasciatrice” per l’Italia dei Democratici all’Estero, il partito del Presidente USA Barak Obama, è stato fatto pervenire anche un messaggio di solidarietà da parte delle comunità islamiche italiane, almeno di quelle che, come i “risorgimentali” del 1943 – 1945 che combatterono per una nuova Italia, hanno un’idea dell’Islam e del suo ruolo nel mondo lontana da quella di bin Laden e di quelle mire di dominazione che taluni definiscono come “nazi islamiche”. Fortunatamente vi sono anche gli islamici liberali e democratici, alcuni perfettamente inseriti nella nostra società.
Ecco il senso della celebrazione delle cosiddette sconfitte, per noi invece momento del ritrovato orgoglio e del riscatto.
Grazie per la cortese attenzione e per lo spazio che ci concedete. Finché vi saranno testate come la Vostra, dove è possibile il confronto tra opinioni diverse e discordanti, il rischio di trovarsi a celebrare una nuova “sconfitta” viene contenuto e ridimensionato.
Chiedo scusa per la lunghezza dello scritto.
Con affetto e stima.
Giorgio Prinzi

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