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ABOLIRE IL GRECO E IL LATINO SIGNIFICA LASCIARE SPAZIO ALLA BARBARIE

Alessandria (Andrea Guenna) – Siamo sempre più ignoranti e non teniamo conto che per diventare un gigante (uomo libero e di buoni costumi, colto e giusto) bisogna salire sulle spalle del gigante – se si da al secondo gigante il significato di tradizione e cultura, insomma un gigante fatto di libri – affinché le conoscenze del passato ci arricchiscano al punto da impedirci di tornare indietro.
Tra un uomo ed uno scimpanzé non c’è molta differenza in quanto il patrimonio genetico è lo stesso al 98%, ma l’uomo parla, lo scimpanzé no. “All’inizio era il Verbo, il Verbo era Dio, il Verbo era presso Dio” dice San Giovanni Evangelista, dove per Verbo intende il Logos ma anche la parola, la frase, il verbo scritto minuscolo. È la parola che usiamo per comunicare, quindi per trasmettere conoscenza, quindi fissarla, scrivendola, su un libro. Verba volant scripta manent, per cui il verbo scritto è la base da cui l’uomo riparte prendendo l’ideale testimone da chi l’ha preceduto e che ha fatto già un pezzo di strada. Questo è il progresso, cioè la capacità di iniziare dove è arrivato che c’era prima di noi; è ciò che ci evita, come succede invece agli scimpanzé, di tornare sempre al punto di partenza e di rivivere sempre le stesse esperienze dei padri perché non hanno trasmesso la conoscenza, che evita di commettere i loro stessi errori, non potendo parlare per raccontarli. Quella conoscenza che è cultura, ovvero esperienza di chi è venuto prima e che per il mondo occidentale sboccia ad Atene e approda a Roma. Greci e latini. Platone, Aristotele, ma anche Omero e Pitagora, Seneca, Lucrezio, Cicerone e Catullo, per arrivare ai più vicini Giordano Bruno e Galilei. La storia è un viaggio nel tempo e nello spazio dove va il progresso, per cui non dimenticare i saggi dell’antichità che ci consentono di essere una civiltà matura e moderna (purtroppo da noi sempre meno) è fondamentale per non perdersi. In Italia, che sarebbe la naturale erede di quelle Tradizioni, abbiamo buttato alle ortiche il latino e lo stiamo facendo anche per il greco, ma in Francia, che è stata una nostra provincia, popolata un tempo lontano da barbari ignoranti, no. Là, a Parigi, il latino ed il greco non si toccano. In questi giorni davanti alla Sorbona c’è una protesta di studenti e professori universitari contro i tentativi di riforma della ministra dell’Istruzione Najat Vallaud – Belkacem che intende ridurre le ore di latino e greco nelle scuole superiori diluendone l’insegnamento in corsi pluridisciplinari di taglio più storico. Nell’anfiteatro dell’Università più antica di Francia, nel cuore della rive gauche, a studenti e professori si sono uniti comuni cittadini, un centinaio circa, che spontaneamente hanno aderito alla manifestazione in difesa di tradizioni che, a ben guardare, non sono solo dei francesi ma soprattutto nostre, e purtuttavia sono difese solo da loro. Nel gruppo ci sono anche intellettuali come il filosofo Regis Debray che denuncia la miopia della classe dirigente e il tentativo di sostituire i verbi coi numeri. Mentre i soliti socialisti al potere bollano l’insegnamento di Omero e Catullo come elitario, gli alfieri del classicismo ricordano che oggi, nelle scuole superiori di Francia, a scegliere le opzioni di latino e greco sono ancora mezzo milione di studenti. E aggiungono che elitario sarà invece l’inglese riservato a chi può permettersi viaggi studio all’estero, mentre davanti a latino e greco siamo tutti uguali. Ma noi italiani, a differenza dei cugini d’oltralpe, preferiamo studiare, male, l’inglese anziché conoscere, bene, le nostre tradizioni, finendo per parlare male l’italiano, declinando dalle lingue straniere termini obbrobriosi come, preziosità, revanscismo, design, equipe, quando si potrebbe dire pregio, rivalsa, linea, squadra, o ignorando che altri termini come record, sponsor, media, junior, senior, che in molti credono essere inglesi, sono in realtà latini. Qualcuno che mi piace sempre di più amava ripetere che chi non sa portare le proprie armi finirà per portare quelle degli altri, e noi, oltre al resto, per analogia estensiva stiamo portando anche le “armi” della lingua dei nuovi barbari.

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