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GIORNATA DELL’AMBIENTE 28 – ALCUNE FORME DI INQUINAMENTO LOCALE E AGGIORNAMENTO SULLE RISERVE DI RISORSE ENERGETICHE

In base ai giudizi precedenti, che nessun “ciclobbista” o ambientalista dilettante dovrebbe osare smentire, non è azzardato concludere che iniziative comunali, quali car-sharing e bike-sharing, che contrastano o azzerano i vantaggi, peraltro teorici, dell’iniziativa “Area C”, anch’essa comunale, servono solo a “fare cassa”, come si dice oggi, e non risolvono nessuno dei problemi di mobilità e inquinamento cittadini; eppure sono accolte con entusiasmo da beoti (più della metà si sono presentati a ben quattro referendum per ottenere iniziative ancora più rigorose), e lodate da giovani premier, candidi sindaci e imberbi assessori (si fa per dire: forse la barba mal rasata indica maggiore attaccamento all’ambiente). Ripeto che tutti i mezzi pubblici, anche quelli con la scritta “ibridi” ed “ecologici”, usano normali carburanti fossili, eccetto forse i due (due!) autobus a idrogeno lombardi di cui in ogni caso non si è avuta più notizia (e non costano forse 700.000 euro versati ai nostri padroni tedeschi? Che sono poi gli stessi padroni che ci forniscono le “Smart” a noleggio? Dandoci quelle a benzina, ma reclamizzando quelle elettriche?). La “navetta ecologica” voluta da una veneranda “ricercatrice” dell’Università Bicocca, si è vista circolare per due o tre anni, ma poi è stata ritirata ufficialmente. Se ne evince che lo “sharing” non porta alcun vantaggio al cittadino (eccetto all’avvocato o notaio, che, in attesa di pagarsi lo “chauffeur”, attendono un po’ prima di acquistare la seconda o terza macchina); un po’ meglio può essere il “pooling”, ma chi si prenderebbe la responsabilità di organizzarlo? Ai tempi delle grandi fabbriche europee ricordo per la sola Parigi un’altra efficiente e coraggiosa soluzione: enormi parcheggi presso le principali porte della città, dalle quali partivano centinaia di autobus, strapieni, verso le fabbriche, che a quei tempi erano: Matra, Thomson, Renault, Citroen, Peugeot, Alsthom, ecc., oggi quasi tutte trasferite nel sud (Tolosa); si riduceva di molto il traffico e si assicurava la puntualità alla timbratura dei cartellini, in entrata e, soprattutto, in uscita (nessuna ora di straordinario non pagata, come invece avveniva in Italia). Si deve ammettere che in scala ridotta ciò avveniva anche attorno a Milano: per esempio alcuni (grossi) pullman raccoglievano i lavoratori di Falk, Breda e Pirelli lungo le Valli Bergamasche fino a una distanza di oltre 100 km; oppure da Arese o Bollate (Nord-Ovest di Milano) si andava a orari fissi direttamente alla SNAM di San Donato (Sud-Est), naturalmente a spese e rischio dei lavoratori. Ma anche questi buoni servizi sono scomparsi (perché troppo buoni? Certo per la spaventosa riduzione di possibili utenti).

L’INQUINAMENTO LOCALE
Ma sospendiamo la questione della “mobilità” e del fallimento della rimozione degli ingorghi, anche a causa dell’apertura di centinaia di cantieri “eccezionali” in vista dell’EXPO 2015, che distorcerebbe ogni statistica sulla circolazione attuale e ogni previsione su quella futura, e passiamo ai problemi dell’inquinamento locale (e insisto su “locale” e non certo “globale”) provocato dai veicoli usati in una data città, sempre ricordando che se un impiegato oggi raggiunge il posto di lavoro in un’ora con un veicolo a benzina, impiegherà lo stesso tempo con un “pulito” veicolo elettrico, se non si debellano gli ingorghi.
Naturalmente fra gli inquinanti atmosferici locali e nocivi alcuni vengono dal traffico, altri da riscaldamento o “rinfrescamento” con aria condizionata, perché gli idrocarburi sono depurati imperfettamente dalle raffinerie, e gli additivi per aumentare il numero di ottani (vedi wikipedia per il significato) sono passati, a furor di popolo ambientalista, dal velenoso piombo al cancerogeno benzene, cadendo dalla padella nella brace (forse che il cancro da benzene non è un problema ambientale o pneumologico?). Un ipotetico combustibile di idrocarburi purissimi (chiamati metano, etano, propano, ecc.), darebbe, come deve sapere chi ha letto questa serie di articoli, acqua pura (vapore), anidride carbonica e ossido di carbonio (gas), e di questi solo l’ossido di carbonio (CO) è nocivo, al sangue, quando inalato. Le scorie della raffinazione, per  lo più solforose, per quanto depurate, sono nocive, come nocivi sono i prodotti degli additivi, quali il benzene, per ottenere una maggiore resa. Ribadisco che non si devono attribuire agli inquinanti da idrocarburi i cambiamenti climatici (vedere gli articoli precedenti). I più noti inquinanti, di cui volutamente non si fa il nome, degli ultimi decenni sono le “polveri sottili” (PM10) e quelle “ultrasottili” (PM2,5), queste ultime scoperte quando le precedenti cominciavano a fare meno paura, e considerate giustamente più pericolose perché difficilmente smaltibili dai polmoni in cui si insinuano. Le polveri, a cui si attribuisce anche buona parte della formazione delle nebbie, perché effettivamente condensano su di sé, e quindi lo tengono per un certo tempo in sospensione, il vapore acqueo presente al livello del suolo nel caso di “inversione termica”, si formano per incompleta combustione degli idrocarburi e escono dai tubi di scarico, ma a quanto sembra arrivano soprattutto dalla consunzione dei ferodi delle frizioni e dei freni, e dallo sfregamento delle gomme sull’asfalto, e per questo motivo non sono eliminabili neanche facendo sparire i combustibili fossili dai serbatoi. Tutti i veicoli su gomma e anche su rotaia (chi non ha presente l’odore di ruggine (ossidi ferrosi) che si forma al passaggio di tram e treni?) hanno i freni a ganasce e anche i veicoli più moderni ma dotati ancora di “marce” e “cambio” sono dotati di frizione (e i freni degli ascensori?). Ora, è vero che queste polveri metalliche che non si alzano a più di due metri da terra prima o poi ricadono, ma è anche vero che vengono risollevate in aria dal rotolamento delle ruote e, in condizioni di traffico intenso, formano uno strato inevitabilmente inalato dai pedoni e dai ciclisti; e, si dice, dagli pneumologi che le mascherine protettive “normali” non abbiano nessun effetto su di loro (come mai funzionino in Giappone non è dato di sapere; ma è un fatto che i Giapponesi le indossino anche quando fanno i turisti in Italia). In ogni caso un modo sicuro per fare ricadere a terra le polveri è di tenerle costantemente bagnate e quindi appesantite e appiccicose, come dimostra anche la sana abitudine (e un obbligo di legge) di dirigere forti getti d’acqua sul polverone formato dai cantieri a cielo aperto.

LA VERNICE CHE PURIFICA E ALTRI ACCORGIMENTI SPERIMENTALI
Da anni sono state inventate a Milano (Politecnico) e ivi collaudate delle particolari vernici che, spalmate sistematicamente sulle strade e sulle pareti delle case, hanno il potere di abbreviare i tempi di sospensione delle polveri. Perché tali vernici non siano mai state fatte usare dagli assessori resta un mistero. Rimane il dato di fatto che chiunque passi una nottata a Parigi, e in molte altre città francesi, può notare che tutte le strade vengono sistematicamente lavate per mezzo di centinaia di autobotti poste sui numerosi rilievi, da dove l’acqua viene fatta scorrere verso il basso e smaltita ai lati delle strade, costruite a “schiena d’asino”, attraverso scarichi tenuti perfettamente liberi dalle foglie, che, anche a Parigi, come a Milano o Roma, cadono dagli alberi in autunno e non solo: là le vedono e qua no, o comunque non hanno i soldi per organizzare squadre di spazzini adibiti a questo servizio (può darsi che debbano sottoporsi a un concorso internazionale, quando una volta, con meno disoccupati di oggi, bastavano appositi cartelli per raccogliere manodopera a volontà; e i condannati tipo Berlusconi non potrebbero essere utilizzati per questo servizio, che non è neanche dannoso alla salute?). Tutto questo per dire che è vero che l’intenso traffico provoca un certo tipo di inquinamento, a cui si può però rimediare (senza tuttavia rimediare al traffico) con accorgimenti sperimentati da oltre un secolo in svariate parti del mondo, Italia e Milano comprese. A Milano e a Roma questi lavori, che hanno costi diversi a seconda delle località (per esempio Roma è più simile a Parigi di Milano in quanto a dislivelli nelle strade), non vengono adottati, per pura ignoranza, negligenza e incapacità di assessori e sindaci.

L’AMBIENTALISMO, OVVERO UN’ORGANIZZAZIONE COMMERCIALE CRIMINALE
Un altro punto, che è triste dover chiarire a persone intelligenti, è che la famosa CO2, che viene misurata tragicamente dagli “esperti” a (milioni di) tonnellate, specialmente aggiungendo il riscaldamento domestico o lo smaltimento di rifiuti in bruciatori, non è per niente una polvere, che è un “solido”, ma è un gas; e “pesa” perché, come tutte le molecole e anche l’aria “pura”, ha un peso. Che gli pseudo-ambientalisti siano riusciti a mischiare la psicosi per le polveri con quella della CO2 è solo una prova che l’ambientalismo, come è oggi, è un’organizzazione commerciale criminale ben architettata per incantare i gonzi, che purtroppo sono la stragrande maggioranza, anche se distinguibili in varie classi sociali e, purtroppo, intellettuali. Quando ci fanno vedere le foto satellitari di nuvoloni neri sulla Cina o sull’India e li mettono in relazione alla formazione di polveri dovute alla combustione di sostanze fossili (perché i due Paesi sono in fortissima crescita e “bruciano” risorse) ci ingannano clamorosamente , allo scopo di impedire tale crescita, che è in concorrenza con quella germano-statunitense: le nuvole nelle foto sono vere, ma i dati ad esse associati sono falsi, qualitativamente e quantitativamente, ed è offensivo propinare al pubblico, che non resterà ignorante per sempre, informazioni “semplificate” e rese impressionanti ad arte.

SOLO UNA CORRETTA URBANISTICA PUÒ CONTRASTARE L’INQUINAMENTO
Per concludere: se prescindiamo dai problemi di approvvigionamento (e non di abbondanza) dei combustibili fossili, possiamo affermare che il traffico non è quasi per niente influenzato dall’uso di questo o quel tipo di combustibile, ma solo dall’urbanistica sconsiderata, mentre l’inquinamento locale dovuto a traffico, riscaldamento e raffreddamento domestico sarebbe annullato da un’impossibile depurazione assoluta dei combustibili oppure dal (possibile) trasporto elettrico, che però, come si è già detto, non fa che spostare l’inquinamento dai centri abitati a siti remoti (addirittura off-shore), dove hanno sede le centrali generatrici di energia elettrica, di qualunque origine essa sia. I trasporti pubblici dovrebbero essere in tal caso solo tram, treni, filobus, cremagliere, ascensori, ecc., quelli privati dovrebbero essere i costosissimi e scomodissimi veicoli elettrici (e lasciamo perdere i più costosi e pericolosi veicoli a idrogeno, che nonostante ciò si insiste a programmare di utilizzare come mezzi pubblici). Come e dove generare l’elettricità resta un problema di “veri” esperti (quelli attuali sono tutti falsi e prezzolati) e non è da escludere a priori, checché ne dicano gli ignoranti volontari, l’uso dell’energia nucleare a fissione (fra mezzo secolo, e non prima, scriverò sullo stato di sviluppo di quella a fusione calda o fredda).

ABBIAMO COMBUSTIBILE PER MILLENNI
Ultimissima considerazione: dall’inizio di questa serie di articoli ad oggi è diventata palese l’esistenza di riserve di combustibili fossili (gas di scisti o d’argilla, o “shale gas”, in particolare) per decine di secoli (=millenni) e si tratta solo di decidere la spartizione tra i 40 e più ladroni mondiali (di cui io non faccio parte, come invece insinua un mio anonimo e squinternato persecutore informatico). Chissà che fine hanno fatto le discussioni sul superamento dell’ “oil peak”, sull’arretramento della data di esaurimento dei mezzi di sostentamento per la popolazione mondiale, sul numero di esseri umani nutribili nel 2050, e così via catastrofizzando.  Sono tentato quindi di non affrontare neanche più il problema del risparmio energetico, ma lo farò per un dovere morale di (mancato) scienziato, anche se ormai non riuscirò né a interessare, né a scandalizzare gli ex-ambientalisti e i loro ex-rivali nuclearisti: ormai si saranno messi il cuore in pace, alcuni saranno trapassati, altri si dedicano ai nipotini e i più rabbiosi staranno cercando altri argomenti sui quali scaricare le loro smanie. C’è ancora qualcosa da dire sui presunti cambiamenti climatici e sul presunto “global warming”, ma alla prima occasione, che prevedo prossima, 2020 al più tardi, si passerà il colpo di spugna decisivo, facendoci credere che siamo noi a non aver capito niente: p.es. ho già sentito dire (RAI) che un ciclo di attività solare dura 22 anni e non 11 come si imparava a scuola, evitando così il confronto tra il torrido 2013 e il bagnato 2014. E del resto che fine ha fatto il buco nell’ozono? Si prevedeva una strage da melanomi, ma la gente non solo passa ore e ore esposta al sole più cocente sulle spiagge, ma, in mancanza di sole, frequenta sempre più i centri di “fitness” con lunghissime sedute di “lampade” UVA. Se ne deduce che gli “sforzi” degli studiosi, astronauti compresi, per debellare il buco nell’ozono sono stati un solo grande “buco nell’acqua”, da cui avranno tratto profitto al massimo i venditori di creme solari e di quei gas “speciali” che hanno sostituito il freon nei frigoriferi (e che in India hanno rifiutato di adottare).

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