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DOPO L’ANNIVERSARIO DI HIROSHIMA E NAGASAKI PROVIAMO A PARLARE DI ENERGIA NUCLEARE AL SERVIZIO DELL’UOMO

Ogni anno dal 1946 fra il 6 e il 9 agosto si commemorano gli oltre 400.000 morti di Hiroshima e Nagasaki nel 1945, dimenticando, un po’ ingiustamente, i 400.000 morti del bombardamento di Tokyo avvenuto nel marzo precedente (per citare solo le stragi della guerra nippo-americana). Da quando poi esistono abbondanti documentari dell’epoca, ma soprattutto di 20 anni dopo, tutti i canali televisivi traboccano di filmati, il più possibile “inediti”, anche se dopo 70 anni è quasi impossibile trovarne di nuovi. Di solito il giorno 6 segna il massimo di questa celebrazione, trascurando spesso la bomba di Nagasaki (lanciata il 9), che in fondo aveva provocato “solo” circa 50.000 morti, ma che costituiva per gli Americani un importantissimo test sulla maggiore efficacia della bomba al plutonio rispetto a quella all’uranio.

IL CINISMO DEGLI INTELLETTUALI
L’occasione, benché tristissima, è, o sarebbe, utile per una ricostruzione degli avvenimenti, sia storica che tecnologica, in modo che le nuove generazioni (e direi soprattutto quelle vecchie, che bene o male tengono ancora in mano il potere e, col potere, l’ignoranza propria e del popolo) capiscano sempre più e meglio ciò che è successo. Per esempio, questa volta ho sentito spiegare chiaramente che gli Americani lasciarono passare solo tre giorni fra i due lanci perché si era avuto sentore che i Giapponesi, ancora non piegati dal bombardamento di Tokyo in marzo e da quello ancor più crudele, se possibile, di Hiroshima, erano propensi per la maggior parte a non arrendersi ancora (in realtà questa era l’intenzione dell’Imperatore, perché anche nel lontano Oriente il Popolo conta come il due di picche). Si pensava infatti che quella di Hiroshima fosse la prima, ma anche l’unica bomba utilizzabile dagli Americani, visto che solo dal 1938 ci si era messi a lavorare sul progetto, addirittura in grave ritardo rispetto ai Tedeschi, che, prima o poi, si pensava, sarebbero riusciti a venire in aiuto agli “alleati” giapponesi con la “superbomba” (non ci riuscirono, come sappiamo). Gli Americani, che in realtà avevano solo due prototipi completamente diversi (e quello di Hiroshima era il meno potente) decisero di terrorizzare l’Imperatore lanciando subito il secondo, senza neppure sottoporlo a test: la strage di Nagasaki fece da test della bomba al plutonio (molto ben riuscito) e l’Imperatore cominciò a pensare che gli USA avessero un arsenale capace di radere al suolo il Giappone, per cui capitolò. A me sembra una spiegazione molto ingenua (che ci stavano a fare le spie?), ma così la raccontarono anche molti giornalisti contemporanei. Per la cronaca, aggiungo che la prima bomba era ad uranio 235 (cioè il famoso “arricchito”, già testato, una volta sola, con successo in USA), mentre la seconda era al plutonio, molto più potente, ma con innesco all’uranio, che purtroppo funzionò. Si esauriva così l'”arsenale” nucleare americano, ma fu sufficiente a porre termine alla seconda Guerra Mondiale, con grande soddisfazione di sociologi e filosofi che videro il fatto come “il risparmio di altri milioni di vite umane” e la possibilità di una ripresa economica: il cinismo degli intellettuali (e dei finanzieri) è pari solo a quello dei potenti.

PERCHÉ INVECE DELLA BOMBA NON PARLIAMO UN PO’ DELLA PILA ATOMICA?
Quello che ancora non si dice (o mi è sfuggito) è il criterio con cui furono scelte proprio le città di Hiroshima e Nagasaki, che militarmente non erano più importanti di tante altre città giapponesi, del resto ormai ridotte a macerie. Lessi negli anni 50 che la scelta fu concordata tra i governi americano e giapponese, che decisero così di non completare la distruzione di Tokyo. Del resto “Roma Città Aperta” è il frutto di accordi fra generali nemici, così come tanti altri obiettivi di particolare valore artistico o storico: ah, come erano sensibili alla bellezza i potenti di allora (a qualunque schieramento appartenessero)! Non meno di quanto si dice lo fosse Nerone.  A parte ciò, nessuno dei canali televisivi che ho visitato ha parlato dei possibili usi civili della fissione, se non in qualche fuggevole fotogramma dove si vede Enrico Fermi mettere a punto la famosa prima “Pila Atomica” a Chicago, che si presentava come un ammasso di mattonelle di grafite (che servivano a rallentare i neutroni: infatti questi erano emessi troppo veloci dalle fissioni dell’uranio 235 che in quel primo esperimento generava la maggior quantità di energia da trasformazione della materia, secondo l’ormai famosissima e tuttora misconosciuta formula di Einstein, che questa volta non riproduco). La Pila di Fermi nell’interpretazione odierna di questi primi “reportage” è considerata solo un piccolo successo di laboratorio per dimostrare la fattibilità di sistemi a fissione controllabili, o modulabili, che dir si voglia (la bomba non richiede di essere controllata: scoppia in una frazione di secondo e genera tutta l’energia generabile, anche se la dispersione è notevole): la potenza termica del “mucchio di grafite” era di soli 500 W, ma non si tiene conto che tutta la struttura conteneva già, ad eccezione del non trascurabile sistema di raffreddamento, tutti gli ingredienti non solo per la bomba atomica, la cui costruzione fu poi affidata a Oppenheimer (e che non richiedeva raffreddamento), ma soprattutto delle centrali elettronucleari per uso civile che ancora oggi (e sono circa un mezzo migliaio funzionanti) contengono quegli stessi ingredienti, sistemi di sicurezza e di autospegnimento inclusi. Insomma, in piena trattativa con l’Iran per concedergli finalmente la costruzione di centrali elettronucleari per uso civile, non si è approfittato per evidenziare la differenza tra uranio fissile per bombe e uranio fissile per centrali, che invece è tuttora il nocciolo della questione (si tratta di evitare che l’Iran “arricchisca” di nascosto di uranio 235 l’uranio naturale per portarlo a livelli che consentano di costruire bombe, da lanciare nei Paesi nemici confinanti o più o meno lontani). Si spera che un giorno un vero divulgatore scientifico spieghi la questione ai politici di tutto il mondo, e a Israele.

FISSIONE E FUSIONE
E, a proposito di divulgazione, aggiungerò che nella stessa giornata il programma televisivo Nautilus, trasmesso e replicato spesso su vari canali della RAI, ha preteso di cancellare completamente l’argomento “fissione” (evitando così eventuali sospetti di simpatie verso una tecnologia, quella della fissione nucleare, che in Italia e in molti stati europei è blasfemo nominare) per spiegare invece la “fusione nucleare”, con le parole di un certo professor Martin di Padova (e di dove, se no?), sedicente divulgatore che ha scritto “addirittura” un libro, debitamente reclamizzato, sulla fisica nucleare e che ha mostrato diversi “giochetti” (sarebbe un’offesa al buon senso chiamarli “modelli”) per rappresentare al volgo e all’inclita il fenomeno che avviene sul “Sole e l’altre stelle”. Ebbene sì, si ammette che la “fissione” nucleare esiste per uso civile da oltre mezzo secolo ed è diffusa più o meno palesemente in tutto il mondo, ma la si liquida, da parte del “professore” dicendo che non si deve usare “perché pericolosa ed è dubbio il trattamento sicuro delle scorie che produce”  (a questo punto il conduttore approva entusiasticamente). Allora, siamo d’accordo: “la fusione nucleare è la fonte energetica inesauribile e pulita del futuro”. Futuro quanto? Dopo avere affermato candidamente che decine di migliaia di scienziati in tutto il mondo e specialmente in Europa vi hanno già lavorato per oltre 50 anni senza ottenere un risultato, è stata fatta la previsione che fra 40 anni (e chi lo vede più il Martin pescatore tra 40 anni per reclamare?) si avranno i primi reattori nucleari a fusione funzionanti; c’è ancora da risolvere qualche “piccolo” problema, come il contenimento di un non meglio specificato “plasma” a 15 milioni di gradi centigradi, ma per il resto tutto è sotto controllo, grazie a qualche decina di laboratori universitari sparsi per l’Italia e l’Europa, che forniscono parti più o meno grandi all’enorme reattore ITER in costruzione a Cadarache, Francia. In realtà il signor divulgatore è partito dal programma inglese Jet, antichissimo, forse degli anni ’70, e ha fatto intendere che i laboratori italiani stiano ancora lavorando per Jet; nessuno, naturalmente, l’ha corretto, e io comincio a temere che sia addirittura vero, mentre l’ITER di Cadarache potrebbe far capo a JET per non ripetere esperimenti o ricerche già eseguiti. Comunque alla domanda: “Se il contenitore a 15 milioni di gradi si rompe, che cosa succede?”, la risposta, sfacciatissima perché contraria al senso comune, è stata: “Tutto il sistema si spegne automaticamente e non c’è nessun pericolo!”. Ma ci si chiede mai quanto tempo ci vuole e quali dissipatori occorrono per smaltire il calore anche di un sassolino a 15 milioni di gradi? Del resto anche il reattore a fissione di Fukushima si era spento immediatamente al primo allarme, ma ci ha fatto la sorpresa di raggiungere picchi di temperatura altissimi (un migliaio di gradi, ed è esploso il soffitto a causa dell’idrogeno!), perché insieme al reattore si è fermato anche il sistema di raffreddamento ad acqua e i processi di riscaldamento già in atto si sono trovati liberi di crescere a valori imprevisti, ma soprattutto inarrestabili in tempo utile.

LA PUERILE LEZIONCINA DEL DIVULGATORE DI PADOVA
Sia come sia, il divulgatore, imperterrito, e gli altri ricercatori e ricercatrici operanti in Italia per Iter hanno ignorato bel bello il sistema a fusione Ignitor, sviluppato da decine di anni, e ben lontano dal completamento, a Boston dal cocciuto e vecchissimo professor Coppi; anche se certamente Ignitor sarà pronto molto prima di 40 anni da oggi, benché con risultati molto modesti. La spiegazione del Martin, veramente penosa a livello divulgativo, facendo uso di termini noti solo a studenti universitari di buon livello, è stata della durata di una mezz’oretta ed è stata ammannita (a meno che non si trattasse di un abile videomontaggio, il che produceva lo stesso effetto), a un gruppo di studentelli, tenuti sempre al buio forse per nascondere le facce stupite o annoiate.  In nessun momento della rappresentazione gli è venuto in mente di dire che “fusione” in questo caso particolare (e anche molto particolare) non significa per niente e mai “scioglimento” (come può essere un metallo che si liquefa sotto l’effetto di un migliaio di gradi di temperatura), ma riunione o accostamento (forzato) di materiali; gli è scappato di fare anche un’analogia col ghiaccio, aumentando a livelli estremi la confusione di termini. Sfido chiunque abbia assistito a quel programma, conduttore compreso, a ripetere “con parole sue” la successione di processi fisici che avviene in un reattore a fusione che il più delle volte è presentato come una ciambella, come da mezzo secolo siamo abituati a vedere al CERN, ma altre volte è presentato come un acceleratore lineare, senza spiegare questa sua funzione che effettivamente esiste in un reattore a fusione. È stato detto in effetti che il reattore è costituito principalmente da un contenitore magnetico toroidale (ciambella col buco!), ma non sono mai state date le dimensioni, anche se alcuni filmati mostravano ometti e donnine che si muovevano all’interno di una specie di piccola arena. Nè si è parlato di potenza prevista, almeno nel prototipo. Si è sorvolato sul fatto che deuterio e trizio, alla base del fenomeno, sono isotopi (e che è un isotopo?) dell'”inesauribile” idrogeno, dalla cui forma base (semplice protone) non si otterrebbe comunque nulla, e quindi, come in altri casi più modesti in cui c’entra l’idrogeno, c’è da spendere un sacco di energia per separare del buon deuterio e del buon trizio da far “fondere” insieme nel reattore. Veramente la parola “fondere” e “fusione” è stata ripetuta un talmente grande numero di volte che alla fine sfido chiunque a sostenere che si trattasse della riunione forzata di particelle e non della colata di qualche fantascientifico liquido. Non è stato poi spiegato (e nessuno lo fa mai) il concetto fondamentale: si spacca un nucleo (di uranio) e si ottiene grande energia; si uniscono insieme due nuclei di idrogeno e si ottiene grande energia: perché mai da due operazioni contrarie si ottengono effetti uguali? Non è banale, e quindi lo spiegherò in un’altra occasione, anticipando solo che c’è in gioco una caratteristica dei vari nuclei atomici che si chiama “difetto di massa”, che fa sì che alcune coppie di isotopi siano adatte a generare energia da “fusione”, mentre altri isotopi, generalmente molto pesanti, generano energia da “fissione”. “Generare” energia significa qui ottenere più energia di quella che si deve comunque spendere per attivare il fenomeno fisico scelto, di fissione o di fusione.

LA PANZANA DELLA  FUSIONE FREDDA E I LEGGENDARI ROSSI E FOCARDI
Unico aspetto positivo dell’intero programma è stato quando, messo a tacere il Martin dopo un’incomprensibile dimostrazione di un giochetto con bottoni che ha molto divertito, ma non convinto, il conduttore, un’onesta e carina “giornalista scientifica” ha finalmente, ma tardivamente, sbugiardato i signori Pons e Fleischmann, che nell’ormai lontano 1985 hanno messo in subbuglio il mondo scientifico, facendo dissipare fiumi di finanziamenti in praticamente tutti i laboratori di fisica del mondo, proclamando di avere scoperto la “fusione fredda”.  Entrambi gli “scienziati” credo che siano oggi dediti all’agricoltura, ma molti epigoni, apparentemente ignoti alla simpatica giornalista, non si sono dati per vinti: una è l’ambientalista Milly Moratti, che però forse ora si occupa meritoriamente dei figlioletti, ma altri due sono ancora in campo: i leggendari Rossi e Focardi, che hanno scoperto una fusione fredda così segreta che perfino loro stessi non saprebbero (non sanno) descriverla, ma che è stata offerta invano anni fa ai Greci come soluzione della loro crisi economica, ed è rientrata mestamente in Italia (dopo un’autorevole visita da parte di scienziati nordici, che non l’hanno tuttavia adottata) ed è da circa cinque anni promessa in vendita a prezzo stracciato in tutti i supermercati (d’Italia) per scaldare le case a costo zero per mezzo di una radiazione nucleare di origine sconosciuta. Insomma, questo è ciò che si è ricavato di scientifico in TV e dai giornali in una giornata  che si sarebbe dovuta dedicare esclusivamente alla riduzione dei pericoli di guerra, nucleare o non nucleare, nascosti sotto le ceneri di centinaia di focolai di tutto il mondo. Ed è stata una vera occasione sprecata, anche se ha confermato l’ignoranza mondiale sulle tecnologie energetiche chiamate genericamente nucleari, ma ormai suddivisibili in decine di categorie, a partire naturalmente dalle grandi famiglie di fusione e di fissione (e belliche o civili).

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