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QUINDICI ANNI FA MORIVA BETTINO CRAXI

(a.g.) – Era un tipo franco, diretto, quando parlava la gente capiva cosa voleva dire, e diceva cose giuste. Bettino Craxi, massacrato dai comunisti che vedevano in lui l’uomo che li stava mettendo all’angolo, è morto quindici anni fa ad Hammamet. È stato il primo socialista della Repubblica Italiana a ricoprire la carica di Presidente del Consiglio, dal 4 agosto 1983 al 17 aprile 1987, in due governi consecutivi. Nato nel 1934 a Milano era figlio di un avvocato, a 19 anni iniziò a fare politica entrando nella Federazione milanese del Partito socialista, diventandone funzionario. Quattro anni dopo, a 23 anni, fu eletto nel comitato centrale del Psi. Nel ’68, a soli 34 anni, era già deputato ed entrò nella segreteria nazionale  come uno dei vice segretari, prima di Giacomo Mancini, poi di Francesco De Martino. In quegli anni, per conto del partito, iniziò un’intensa attività di politica estera, soprattutto nei confronti dei partiti fratelli aderenti all’Internazionale socialista.Nel 1976, eletto segretario del PSI, iniziò a svecchiare il partito puntando all’egemonia a sinistra. Mentre il comunista Enrico Berlinguer optava per il compromesso storico lui replicò con la più trasparente e coraggiosa strategia dell’alternativa. Lanciò una ferma contrapposizione ideologica con il Pci esaltando il pensiero di Pierre Joseph Proudon contrapposto a Marx e Lenin. Riuscì a far cambiare anche il vecchio simbolo del suo partito (falce e martello su libro e sole nascente) con un garofano rosso. Il 4 agosto 1984 Craxi formò il suo primo governo, e a fargli da braccio destro prese con sé il futuro premier Giuliano Amato. I problemi non si fecero attendere. La grana maggiore fu da subito la decisione di accogliere in Italia i Cruise statunitensi. Ma la prova di forza decisiva per gli equilibri interni fu senza dubbio il referendum dell’85 sui punti di scala mobile promosso dal Pci. Craxi, infatti, non cercò di evitare lo scontro, e vinse quella partita che all’inizio era sembrata senza speranza. A Settembre dovette affrontare la più grave crisi diplomatica della sua carriera, quando ordinò di impedire ai marines americani di ripartire da Sigonella, in Sicilia, con i terroristi palestinesi, tra i quali Abu Abbas, responsabili del sequestro dell’Achille Lauro. Craxi rimase a Palazzo Chigi fino al 17 aprile ’87, conquistando un record: la permanenza alla guida del governo più lunga della storia dell’Italia repubblicana. Tornato alla politica di  partito, Craxi tentò di contendere alla Dc il suo primato rilanciando l’offensiva contro il Pci per creare un solo grande partito socialdemocratico. Dopo il crollo del muro di Berlino ci fu il XX congresso del Pci di Rimini da cui sarebbe nato il Pds di Occhetto per cui Bettino Craxi lanciò la parola d’ordine dell’unità socialista e nel febbraio 1989 assorbiva nel Psi una componente del Psdi. Il potere del grande leader socialista sembrava inarrestabile ma già nel 1990 gli fu gettata dai comunisti la polpetta avvelenata di Gladio. Alla conferenza stampa del 7 novembre 1990, convocata da Craxi per ribadire che lui dell’esistenza di Gladio non aveva in effetti mai saputo nulla, i giornalisti ebbero l’impressione di non trovarsi più di fronte il solito Craxi ma ad un uomo sulla difensiva. I veleni comunisti continuavano e il 17 febbraio 1992, con l’arresto di Mario Chiesa, il socialista presidente del Pio Albergo Trivulzio, prese il via Mani Pulite per la regia dell’intelligence statunitense che voleva fargli pagare lo sgarro di Sigonella. Iniziò il declino, sotto i colpi degli avvisi di garanzia, ma ci volle un anno prima che il vecchio leone decidesse di gettare la spugna e lasciare la guida del partito. Un processo che si accompagnò al disgregarsi del gruppo dirigente, con Claudio Martelli sicuro di poter salvare il partito contrapponendosi a Craxi, e con quest’ultimo determinato a non far finire il bastone di comando nelle mani dell’ex delfino, che infatti fu poi preso da Giorgio Benvenuto. Subito dopo Craxi si preoccupò di sottrarsi alla magistratura, ai suoi occhi impegnata in un’offensiva politica, in una “falsa rivoluzione”. A convincerlo dovette certo contribuire la manifestazione davanti all’Hotel Raphael (Roma), che lo costrinse ad allontanarsi in gran fretta sotto un fitto lancio di monetine. Si era tolto la soddisfazione di ottenere un No del Parlamento, dopo un appassionato discorso alla Camera, ad una richiesta di autorizzazione dei pm di Milano. Ma la via dell’“esilio” gli dovette apparire come l’unica soluzione. E si rifugiò ad Hammamet, sempre più malato di quel diabete che già nel ’90 aveva fatto temere per la sua vita.
È stato certamente un grande statista, non un ladro come vuol far credere qualcuno, ma non è stato abbastanza furbo per evitare le trappole dei comunisti, cosa riuscita invece al più scaltro Giulio Andreotti. L’Italia di Craxi era forte e rispettata, una grande potenza, in crescita. La sua amicizia coi liberali di Valerio Zanone prefigurava un’alleanza fra i due partiti per dar vita al Lib-Lab il nuovo partito laburista italiano. Non gliel’hanno consentito. E noi italiani ancora una volta abbiamo creduto alle calunnie invece che alla verità. Ma forse noi italiani siamo veramente un popolo di miserabili e non ci meritiamo statisti così.

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