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ALTRO CHE CINGHIALI ASSASSINI, È L’UOMO IL PIÙ CRUDELE DEGLI ANIMALI

di Mariangela Corrieri – Scrivono i quotidiani: “Continuamente si leggono notizie che hanno per protagonisti i cinghiali”. Aggressioni, incidenti stradali, danni all’agricoltura (tutte situazioni che scaturiscono dall’invasione antropica, dal fatto che i cinghiali non trovano nel bosco le risorse alimentari e le condizioni etologiche necessarie). Ma sono i quotidiani che scrivono e scelgono di scrivere ciò che si legge e si legge solo di un argomento: animali che aggrediscono gli uomini (raramente) e non di uomini che uccidono miliardi di animali ogni anno. È facile capire come i potenti cacciatori premano a ogni porta con tutta la loro capacità impositiva, per risolvere il problema cinghiali fucilandoli, mentre i cinghiali e l’80% dei cittadini siano impotenti. Costoro non hanno voce, non hanno sovranità in una società che si inchina ai poteri forti e dimentica la democrazia tanto da emanare continuamente norme e disposizioni a favore di quel misero plotone di circa 700.000 su 60 milioni di cittadini. I cinghiali vanno uccisi e i valori di pace, armonia, non violenza che l’umanità persegue tanto faticosamente, possono andare a farsi friggere. La frase di Ovidio “la violenza contro gli animali è il tirocinio della violenza contro gli uomini” non ci scuote minimamente. D’altra parte sono anche milioni gli umani uccisi, stuprati, seviziati, torturati, affamati, schiavizzati da altri umani. Per questa carneficina, secondo il principio dei cacciatori e dei loro amici si dovrebbe sopprimere l’umanità colpevole. No, certo. Ci consideriamo al di sopra di tutto e di tutti anche se nessuno, a parte noi stessi, ci ha mai onorato del titolo di specie superiore. Perché avvengono questi rarissimi assalti di cinghiali se il cinghiale è un animale altamente tranquillo e intelligente? “Nomade e amante del quieto vivere la sua presenza è incompatibile con un sovraffollamento umano”; “se non è provocato o ferito non aggredisce l’uomo ma, continuamente attaccato o costretto a fuggire dai cani ha acquisito una tale avversione verso questi animali da attaccare tutti quelli che gli capitano a tiro”; “l’attaccamento della madre ai figli è notevole; essa non esita ad affrontare qualsiasi avversario” (da “Il cinghiale” del Prof. Franco Nobile, cacciatore ed esperto di cinghiali) (nella foto una mamma-cinghiale morta per aver difeso il suo cucciolo che non riesce a staccarsi da lei) . Probabilmente perchè numerosi sono gli ostacoli al nomadismo del cinghiale che ama variare il luogo del suo foraggiamento, il deterioramento dei boschi, i limiti ambientali. Ma se l’uomo ha sempre cacciato i cinghiali tanto da estinguere quello autoctono maremmano, domandiamo: com’è che dopo 30 anni di calendario venatorio, caccia di selezione, caccia in deroga, caccia di ogni tipo, i cinghiali proliferano? Da molti studi scientifici tedeschi e francesi condotti da ricercatori cacciatori sappiamo che la fertilità dei cinghiali è notevolmente più alta quando sono sottoposti a pressione venatoria elevata. Gli animali selvatici hanno meccanismi di autoregolazione secondo la legge della “capacità portante” legata a spazio e cibo disponibile; gli interventi umani, come quelli legati alla caccia, sono causa di squilibri. Uccidere animali non risolve il “problema”, quelli che rimangono diventano più prolifici, o hanno maggior probabilità di raggiungere l’età adulta, cosicché in breve tempo si raggiunge lo stesso numero iniziale. Alcuni cacciatori prendono spunto dall’aggressione di Cefalù (ma chi li ha portati i cinghiali in Sicilia dove non esistevano?) per denunciare una “situazione fuori controllo” e, purtroppo per loro, “ostacoli di natura ideologica”. Chi pretende il rispetto delle leggi per loro è un ideologo. Ma i cacciatori, con il rigore intellettuale possibile anche se improbabile, abbandonando la contraddizione palese nel dichiararsi tutori della natura mentre la distruggono, dovrebbero conoscere e riconoscere quanto la proliferazione dei cinghiali e degli altri ungulati dipenda unicamente da loro. Dovrebbero perciò intervenire. Come? Semplice. Basta allevamenti, basta ripopolamenti, basta foraggiamenti. 1. Allevamenti.Il cinghiale viene prodotto in allevamenti intensivi, semi-intensivi ed estensivi principalmente per ripopolamenti venatori e per scopi alimentari. Le condizioni di vita in un recinto sono spesso aberranti per nutrimento artificiale, sovrappopolazione, struttura sociale anormale e ostacolo al nomadismo. Creano un animale disturbato. 2. Ripopolamenti. I cacciatori li chiedono e le istituzioni sono sempre pronte e disponibili ad accontentarli; i cinghiali si diffondono. Esiste in Parlamento un esemplare Disegno di legge presentato nel 2009 dai senatori Donatella Poretti e Marco Perduca: “All’art. 21 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, è aggiunto il seguente comma: 4. È sempre vietato a chiunque immettere in libertà sul territorio nazionale, sia a fini di ripopolamento sia ad ogni altro fine, esemplari di cinghiale di qualunque sottospecie o razza. Per la violazione del divieto di cui al presente comma, si applica la sanzione amministrativa da euro 500 ad euro 1500 per ciascun esemplare”. 3. Foraggiamento. Rompe l’equilibrio biologico rendendo i cinghiali meno soggetti alla selezione naturale operata dai rigori invernali anche se il tasso di mortalità dei porchetti è piuttosto elevato e nei primi otto mesi di vita può raggiungere il 30-40%. In conclusione la caccia non è un rimedio efficace per contrastare i danni degli ungulati, anzi, attraverso la perdita della sincronizzazione dell’estro e l’aumento della fecondità, potrebbe essere considerata come una causa dei danni stessi. L’uso di metodi alternativi di controllo sembrano al contrario molto efficaci. Senza considerare il rimedio principe: blocco dei ripopolamenti.

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