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QUINTINO SELLA E LA MISSIONE DELLA TERZA ITALIA

Quintino Sella nacque il 7 luglio 1827 in una  borgata  di Mosso Santa Maria, all’epoca provincia di Novara, e morì a Biella il 14 marzo 1884. Ottavo dei venti figli di Maurizio e Rosa, ebbe il curioso nome perché quinto maschio. Morto il padre (1846)  si laureò in ingegneria a Torino e studiò tre anni all’ Ecole des Mines di Parigi, la più importante d’Europa. Al senso del dovere unì saldi principi liberali, inclusa la separazione tra Stato e Chiesa nel rispetto dei  ruoli. Nel 1848 accorse a  Milano per dar man forte alla guerra patriottica ma il ministro Des Ambrois  lo rispedì a Parigi. Per mettersi alla pari con l’Europa  il Regno non aveva bisogno di ventenni allo sbaraglio ma di futuri scienziati.
Docente di geometria applicata all’Istituto Tecnico  di Torino, dal 1860  Scuola  di Applicazione per ingegneri (oggi Politecnico), su sollecitazione di Camillo Cavour nel 1860 si presentò agli elettori di Cossato che lo votarono e gli rimasero sempre fedeli. Era uno di loro: una rupe. Venne anche eletto nel consiglio  provinciale di Novara, la cui presidenza tenne dal 1870 alla morte.
Nel  1853 sposò la cugina Clotilde Rey, previa dispensa papale contro esborso di 90 scudi.
Alla politica unì la passione per l’alpinismo. Scalò il Monviso,  salì in vetta al Rosa, al Cervino e nel 1879, solo e febbricitante, sul Bianco. Nel 1863 fondò il Club Alpino Italiano, facendone scuola di morale,  per realizzare il monito di Vittorio Alfieri: riformare la “pianta uomo” negli italiani, animo e corpo, vigore intellettuale e tempra fisica.
  Forte di quei principi Sella salì altro. Si assunse l’onere di risanare l’economia nel neonato regno d’Italia e vi riuscì con l’unico metodo possibile: statizzazione dei beni di ordini contemplativi, tassazione di massa e lesina nelle spese correnti.  Fu per la libertà di confronto tra le parti sociali e per l’intervento della mano pubblica nelle grandi opere, destinate a lasciare il segno.
Non cercò mai il plauso. Perciò s’accollò il ministero della Pubblica Istruzione riformando i piani di studio: un cammino continuato dall’albese Michele Coppino, massone, che nel 1877 varò l’istruzione elementare obbligatoria e gratuita. Lo ricorda Nicola d’Amico in Storia e storie della scuola italiana (Zanichelli). Nel settembre 1870 fu lui a volere l’annessione di Roma, anche per tagliare la strada a colpi di mano repubblicani. Vi fece costruire nuovi quartieri, forse grigi ma funzionali: da Termini a Piazza Venezia. Restituì splendore all’Accademia dei Lincei.
Nell’immaginario Sella rimane l’uomo della lesina e della tassa sulla macinazione delle farine. In realtà fu l’unico a spiegare il senso della Nuova Italia. Lo confidò allo storico Teodoro Mommsen:  Roma doveva divenire capitale mondiale della Scienza. Alla sua scuola uno statista della sua stessa pasta: Giovanni Giolitti, impopolare come lui perché insegnava che ognuno deve fare la propria parte senza attendere la manna dal cielo. Se poi viene, tanto meglio, Ma non bisogna farci troppo conto. Entrambi erano sodali di Michele Lessona, il naturalista che riassunse l’etica civile del positivismo nella formula “Volere è potere”.

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