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GIORNATA DELL’AMBIENTE 23 – INQUINAMENTO DELL’ACQUA: LA PULIZIA (SECONDA PARTE)

Si è visto che dal tempo dello sviluppo dell’era industriale per rendere l’acqua non infetta e comunque potabile non è più sufficiente uccidere (con calore o disinfettanti) i microorganismi acquatici dannosi, ma occorre liberarla da certi metalli (pesanti e insolubili) e sali (combinazione di metalli con metalloidi) che, se ingeriti o combinati con altri reagenti, diventano dannosi per certi organi vitali degli esseri viventi. Inoltre l’acqua, così come l’aria, può risentire di “inquinamento” termico, nel senso che la sua variazione di temperatura in più o in meno per cause antropiche o “naturali” ha effetti molto sensibili su flora e fauna acquatiche, portando alla scomparsa (o anche comparsa) di specie diverse da quelle esistenti prima della variazione termica, con conseguenze più o meno importanti sui vari cicli biologici di cui tali specie fanno parte. È evidente che anche l’importanza (o l’effetto) dell’inquinamento termico dipende dall’abbondanza di acqua, ed è per questo motivo per esempio che le grandi centrali termoelettriche, che producono sempre grosse e inevitabili quantità di calore, devono essere costruite su grandi fiumi o, meglio, vicino al mare. Quanto più grande è la massa di liquido interessata al riscaldamento o raffreddamento, tanto minore è l’effetto sull’ambiente; ancora più sensibili sono gli effetti dei cambiamenti di “stato fisico” (ossia congelamenti o evaporazioni), che influiscono evidentemente anche sull’umidità dell’aria circostante (e, per chi si preoccupa dell’effetto serra, ricordiamo che il vapore acqueo vi contribuisce per quasi il doppio rispetto all’anidride carbonica).

POTABILE E NON POTABILE
In ogni caso il “panorama” della contaminazione dell’acqua è molto articolato e complesso, essendo dipendente dal clima locale, dal terreno su cui scorre l’acqua, dalla flora e fauna che vi abitano, dalle attività antropiche che vi si svolgono, e dovrebbe essere studiato caso per caso, ossia regione per regione. Possiamo prendere ad esempio un’apparentemente innocua sorgente ad alta quota in montagna, che si immagina immune da impurità perché costituita solo da acqua, piovana o generata da ghiacciai posti a quota ancora più alta, dove la densità di esseri viventi è bassa e le sostanze inquinanti di origine antropica (per esempio rilasciate da aerei in volo) sono quasi assenti: non è detto che l’acqua di tale sorgente sia senz’altro asettica e potabile, perché potrebbe contenere disciolte o “sospese” sostanze tossiche minerali (per esempio arsenico) tipiche di quel suolo, oppure organiche (da putrefazione di esseri viventi animali o vegetali che abitano quella zona), che si trovano sul percorso iniziale della sorgente o nell’immediato sottosuolo. E la situazione varia, in meglio o in peggio, allontanandosi dalla sorgente, per esempio se gli inquinanti vengono filtrati e trattenuti in modo naturale, oppure se ne aggiungono a causa di ulteriori putrefazioni o minerali tossici. Il problema dell’inquinamento idrico è prevalentemente chimico e la sua comprensione richiede conoscenze che non basta un volume di 2000 pagine a descrivere. Limitiamoci a esempi “domestici”, in particolare all’acqua minerale.

COSA BEVIAMO?
Basta leggerne l’etichetta, su cui è detto anzitutto che è “batteriologicamente pura” (ciò significa che è inutile bollirla per eliminarne i microorganismi). Segue la lista degli “ioni”, che indicano le sostanze disciolte cioè quelle che interagiscono, finché si trovano nell’acqua, col suo ossigeno (O) e il suo idrogeno (H), sintetizzati nella famosa formula chimica H2O; è raro trovare la lista delle impurità pesanti e insolubili, perché è importante che la sorgente scorra per tutto il suo percorso in ambiente privo di minerali tossici, disabitato e soprattutto senza opifici (cosa oggigiorno praticamente impossibile). Leggendo l’altro lato dell’etichetta si scopre poi che il luogo di imbottigliamento è a centinaia di chilometri dalla sorgente e ci si arriva trasportando l’acqua con autocisterne, la cui “pulizia” chimica e batteriologica è tutt’altro che garantita. È anche per questo che, giustamente, molti comuni offrono nelle proprie piazze (a “km zero”) e gratuitamente acqua “minerale”, anche gassata, proveniente da acquedotti locali di recente costruzione e perciò dotati di un efficace depuratore. Molti non lo sanno ancora, ma la temuta e avversata anidride carbonica (che, ripetiamo, contribuisce assai poco all’altrettanto temuto “effetto serra”) è producibile in modo relativamente facile e può essere trattenuta a terra prima che si diffonda nell’atmosfera, anche a causa del suo peso, e “stoccata” allo stato solido (ghiaccio secco, a partire da -78,6°C) o liquido (a 200 atmosfere); può essere usata in vari modi, fra i quali c’è anche quello di rendere “frizzanti” le bevande, incluso certo tipo di vino anche non propriamente a buon mercato (Lambrusco e Bonarda, per non fare nomi); tutto ciò, se può essere al limite della legalità dal punto di vista commerciale, è del tutto non tossico e rende gradevole la bevanda.

SAPORE DI SALE
Tornando ai vari Sali che l’acqua contiene, per vari motivi, “naturali” o antropici, essi danno luogo alla lista di “ioni” elencati nelle citate etichette delle acque minerali. Al solo scopo di fornire nozioni elementari di chimica, parliamo almeno di un sale noto a tutti, non tossico, benché sconsigliato severamente agli ipertesi, che interessa tutta la parte di acqua chiamata “mare” o “oceano”: è il… “sale da cucina”, alias “cloruro di sodio” (addirittura “Soluzione Fisiologica-Sodio-Cloruro” sulle bottigliette delle fleboclisi), la cui formula è NaCl; per i più curiosi diremo che in Latino Sodio si dice Natrium, da cui il Na della formula. Ebbene il “NaCl”, come tutti i sali, immerso in acqua abbondante si “destabilizza” trasformandosi provvisoriamente in Na2O (ossido di Sodio) e 2HCl (Acido Cloridrico), ossia: due atomi di Sodio si accostano volentieri con l’Ossigeno di una molecola d’acqua e i due atomi di Cloro abbandonati (o legati meno fortemente) si accostano ai due atomi di idrogeno della stessa molecola d’acqua così scomposta. In realtà le quattro parti si sono solo scambiate di posto: si sono accostate per formare nuovi accoppiamenti, con vincoli meno saldi di quando manca l’acqua, e quindi il fenomeno è reversibile. Infatti è da notare anche che oltre un certo quantitativo di (qualsiasi) sale immesso in acqua la soluzione (separazione in ioni) si interrompe e la sostanza salina sovrabbondante rimane inalterata: si dice allora che la soluzione è “satura”. Scaldando poi la soluzione, satura oppure no, oltre i limiti dell’evaporazione, l’acqua (o meglio il vapore acqueo) abbandona la soluzione e il sale si riforma come in origine. Con questo esempio abbiamo così spiegato di nuovo un modo per pulire l’acqua, ma anche il processo di “dissalare l’acqua di mare”; un sogno “verde”, questa volta realizzabile per esempio in prossimità di regioni equatoriali, è scaldare l’acqua di mare con pannelli solari fino a farla evaporare e a liberarla dai sali contenuti; condensando il vapore a debita distanza, magari di notte, si ottiene ottima acqua potabile da usare in zone oggi desertiche. Della pulizia dell’acqua mediante “clorazione” si è parlato nell’articolo precedente. Concludiamo con la spiegazione, fuori tema, dell’uso di Sali (da cucina o altri) per sciogliere ghiaccio o neve sulle strade: il sale fa abbassare la temperatura di congelamento dell’acqua: quello “da cucina” la fa scendere a circa -12°C, per cui un manto ghiacciato che non sia più freddo di tale temperatura si scioglie se è cosparso abbondantemente di sale, rendendo più facile camminarvi sopra o guidare.

GLI SCARTI DELL’ACQUA DEPURATA
Riassumendo: ogni sale (da cucina o no) immesso in acqua può sciogliersi o non sciogliersi (o combinarsi variamente con altri Sali già presenti); ciò che si scioglie può anche essere recuperato scaldando la soluzione, recuperando il vapore acqueo e facendolo condensare (raffreddandolo sotto i 100°C) separatamente. Ciò che è insolubile, o comunque è rimasto non disciolto, può avere densità maggiore o minore dell’acqua: nel primo caso si deposita sul fondo, ma se l’acqua è in moto ne viene a volte trascinato e occorre “tenerlo d’occhio” affinché non si avvicini troppo alla superficie; nel secondo caso galleggia e viaggia praticamente alla stessa velocità dell’acqua. Sta di fatto che con procedimenti chimici o fisici l’acqua si può (quasi) sempre depurare, con costi variabili a seconda della difficoltà. Insomma, l’acqua inquinata si può “disinquinare” (come del resto si potrebbe sempre fare anche con l’aria, che però ha 10 km di spessore ed è composta di svariati “ingredienti”), studiando i metodi chimico-fisici adatti, e se il processo di pulizia è scelto intelligentemente il prodotto residuo potrebbe anche essere utilizzato, o altrimenti smaltito più o meno agevolmente. Gli strumenti usati per il disinquinamento si chiamano banalmente “depuratori” e “filtri” (contenenti anche reagenti e catalizzatori), che, come tutte le cose effettivamente utili all’ambiente, sono spesso oggetto di contestazione, indotta da trame politiche (ovvero economiche) o da semplice superstizione. Non dimentichiamo infine che esistono microorganismi, che si sviluppano spontaneamente o sono immessi artificialmente nell’acqua, che hanno il potere di “agganciare” e far precipitare (o galleggiare) alcune impurità, restituendo all’acqua una certa purezza, una volta che le scorie così formatesi siano state accuratamente separate.

DOV’È L’ACQUA PIÙ INQUINATA?
Non potendoci dilungare troppo sulle reazioni chimiche e su processi fisici (per esempio le centrifughe o l’antico lavaggio delle sabbie aurifere, usato anche dai cercatori d’oro degli ultimi due secoli, che eliminano o separano le sostanze pesanti), concludiamo ricordando dove si trova l’acqua maggiormente soggetta a inquinamento e quindi da depurare se destinata all’utilizzo da parte dell’uomo (o degli altri esseri viventi, piante comprese, che l’uomo “utilizza”). Incominciamo dal mare e dalle centinaia di migliaia di chilometri di zone costiere. Gli scarichi industriali e urbani (acque “bianche”) che arrivano direttamente al mare dovrebbero essere preventivamente depurati e filtrati, e comunque scaricati a notevole profondità in modo che possano arrivare in superficie (ammesso che non si combinino prima, precipitando sul fondo) notevolmente diluiti in una gran massa d’acqua meno “sporca”. Lo stesso trattamento deve essere riservato ai fiumi e ai laghi, con maggiore filtraggio quanto più la loro profondità è ridotta. Infine non bisogna dimenticare le falde freatiche (che sono condotti acquiferi naturali profondi decine di metri, a temperatura indipendente da quella superficiale) da cui l’acqua è prelevata, per esempio con pozzi e pompe, per irrigazioni e altri usi: chiaramente il loro utilizzo deve essere curato in modo tale che le acque “a valle” dei punti di prelievo, cioè di “contatto” con gli utenti, non siano (molto) più “sporche” di quelle a monte.

UN’AUTOSTRADA PER I NOSTRI SCARICHI
Da millenni, come si è già accennato, per i grandi centri urbani sono state inventate le fognature progettate in modo che tanti canalini laterali convergano verso un grosso canale (sotterraneo) centrale, costruito lungo una linea di continua e massima pendenza, in modo che al termine del centro abitato la massa d’acqua contenente i rifiuti sbocchi in un corso d’acqua naturale, se possibile un grande fiume o un canale, seguendo un percorso sotterraneo (se sufficientemente vicino, il canale collettore dei rifiuti dovrebbe finire in mare a grande profondità). Sarà bene che comunque prima di arrivare a destinazione il canale fognario incontri un depuratore, con filtri, di dimensioni e capacità (e frequenza di svuotamento) adatte a raccogliere tutti i rifiuti del centro abitato. Chiaramente esistono norme nazionali e internazionali per la corretta progettazione di una rete fognaria, che non dovrebbe contaminare falde freatiche ad essa parallele. Ciò significa che il “letto” della fognatura sarà opportunamente reso impermeabile in tutti i tratti in cui l’impermeabilità non sia già assicurata dalla conformazione del terreno. Ove ciò non sia possibile, anche in corrispondenza dei tratti contaminati di falde freatiche, si dovrà provvedere a costruire depuratori; ciò è obbligatorio soprattutto dove la falda è usata come acquedotto e quindi alimenta i condotti che entrano nelle abitazioni. Esistono città dove la rete di alimentazione di acqua per le abitazioni è addirittura doppia, destinando agli usi alimentari quella di cui è garantita la purezza e l’altra a quelli igienici: ciò rende un po’ più costosa la costruzione della rete di alimentazione, ma molto meno costoso il suo servizio.

IL NICHILISMO DEGLI AMBIENTALISTI
Gli ambientalisti puntano preferibilmente il dito sulla scarsità dell’acqua, suggerendo come al solito la soluzione più pigra: non produrre manufatti, non lavarsi e non bere (“ambientalismo” sembra coincidere con “immobilismo”: se ti muovi, respiri e sei un “umano“, inquini: resta immobile e farai del bene all’ambiente e agli animali, anche se non si capisce a questo punto a che cosa ci servano ambiente e animali). Abbiamo visto che l’acqua c’è, in quantità immensa, grazie anche e soprattutto all’effetto serra, e sotto molte forme, e che si tratta di ripulirla da sostanze nocive disciolte o sospese, quando è necessario: la conclusione importante è che i mezzi per ripulirla esistono e sono numerosi; che gli ambientalisti (e anche i veri scienziati umani) si diano da fare: l’acqua tornerà pulita e la salute del Mondo migliorerà, anche per i prossimi 9 miliardi di esseri umani previsti per il 2050. Giovanni Sartori, Fulco Pratesi e i loro seguaci e discepoli si affrettino a togliere il disturbo: una confortevole capanna di paglia nei Mari del Sud, con un paio di banane al giorno e una candela di cera d’api per la notte non gliele negherebbe nessuno, purché si stacchino anche da Internet.

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