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BREVE VIAGGIO NELLA FOLLIA E NEL MALGOVERNO ALESSANDRINO

PARTE SECONDA: COME INQUINARE LE FALDE FREATICHE CHE DANNO DA BERE ALLA GENTE –
Proseguendo il nostro breve viaggio nella follia e nel malgoverno alessandrino occorre fare una piccola deviazione verso Cascina Bolla di Molinetto (nella foto) e le sue cave di inerti che hanno scoperchiato le falde freatiche sottostanti che alimentano il vicino acquedotto. Ciò serve per cercare di capire l’assurdo  comportamento  autolesionistico dell’attuale classe di potere alessandrina riguardo all’acqua, principale ricchezza del nostro territorio. Per farlo occorre risalire all’indietro nella nostra storia. Nei lontani tempi oscuri, dominati dal magico e dall’irrazionale, alchimisti, maghi, streghe ed affini, anche rischiando il rogo, consumarono le loro notti alla ricerca della “pietra filosofale”, arcana invenzione dell’uomo, in grado di mutare materiali vili in oro. Nonostante  sforzi, durati più di un millennio, fu fatica sprecata. A trovare la pietra filosofale dei tempi moderni furono  i cavatori di inerti in combutta con sindaci e politici. Fu così che un lavoro da miserabili, fino a quando praticato con badili e carretti, divenne da miliardari utilizzando scavatori meccanici ed autocarri. Ad Alessandria la lezione fu imparata alla grande e per alcuni si aprirono le porte del paradiso. Per entrarvi non occorrevano grandi capacità. Erano sufficienti ottimi rapporti con i politici e non essere avari con loro, specie in tempi di elezioni. Per effettuare il miracolo bastava ricevere un permesso di scavo per alcuni milioni di metri cubi di inerti ed istantaneamente, come per magia, il prezzo di un banale terreno agricolo cresceva di 2-3000 volte ed anche di più. Ed un poveraccio diventava miliardario. E  non era ancora finita. Una volta estratti e venduti gli inerti restava un bel buco. Un’altra volta intervenivano sindaci e politici con il loro tocco magico a moltiplicarne il valore di migliaia e migliaia di volte. Con un piccolo permesso il “buco” diventava ufficialmente una “discarica”. All’inizio, specie quando non si faceva nessuna differenza tra inerti e rifiuti altamente tossici, i guadagni furono da capogiro. Ancora  più del cavare e vendere gli inerti. In verità vi erano alcuni divieti, facilmente aggirabili e del tutto ignorati dai sindaci e dagli altri organismi di governo, partecipanti più o meno occulti al grande gioco. Ad esempio era vietato, cavando sabbia e ghiaia, scoperchiare le falde delle acque di profondità che alimentavano i pozzi, mentre era duramente condannato (e a ragione, perchè il farlo è criminale) riempire i laghetti che ne risultavano. Ma le leggi, si sa, in Italia sono fatte solo per i nemici che sono gli unici che devono rispettarle. Per gli amici e gli amici degli amici le leggi si “interpretano” e chi è ben ammanigliato può fare tranquillamente ciò che vuole. Abbandonata Cascina Bolla di Molinetto e le sue falde scoperchiate mentre il Comune da mesi e mesi discute come riempirle con lo smarino ricavato dallo scavo della demenziale galleria di 54 chilometri del Terzo Valico, senza provocare rivolte popolari e finire sotto processo, ci dirigiamo verso Alessandria circonvallazione, valicando il Bormida fino al platano di Napoleone, simbolo della città. In verità Napoleone non l’ha mai piantato, ma a noi alessandrini piace così e fingiamo di crederlo e lo raccontiamo in giro mentendo  un pochino per vanagloria. Alla sinistra della mitica pianta, in un’area golenale periodicamente allagata dalle piene del Bormida, sorge, o meglio avrebbe dovuto sorgere l’abortito Palazzo dell’edilizia, sfarzoso, munifico ed  autoincensante edificio voluto da un gruppo di impresari edili locali che, per loro incompetenza, si sono fatti rifilare dal mitico architetto Daniel Libeskind un progetto ultra avveniristico, che pare tratto da un fumetto di Gordon, ma con il marginale piccolo difetto di non stare in piedi. Per questo, poco dopo l’inizio, i lavori sono stati interrotti in attesa di sistemare un complesso contenzioso tra progettista e committenti. Lasciata l’incompiuta opera, con le sue rugginose armature in ferro proiettate verso il cielo in un gesto disperato e già costato 700.000 euro più il costo del terreno, ci si dirige  verso il centro  città con in mente un pensiero: come mai non si è raddoppiato il ponte sul Bormida di cui vi era e vi è un grandissimo bisogno, mentre si sono sprecate montagne di soldi per rifare i ponti sul Tanaro che non erano assolutamente da rifare? Il primo, del Cittadella, non è mai stato assolutamente intasato, e quindi non è mai stato causa di alluvione, mentre il secondo, del Sanatorio, vera causa dell’alluvione, aveva sei arcate su nove chiuse fino alla volta (ci sono fotografie che lo testimoniano) e bastava ripulirlo mandando in galera chi non aveva fatto la manutenzione cui era tenuto per legge. Subito dopo il Palazzo dell’edilizia, inizia invece il più grande spreco di questi ultimi decenni, costato 25 anni di scontri clandestini, giochetti politici inconfessabili, corruzioni, intrallazzi e scambi di proprietà, riuscendo alla fine anche a perdere quattrini da parte di gruppi di furbetti riccastri, ma incapaci di reggere il gioco quando diveniva veramente pesante. Tutto ha inizio con il bellissimo Piano regolatore del 1973, valida opera dell’architetto Luigi Mazza, ultima degna di un paese civile, che prevedeva giustamente un novello ponte sul Bormida “a valle” dell’attuale, dietro la Cascina Pederbona. Per motivi inconfessabili e per valorizzare l’area cosiddetta di Alessandria 2000 che apparteneva ad amici e amici degli amici, si era in seguito deciso di spostare il ponte “a monte” dell’attuale. All’inizio il gioco sembrava una vera furbata. L’enorme zona compresa tra il platano di Napoleone e la ferrovia era un’area golenale. Un’area golenale ha solo un valore agricolo, ma quando la si chiude, naturalmente a spese pubbliche, trasformandola magicamente in residenziale, il prezzo della stessa va alle stelle. E così è stato per Alessandria 2000, furbescamente chiusa con la costruzione della tangenziale. Ma tutti, presi a rissare tra loro per la spartizione del bottino e a fermare i lavori per impedire che se ne impossessassero i rivali in competizione, sbagliarono i propri calcoli e l’operazione durò molto più del previsto e del dovuto. Nel frattempo mentre gli speculatori litigavano tra loro, a causa della  mala amministrazione della città, era crollata la popolazione e così pure il reddito reale dei suoi abitanti, e quindi anche la domanda di nuove residenze. Fu così che nei terreni edificabili ricavati, che si sperava di trasformare in oro, per mancanza di domanda si installarono solo alcuni servizi pubblici come i Vigili del fuoco, trasferiti d’imperio, nonchè un grandissimo centro commerciale, che oltre tutto va male per mancanza di pubblico, mentre l’edilizia residenziale si è interrotta alle prime costruzioni. A completare l’opera, anche il poco costruito è più simile alle tristi periferie di Roma e di Napoli che agli efficienti centri residenziali della moderna Europa. (Continua).

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