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LA RIVOLTA LIBERALE D’UNGHERIA E IL VERO VOLTO DEL COMUNISMO, PER NON DIMENTICARE

A cura di Andrea Guenna – Poco più di 58 anni fa terminò nel sangue la rivoluzione ungherese scoppiata per conquistare la libertà contro l’oppressione comunista sovietica scaturita nell’allora Ungheria socialista che durò dal 23 ottobre all’11 novembre 1956. Fu duramente repressa dall’intervento armato delle truppe sovietiche sollecitate soprattutto dal capo dei comunisti italiani Palmiro Togliatti. Morirono circa 2652 Ungheresi e circa 250.000 (circa il 3% della popolazione dell’Ungheria) furono gli Ungheresi che lasciarono il proprio Paese rifugiandosi in Occidente.
Palmiro Togliatti non solo conosceva, ma aveva preventivamente approvato, assieme a tutti i capi comunisti dell’epoca, con l’eccezione del polacco Gomulka, la decisione di mandare a morte il leader della rivoluzione ungherese del 1956 Imre Nagy e i suoi compagni. La tesi è stata dimostrata dallo storico italiano Federigo Argentieri che ha pubblicato su Micromega documenti inediti rintracciati negli archivi di Budapest.

  • Il 21 novembre 1956, Nagy e i suoi, sulla base di un accordo ungaro – jugoslavo, dovrebbero lasciare l’ambasciata di Belgrado a Budapest e tornare liberi alle loro case. È un inganno: sotto scorta armata sovietica, vengono trascinati in Romania. Che fare di loro?
  • 29 gennaio 1957. Uno stretto collaboratore di Kadar, Gyula Kallai, riferisce al comitato direttivo del partito ungherese i risultati del suo viaggio lampo in Romania, nel corso del quale ha parlato con i deportati e vagliato minuziosamente le loro posizioni. C’è chi resta fedele a Nagy. Chi lo abbandona. Chi, come il grande filosofo ungherese Gyorgy Lukacs, non rinnega, ma contratta il ritorno a casa. Alla fine, la decisione è di “raccogliere sostanza fattuale sull’operato del gruppo Nagy”. Per verificare se “non debbano essere portati in tribunale”. Nella stessa riunione, Karoly Kiss riferisce di una visita semiclandestina a Budapest di Luigi Longo e Velio Spano.
  • 4 aprile 1957, tre del pomeriggio. A Snagov, in Romania, arrivano quattro funzionari dei ministeri degli Interni ungherese e rumeno. Gli ungheresi comunicano a Nagy che è in stato di arresto senza esibire mandati giudiziari. La sera stessa Nagy è a Budapest, nel carcere di Foutca. Il giorno successivo subisce il primo interrogatorio. Per avere del tutto chiaro quanto dura sia la sorte che attende il dirigente comunista ungherese bastano pochi mesi.
  • 21 dicembre 1957. È il compagno Janos Kadar in persona a riferire in una riunione a porte chiuse del Comitato centrale del Posu, il partito comunista ungherese. Grazia per Lukacs, Zoltan Szanto, Zoltan Vas, Szilard Uihelyi, e per la vedova di Laszlo Rajk. E invece “via libera al procedimento legale” contro Nagy, Zoltan Tildy, Pal Maleter, Ferenc Donath, Ferenc Janosy. Peccato che nel frattempo sia morto Geza Losonczy per edema polmonare e crisi circolatoria, anche se in prigione c’è chi lo ha udito gridare: “Aiuto, mi assassinano…”. Le accuse grazie alle quali “meritano il titolo di traditori della Repubblica popolare” sono essenzialmente tre: aver ceduto, nel corso dell’ insurrezione, “alle richieste controrivoluzionarie di sciogliere la polizia politica”, aver ripristinato il pluripartitismo, aver denunciato, il 4 novembre 1956, il Patto di Varsavia.

E il ruolo di Togliatti a Mosca? Un piccolo passo indietro, meno di un mese.
29 novembre 1957: è sempre Kadar a riferire al comitato centrale. Stavolta la riunione non è neanche riservatissima: il segretario generale è reduce da Mosca, dove sono appena terminate le celebrazioni del quarantesimo anniversario della rivoluzione di ottobre. Ci sono state, nell’ occasione, due consecutive conferenze dei partiti comunisti, la prima delle quali senza la partecipazione jugoslava. Kadar spiega di essere intervenuto in tutte e due. E riassume così la sua posizione sulla questione ungherese: “Rakosi (il vecchio leader stalinista degli anni di ferro, ndr.) ha fatto molti danni, ma non è passato nel campo del nemico come Nagy. La colpa di Rakosi non può assolvere i criminali Imre Nagy, Ferenc Nagy, Mindszenty e Dulles. Abbiamo detto che nel determinare la punizione attribuiremo anche le responsabilità secondo quanto detto sopra. Contrariamente ai polacchi, tutti gli altri partiti hanno approvato la nostra posizione, anche gli italiani”.
Anche gli italiani. Anche Togliatti. Che con Kadar, ovviamente, ha un incontro informale. Nel quale, stando al verbale di Kadar, sembra preoccupato soprattutto delle elezioni politiche italiane, in programma per la primavera del ’58: “Lo strumento principale dell’aggressione reazionaria è l’ arma propagandistica creata dalla questione ungherese…”. Annota maligno Kadar: “A questo punto dell’esposizione trapelava già quali fossero le inquietudini dei compagni italiani”. In Italia si vota il 25 maggio. Il processo si svolge dal 9 al 15 giugno, le sentenze di morte sono eseguite il 16. Postilla velenosa in margine a un documento spaventoso. Togliatti si premura di avvertire Kadar che molti intellettuali comunisti italiani sono in agitazione: Lukacs, violando la consegna del silenzio, ha fatto sapere loro che è in gestazione a Budapest un nuovo processo, stavolta contro gli scrittori.
Ma è Enzo Bettiza a mettere a fuoco le tremende responsabilità di Togliatti. Nel suo saggio “1956 – Budapest: i giorni della rivoluzione”, pubblicato da Mondadori, Enzo Bettiza rovescia la ricostruzione tradizionale – l’ Urss di Kruscev decide di invadere l’Ungheria, e inevitabilmente il Pci di Togliatti si allinea – e ne propone un’altra: Togliatti, insieme con Mao e Tito, ha avuto avuto un ruolo decisivo nell’imporre il bagno di sangue.
In un’intervista del 16 ottobre 2006 al Corriere della Sera (Aldo Cazzullo), dice Bettiza: “Per i leader del Pcus Togliatti era un pari grado. Per i capi del Partito magiaro era di grado superiore: Gerö era stato ai suoi ordini in Spagna. Togliatti aveva attraversato da protagonista l’era di Stalin salvando la pelle, cosa che per noi oggi è segno di gravi corresponsabilità, ma che all’ epoca oltre la cortina di ferro era fonte di immenso prestigio. Kruscev sarebbe stato disposto a una finlandizzazione, o meglio a un’austrizzazione dell’ Ungheria. Nel 1955 l’ Urss si era ritirata dall’Austria, imponendole la neutralità ma rinunciando a dividerla come aveva fatto con la Germania. Non è detto che la stessa soluzione – ritiro in cambio della neutralità – non si sarebbe potuta applicare anche a Budapest. Nel 1956 il potere sovietico, uscito sconcertato dal XX congresso, poteva accettare un compromesso; com’era appena accaduto in Polonia, dopo i morti di Poznan, con il richiamo dal carcere di Gomulka. Per il compromesso lavorava Mikojan; contro si mosse Togliatti, affiancato da Mao e in seconda fila da Tito, ed esercitò una pressione formidabile sul Presidium del Pcus. Ne abbiamo la prova nei terribili telegrammi da lui inviati. Disse Stalin che nell’ Europa centrale esistevano solo due grandi popoli, due popoli “padroni”, pronti a combattere per la loro indipendenza. Gilas pensò che volesse indicare i serbi e i croati. Erano invece i polacchi e gli ungheresi. “Ma io spezzerò loro la spina dorsale” disse Stalin. Togliatti, prima eliminando il vertice del partito polacco, poi incitando a schiacciare la rivoluzione ungherese, fece quanto Stalin desiderava”.
In realtà, quella ungherese fu una rivolta liberale e nazionale, contro il comunismo, che a Budapest cominciò a morire. E il simbolo dell’ autofagia rossa è Kádár, che Rákosi aveva umiliato al punto da fargli pisciare in bocca dal capo della polizia Farkas – è Fejtö a scriverlo per primo in una noticina – e nell’ora della tragedia si mette al servizio dei suoi stessi carnefici.

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