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IL PERCHÈ DI UNA VITTORIA, IL PERCHÈ DI UNA SCONFITTA

(prima parte) – Ogni giorno vado al mercato ove si mercano menzogne.
Paziente mi metto in fila con gli altri venditori.
Nulla più di questi versi di Bertold Brecht sintetizza le ultime bizzarre e surreali elezioni italiche, condizionate dall’abile regia di Berlusconi tramite la sua diuturna presenza sulle televisioni e sulle radio, molte delle quali di sua proprietà, nonché su giornali di ogni tendenza costretti a citarlo per seguire le notizie elettorali di cui è stato mattatore. È stata una danza di emotive ombre fallaci, esibite in un vuoto di ragione e di buon senso, con promesse non mantenibili e persino follie che si contrapponevano ad irreali utopie e palesi menzogne essendo i suoi oppositori indotti a seguirlo sullo stesso copione. È stata una gara di imbonitori che ha finito, come era logico fosse, di incoronare due abili uomini di spettacolo, Berlusconi e Grillo. Va dato atto a Berlusconi di una combattività da gladiatore e di essere riuscito nell’impossibile impresa di risalire uno svantaggio di 10 punti. Lo ha fatto da grande illusionista, giocando sui timori ancestrali e sulle illusioni di sempre di un modesto paese come l’Italia, solo apparentemente moderno che, sotto il luccichio di tecnologici orpelli, mantiene le sue radici in un lontano passato ed  in realtà non crede nell’economia e nella ragione, ma con rozzezza primitiva d’altri tempi, si affida all’epifania di miracolistici uomini onnirisolventi. Laica versione rimodernata di San Gennaro e Padre Pio. È il ripetersi di una vecchia storia anche se oggi avviene in modo meno tragico che in passato. Non è un caso che il fascismo sia nato in Italia e abbia attecchito nei paesi latini e anche Mussolini sia stato un abile comunicatore. Primo ad avere capito la determinante importanza politica di uno strumento come la radio e di averla usata a suo vantaggio. Per Grillo, non a caso anche lui uomo di spettacolo, il gioco è stato più facile. Gli è bastato fare propria la giustificata e generale protesta contro una classe politica infame e vorace, dimostrando di essere ugualmente abilissimo comunicatore, forse ancor più di Berlusconi, per conquistare, usando mezzi tradizionali, le piazze e gli spazi politici lasciati liberi in modo suicida dalla sinistra italiana. Se esaminiamo il pensiero politico di Grillo, emendato da alcune demagogiche promesse chiaramente irrealizzabili, come il reddito di cittadinanza o l’uscita dall’Euro, per il resto sono i tradizionali vessilli sociali della sinistra di sempre, come la lotta alla corruzione, all’evasione fiscale e ai conflitti di interesse. Tutti obiettivi che la sinistra italiana avrebbe potuto benissimo realizzare quando era al potere, ma che ha omesso di raggiungere per motivi spesse volte inconfessabili. Monti ha pagato l’antistorico tentativo di riesumare la DC sconvolgendo nel farlo i fragili equilibri della Seconda Repubblica. Conseguendo così il non voluto risultato di fare il gioco dell’avversario e di riportare l’Italia sull’orlo del baratro da cui l’aveva appena tratta, con il crollo del nostro prestigio internazionale e l’apertura di  pericolose crepe nel recente edificio dell’Europa. Ci sarebbe molto da scrivere sul PD e su Bersani. È la storia della deriva della sinistra italiana, di un vascello un tempo ammirato e temuto che, abbandonata la sua storica e tradizionale rotta, da troppo tempo sembra vagare in modo confuso e contradittorio nel periglioso mare della politica alla ricerca di una novella terra promessa. In pratica Bersani, e la direzione del PD, in queste ultime elezioni si sono comportati come Maria Antonietta all’annuncio della Rivoluzione Francese, credendo che il Movimento 5 stelle fosse solo una delle tante fastidiose onde nella paralizzata palude italiana, destinata, come altre prima, ad autoestinguersi con il canto del gallo ed il sole del mattino, ed invece era una rivoluzione. Rivoluzione per il momento gentile, ma rivoluzione con milioni di aderenti. (segue)

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