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DA RENZO PENNA

PER LE STRADE DELLA PALESTINA
Ai primi di marzo sono tornato in Terra Santa con il pellegrinaggio laico che da anni organizza don Walter Fiocchi nei luoghi simbolo delle tre religioni monoteiste: la ebraica, la cristiana e la islamica. La volta scorsa la prima parte del viaggio era stata dedicata alla Galilea. Nazareth, il villaggio e i luoghi dove Gesù è vissuto, il lago di Tiberiade, il monte Tabor o delle beatitudini e Akko le tappe più significative.
Quest’anno è stata la volta della Giordania con la magia delle sculture nella roccia di Petra, il Mar Morto e il monte Nebo che sovrasta la valle del Giordano, dove Mosè, secondo le Scritture, termina il suo viaggio e può vedere solo in lontananza la futura terra di Israele. La terra ambita e promessa dove altri condurranno il suo popolo. Dalla vetta del colle si può infatti scorgere la città di Gerico e, quando le giornate sono nitide, Gerusalemme.
Realtà e territori di straordinario fascino dove la storia degli uomini si è maggiormente sedimentata lungo i secoli e i millenni, che colpiscono e coinvolgono non solo chi è credente. Luoghi densi di pathos, pietre calpestate e sagomate dal peso degli uomini e dall’azione della natura, sinagoghe, chiese e moschee costruite, distrutte e rifatte nello stesso posto alla ricerca, sovente eccessiva e contesa, del luogo sacro per le diverse credenze. Gerico, la città della Cisgiordania che è situata al disotto del livello del mare, ha festeggiato nel 2010 i diecimila anni della sua nascita! E con Gerico la precedente amministrazione del comune di Alessandria ha stretto un gemellaggio e l’Autorità delle acque Ato6 destinato progetti e risorse per la rinascita della preziosissima sorgente che ne ha reso possibile la vita e lo sviluppo nel mezzo del deserto.   
Nel corso degli anni i viaggi della delegazione alessandrina hanno così intrecciato e costruito rapporti, consolidato amicizie con le amministrazioni locali, i rappresentanti del governo Palestinese, le autorità religiose e singole personalità a diverso titolo impegnate a lenire le sofferenze di un popolo senza patria. E tutto questo fa assumere ai pellegrinaggi di don Walter una caratteristica unica che, almeno inizialmente, può sorprendere le aspettative tradizionali, ma consente una conoscenza più profonda e reale del contesto, dei problemi, delle sofferenze e delle contraddizioni presenti e li rende attuali.
Si può in questo modo apprendere che i sei milioni di abitanti della Giordania appartengono a quella metà della popolazione mondiale che vive con scarse risorse d’acqua, falde che si stanno abbassando e con gli acquiferi in esaurimento. Le acque del fiume Giordano, quelle del battesimo di Cristo, sono infatti trattenute e deviate da Israele, il corso in superficie è poco più che un rigagnolo e la ridotta portata, che un tempo naturalmente alimentava da emissario il Mar Morto, oggi è causa del costante abbassamento del livello delle sue acque salate. E dalla guida competente e appassionata che ha seguito il gruppo in terra giordana abbiamo appreso che il patto salomonico sancito tra i due governi che si contendono le acque del fiume, di utilizzarle in parte uguali, è stato – dopo l’uccisione del primo ministro, il laburista Rabin, che lo aveva sancito con re Hussein – messo in discussione dal quello attuale di Israele. Già oggi le tensione e le guerre in atto, anche se non esplicitamente dichiarate, hanno sovente come causa il controllo dei beni e delle risorse naturali.
Anche se rivista alla distanza di soli due anni la bellezza e il fascino di Gerusalemme conquista come la prima volta. Il colore delle mura di Solimano che la cingono, le distese uniformi dei cimiteri ebraici appoggiati sulle colline, la cupola dorata della principale moschea con la spianata che la circonda e le strade della città vecchia con il traffico caotico che portano al Santo Sepolcro, al muro del pianto e il suk colorato e pieni di voci. Ma oggi Gerusalemme è anche il muro nuovo che separa la parte israeliana da quella palestinese, sono i posti di blocco e i controlli che si devono superare per andare a Betlemme, con le torrette minacciose e le giovani guardie armate. E a Betlemme non si incontra solo la chiesa della Natività, ma anche l’orrendo muraglione, voluto dagli israeliani, che avvolge e rende inaccessibile agli arabi la tomba di Rachele, moglie del patriarca Giacobbe. Certo nei tradizionali programmi di visita a Gerusalemme non è prevista e compresa quella che, di sera, abbiamo fatto al campo profughi di Shou’fat, nato attorno al 1960 per riunire i profughi fuggiti o espulsi dai loro territori e che dal 1948 vivevano in sistemazioni di fortuna nella città dopo la nascita dello stato di Israele. Circondato dal muro e da numerosi insediamenti israeliani vi vivono circa 35 mila persone in un chilometro quadrato, senza possibilità di espansione. Abbiamo incontrato e ci ha accolto il medico del campo di Shou’fat e di numerosi altri campi profughi, il dottor Salim Anati. Il contrasto tra le condizioni igieniche e il generale degrado presente nel  campo – dove sovente non viene erogata l’acqua, e sono rese ancora più difficili dal sovraffollamento – e le vie eleganti del centro di Gerusalemme, poco distante, con i locali affollati da molti giovani, che abbiamo percorso la stessa sera, è stato certo quello più forte di tutto il viaggio. Un’altra situazione difficile quella constatata nella parte di Hebron, dove l’occupazione dei coloni sovrasta le abitazioni dei residenti i quali, per non abbandonare le case e i commerci, sono stati costretti a riparare il passaggio nelle vie con l’installazione di reti di protezione che li difendono dal lancio di oggetti e dai comportamenti vandalici.
La vicenda del popolo palestinese è sicuramente complessa e questa non è la sede giusta per una riflessione compiuta, ma certo l’obiettivo del riconoscimento di uno stato Palestinese attraversa una fase di stallo che non fa intravvedere a breve sbocchi favorevoli. Il governo del primo ministro israeliano Netanyahu, fortemente condizionato dalla destra, favorisce gli insediamenti dei coloni nei territori dei palestinesi e non è certo quello più idoneo a condurre credibili trattative di pacificazione. In campo internazionale, poi, le speranze suscitate dalla vittoria di Obama negli Stati Uniti sono andate in parte deluse e, come minimo, nel 2012 bisognerà attendere l’esito delle elezioni presidenziali di novembre. Un auspicio può venire dal riavvicinarsi in atto fra le formazioni politiche dei palestinesi le cui divisioni, anche aspre, non hanno certo aiutato e sono state sovente utilizzate dal governo israeliano per interrompere i negoziati. L’impressione di una migliore situazione e di un buon controllo del territorio si è riscontrato, oltre che a Gerico, dove abbiamo incontrato il sindaco, a Ramallah. Una città in pieno sviluppo edilizio, dove ha sede il governo provvisorio dell’OLP e si trova il mausoleo di Yasser Arafat, costantemente visitato da delegazioni di partiti e movimenti vicini alla causa dei palestinesi. Il giorno che ha preceduto il nostro arrivo è stata, ad esempio, la volta di una delegazione inglese del labour party.
Una cosa che, in generale, ritengo non debba essere mai fatta è però quella di confondere nella critica anche severa le responsabilità dei governi con quelle dei cittadini e delle persone dei paesi e questo deve valere, soprattutto e per evidenti motivi, nei confronti degli ebrei. La carneficina alla scuola ebraica di Tolosa torna drammaticamente ad ammonirci che il “Mai più” delle fobie annientatrici nei confronti degli ebrei rimane un auspicio tuttora vano, quando ancora una volta viene individuato nell’ebreo il capro espiatorio per eccellenza su cui riversare l’odio folle nei confronti del diverso. Un episodio che al pari di altri altrettanto agghiaccianti accaduti di recente nei confronti di altri “diversi” rivela, secondo Barbara Spinelli, “Il male oscuro dell’Europa”  che trova nella crisi economica e nelle chiusure nazionalistiche un nuovo e preoccupante alimento. E recentemente in Ungheria sono riapparse manifestazioni antisemite della destra contro gli ebrei.
Per questo ho voluto, al termine del viaggio, rivedere il memoriale della Shoah di Yad Vashem e ho provato nel ripercorrerlo le stesse emozioni di analoghe tormentate visite. In particolare nell’ultima sala che conclude il percorso dell’enorme museo a forma di parallelepipedo. Dove una voragine si apre nel pavimento, la volta è una grande cupola piena di volti e ai lati sono allineati i volumi con i nomi di oltre tre milioni sui sei che sono scomparsi. E fuori, nel verde, l’ingresso di una grotta che porta in una sala completamente buia con tante piccole luci che un gioco di specchi trasforma in un firmamento, mentre una voce ripete ed elenca i nomi dei bambini ebrei morti nei campi di concentramento e ne ricorda l’età e la provenienza.. Nella oscura e colpevole stagione del fascismo e del nazismo che ha segnato la prima metà dello scorso secolo le responsabilità italiane non debbono essere mai sottaciute: il consenso dato per troppo tempo e dalla maggioranza dei cittadini alla dittatura; il parlamento che nel 1938 all’unanimità ha approvato le leggi razziali; i solo quattordici professori su mille e cinquecento che rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo. E aiuta, lungo il serpentone delle sale, trovare, tra migliaia di fotografie, filmati di testimonianze e oggetti che ricordano il dolore degli scomparsi, la presenza delle azioni della Resistenza italiana e tra i cippi dedicati ai “Giusti tra le nazioni” il nome di Giorgio Perlasca, l’italiano che salvò oltre cinquemila ebrei dalle camere a gas e la cui impresa rimase, per molti anni, sconosciuta nel nostro paese. Così come incoraggia i sostenitori della pace tra i popoli leggere su “il Fatto quotidiano”  l’iniziativa di due creativi israeliani di Tel Aviv che su Facebook hanno lanciato una iniziativa di amicizia nei confronti dei cittadini Iraniani, riscuotendo successo e molte adesioni.
In conclusione otto giorni densi, pieni di appuntamenti, incontri, visite, anche faticosi, ma che rimangono dentro, aprono alla riflessione e alla conoscenza e, al rientro, non si disperdono tanto facilmente. Un’esperienza che mi sento di consigliare.

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