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GIORNATA DELL’AMBIENTE 25 – NOTE URBANISTICHE PER UNA MOBILITÀ NON CONGESTIONATA

BRASILIA: BLUFF O PATRIMONIO DELL’UMANITÀ? – Evidentemente i maggiori problemi di traffico si hanno nelle città più popolose (non sono necessariamente le più grandi) e si dovrebbe cercare di fronteggiarli con infrastrutture adattate alla conformazione della città, e non viceversa, se non per insediamenti costruiti ex-novo: famoso (perché raro e praticamente fallito) è rimasto il caso di Brasilia (nella foto), fondata un 21 aprile, come Roma, ma non nel 753 a.C., bensì nel 1960 d.C.; qui si poterono installare tutte le “novità” dell’epoca e anche tutto il “futuribile”, come se nel 1960, quando ancora in Europa si faticava a riemergere dai disastri della Guerra, si fosse raggiunto in Sudamerica (figuriamoci!) il massimo progresso concepibile per l’urbanistica (c’è perfino un lago artificiale in città…). Ma oggi, dopo 64 anni soltanto, Brasilia ha un’abitabilità peggiore delle più vecchie città europee e delle meno vecchie città americane, tanto veloce è stato il progresso in ogni campo nell’ultimo mezzo secolo e tanto è imprevedibile il sorgere di criticità dovuto a mutate esigenze di abitabilità e mobilità, da armonizzare con quelle dell’industrializzazione e dell’amministrazione. Sembra che il punto più debole dell’urbanistica di Brasilia sia la scarsa attenzione per…  i pedoni, “mostro sacro” dei nostri giorni, aggravato dal fatto che la città, prevista per 200.000 disciplinati residenti, ne ha oggi quattordici volte di più, in gran parte disperati (Brasilia sta pur sempre in Brasile) e alloggiati in povere e caotiche “città satellite” (proprio come a Rio, che Brasilia avrebbe dovuto sostituire), raggiunte da una rete metropolitana carente, che fa sì che la “città del futuro” sia invasa dalle macchine, proprio come le altre grandi metropoli “del passato”, anche se il Centro è meno congestionato grazie alle vie più larghe. Ciononostante Brasilia è stata dichiarata con indicibile faccia tosta “patrimonio dell’umanità”. La città del futuro degli anni 60, che è stata concepita come se fosse un punto di arrivo e non di partenza, si è rivelata un vero “bluff”, come tutte le innovazioni affidate alla pubblica amministrazione in ogni parte del mondo (vedere a Milano i nuovi quartieri periferici, nonostante l’imminenza di EXPO 2015). Il criterio di prevedere “espansioni future” nella progettazione di qualunque sito (perfino di un cimitero) deve essere applicato in particolare alle città nuove o alle parti nuove di città vecchie; prevedere le espansioni future non è facile, specialmente se “espandersi” significa, come succede a Milano da 100 anni, fagocitare Comuni finitimi, spesso di notevoli dimensioni, come Sesto San Giovanni; ma i milioni di euro sborsati ai consulenti urbanistici (troppo spesso stranieri) devono assolutamente tenere conto di queste eventualità. E, attenzione! Nel progetto di un ospedale, o di una prigione, per esempio (scelta del sito, punti di accesso, parcheggi, anche eliporti, capienza dei reparti) non sempre è logico e giusto fare tutto quanto con dimensioni maggiori della richiesta attuale: è molto più ragionevole per esempio prevedere più siti futuri, magari di dimensioni ridotte, per non rischiare di avere difficoltà di accesso nei casi urgenti, o affollamento  sia degli utenti diretti (malati o detenuti che siano) sia specialmente dei loro visitatori e dei residenti locali. Si eviteranno così tardive “migrazioni” di strutture con immensi disagi per i cittadini, come sta avvenendo per esempio per alcuni fondamentali ospedali di Milano (che saranno ricostruiti dove sorgevano grandi industrie ora scomparse, come Falk, Breda e Pirelli): in molti dei “pronto soccorso” di Milano oggi si rischia di non arrivare in tempo solo a causa del traffico ed è davvero consigliabile decentralizzarli, tanto più che molti “comitati” si oppongono, a volte con buone ragioni, alla costruzione di eliporti.

MEGLIO LA ROTAIA, SIA TRENO CHE METRO
Naturalmente, non sono le stesse le esigenze logistiche delle città a pianta “centrale” (Milano) rispetto a quelle a pianta rettangolare (Torino), così come è diverso attrezzare le collinose Roma e Bergamo rispetto alle pianeggianti Bologna e Firenze: e ancora diverso è convivere con abbondanti corsi d’acqua dentro la città rispetto alle città che di acqua interna ne hanno poca  (si pensi solo alla difficoltà di progettare metropolitane a Milano e a Torino, e ponti a Parigi e Londra).
Senza voler pontificare di urbanistica, che non è la mia “cup of tea”, osservo banalmente che un grosso contributo alla riduzione del traffico cittadino è dato dalla presenza contemporanea, dovunque sia possibile, di reti metropolitane sotterranee e di “circonvallazioni” oppure “by-pass” (stradali), che permettano di evitare i centri abitati più densi a chi non deve entrare in città per sostare. È forse già obsoleto e troppo centrale il Boulevard Périférique a Parigi, quasi tutto sotterraneo con frequenti complicatissime “emersioni” in superficie, e il Grande Raccordo Anulare di Roma, fa il proprio dovere ormai al limite della propria capacità, mentre  sono in arrivo le tangenziali esterne di Milano, che da decenni si cerca di completare, scontrandosi con “comitati” di zona e mafie, ma che proprio in questi giorni sono alla ribalta della cronaca, con la “virtuale” inaugurazione della BreBeMi, per il cui “pedaggio” si spenderanno 11 euro risparmiando, forse, una ventina di minuti di tempo.

SICUREZZA IN STAZIONE
A monte di tutto ciò dovrebbe essere imposto per legge il trasporto di merci su ferro invece che su gomma, ma qui ci si addentrerebbe profondamente nella politica (NO TAV, “no tutto”, fanatismo ambientale, ecc.). Si deve però tenere presente che ogni tratto di strada ferrata che penetri radialmente soprattutto nelle città a pianta circolare crea delle barriere difficilmente sormontabili alla circolazione cittadina tangenziale. Sono stati aboliti finalmente quasi del tutto i famigerati “passaggi a livello”, causa di numerosi morti per imprudenza della vittima o negligenza del casellante (ancor peggio per difettosa automazione dell’azionamento delle barriere), e origine di interminabili code di autoveicoli al passaggio di lenti e lunghi treni merci; ma è stato necessario costruire un gran numero di costosi ponti o sottopassi, e perciò è senz’altro utile, quando possibile, disporre di stazioni ferroviarie periferiche, eventualmente collegate fra loro per mezzo una rete di linee sotterranee, che a Milano si chiama “passante ferroviario” ed è stranamente disertata dal pubblico per carenza di segnalazioni e di informazioni ai viaggiatori. Esempi di Comuni che hanno risolto brillantemente il problema dei passaggi a livello in prossimità delle stazioni ferroviarie sono Bollate e Saronno, che, grazie ad ampi sottopassaggi, ormai godono di un traffico automobilistico scorrevole sotto le rotaie dei treni. Contrariamente alle grandi metropoli come Parigi e Londra, Milano ha deciso però, dopo interminabili discussioni e infiniti e bizzarri interventi di ammodernamento, di conservare un imponente monumento di stile “fascista” (ma non si tratta di un problema politico…), mantenendo al proprio ingombrante posto una Stazione veramente Centrale (non lo era 80 anni orsono), che è anacronisticamente  limitata nelle dimensioni e nelle aree di accesso  (oltre che nei servizi interni, quasi assenti), e fa sbarcare o imbarcare il passeggero in una zona del tutto caotica, sia per la viabilità, appunto, sia per la sicurezza personale, essendo popolata all’interno (addirittura sui treni in sosta) e nelle immediate vicinanze (specialmente le profonde e incustodite stazioni di metropolitana più prossime) da ogni sorta di “umanità”, che vive, cioè mangia e dorme e espleta i propri bisogni, su qualunque superficie e anfratto accessibili e che, potendo, depreda in vari modi gli spaesati passeggeri. Apriamo una breve parentesi sul problema della sicurezza, che si pone sia a Milano sia in ogni altra città “europea” che si rispetti. La sicurezza del cittadino (onesto) a Milano, sia di giorno che di notte, è del tutto precaria: a qualunque ora si può essere rapinati per strada e sui mezzi pubblici, ma anche presi a picconate o a coltellate, a volte sotto l’inutile occhio di costosissime telecamere, ma spesso anche nella più assoluta solitudine. Si suppone che il personale addetto alla sicurezza sia troppo impegnato a regolare il traffico, ma ciò è vero in minima parte fino alle 18, dopo di che (e nel bel mezzo dell’”ora di punta”) ogni incrocio si trasforma in un caos tremendo per la totale assenza di vigili urbani (e l’inadeguatezza dei semafori), mentre gli “ausiliari della sosta” sono ancora intenti a rifilare le ultime multe della giornata. E si noti che se Milano è così, con circa un milione e mezzo di residenti, non ci si può aspettare niente di meglio a Roma (quasi tre milioni) e Napoli o Torino (più di un milione).

QUELLO CHE MANCA È LA COMPETENZA DEGLI AMMINISTRATORI
Bastano dunque i pochi esempi forniti per capire che il problema del traffico è strettamente legato all’urbanistica e alla disponibilità di uomini e mezzi di controllo, il che, in una situazione finanziaria perennemente critica, renderebbe impossibili grandi migliorie. In attesa di tempi migliori è però indispensabile da parte di tutte le amministrazioni un atto di buona volontà per migliorare le misere infrastrutture esistenti, sfatando le dicerie riguardanti la mancanza di fondi: ciò che manca è solo il buon senso delle Autorità (e la competenza degli assessori e dei loro “esperti”). Interessante a questo proposito (e senza dubbio correlato coi problemi del traffico) è l’articolo che Alessandria Oggi ha pubblicato nei giorni scorsi a proposito delle esondazioni dei corsi d’acqua che interessano la città di Alessandria; sorprendente è l’analogia con Milano, dove da decenni, ossia dopo l’interramento di tutte le acque che passano per la città, i tre corsi d’acqua principali (Olona, Lambro e Seveso) e i numerosi canali artificiali (risalenti ai tempi di Leonardo), esondano oppure no indipendentemente dalla maggiore o minore intensità delle precipitazioni, bensì a causa dell’insipienza e della negligenza delle autorità preposte al controllo del regime di deflusso delle acque. La dimostrazione lampante a Milano è che il fenomeno si ripete spesso, complice un acquazzone improvviso, quando si vuole sollecitare l’arrivo di fondi governativi per la costruzione di colossali opere che allevierebbero forse la gravità del fenomeno a Milano, ma sacrificherebbero la tranquillità di paesi vicini, come Senago e Palazzolo, che rischierebbero innaturali allagamenti solo per risparmiare a Milano l’organizzazione razionale di sistemi di allarme o azionamento automatico (o manuale) che provvedano al controllo delle acque. Che ciò sia fattibile è provato dall’assoluta assenza di inconvenienti durante le piogge straordinarie della primavera 2014 e dai disastri verificatisi invece in seguito a un paio di violenti temporali, relativamente brevi, in luglio: proprio in quei giorni tra giugno e luglio il Comune cercava di convincere “con le buone” i manifestanti contrari di Senago che le due enormi “vasche di laminazione”, previste sul loro territorio (per salvaguardare Milano) e pagate lautamente da fondi statali, sono indispensabili per il benessere della Regione. Guarda caso, anche la maggior parte delle precedenti inondazioni avvenute a Milano a causa del Seveso, nonostante la costruzione di un efficiente “scolmatore” a Palazzolo, si sono verificate in giorni festivi o prefestivi, quando sono venuti meno gli evidentemente insufficienti sistemi “automatici” di sorveglianza e di attivazione delle barriere per la deviazione delle acque a monte di Milano.

UNA BELLA TANGENZIALE DI PERIFERIA
Completiamo le divagazioni sulle infrastrutture “importanti” ricordando che ogni periferia crea ovviamente delle barriere al traffico del centro e che sarebbe naturale che gli urbanisti si occupassero di alleviare le difficoltà di circolazione causate dalle periferie esistenti e di ridurre al minimo quelle che potrebbero provocare le periferie nuove. Per esempio si dovrebbe evitare di fare attraversare una periferia, che per definizione è esterna, da una tangenziale o da una superstrada (peggio ancora da una tramvia o ferrovia), a meno che queste ultime non siano sopraelevate o preferibilmente sotterranee. In provincia di Monza Brianza c’è un quartiere periferico chiamato San Fruttuoso che dai primi anni ’60  si è trovato separato dal centro di Monza dalla superstrada Milano-Lecco: raggiungere San Fruttuoso dal non lontano centro di Monza era una vera impresa, perché l’attraversamento della superstrada era regolato da un sistema semaforico e di rampe di accesso insufficienti che provocavano code chilometriche sul viale Lombardia perpendicolare alla superstrada. Dopo decenni di petizioni e discussioni e altri lustri di lavori (tuttora non completati) finalmente nel 2013 il problema si è potuto considerare (quasi) risolto, ma naturalmente il sistema adottato di tunnel e cavalcavia (e insonorizzatori) si può già definire sottodimensionato, considerato che il progetto risale a quasi mezzo secolo fa. Se si “imparasse dagli errori”, come dicono gli Americani, questa esperienza (e non solo questa) suggerirebbe, almeno in Lombardia, di abbreviare le discussioni, di stanziare tempestivamente i fondi e di lavorare con la massima velocità consentita dalle nuove tecnologie, basandosi su imprese appaltate con metodi affidabili finanziariamente, vale a dire non mafiosi (il caso San Fruttuoso presentava in misura più o meno grande tutti i possibili difetti organizzativi). Si può dire che tutti i Comuni dell’hinterland settentrionale di Milano siano stati affetti anche molto gravemente da questi inconvenienti, ma ciò non ha impedito alle amministrazioni multicolori che si sono succedute dopo la Guerra di trasformare allo stesso modo l’intero hinterland, tanto che Rho-Fiera, ormai un enorme quartiere di Milano, è diventato alla fine (cioè da oltre dieci anni) la sede della nuova Fiera Internazionale di Milano, col caos e l’inefficienza infrastrutturale che caratterizza ogni altra iniziativa del genere. Si pensi che già ai tempi della “vecchia” Fiera di piazza Giulio Cesare la città di Milano non aveva sufficiente capienza alberghiera: se non prenotava con anticipo di mesi, il visitatore rischiava di dormire a Varese o a Bergamo, con indescrivibili difficoltà nei collegamenti, che nel corso di mezzo secolo non sono migliorati sensibilmente. Non sono bastate grandi manifestazioni internazionali come i Mondiali di Calcio o il futuro EXPO per portare la situazione a un livello accettabile; mentre si è vista di recente la sempre spettacolare ma tristissima scena della distruzione, mediante esplosivi, di enormi strutture nate per diventare alberghi e mai completate (i motivi di tali frequenti fenomeni sono al di sopra della mia comprensione e non ho le competenze legali per approfondirli, ma mi si lasci dire che azioni come quella di distruggere sono almeno altrettanto delittuose di quelle di costruire senza i relativi permessi o senza seguire determinati protocolli burocratici, altra questione sarebbe la violazione di problemi di sicurezza, ma non è questo il caso).

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