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SILVIA VEGETTI FINZI: IL FIGLIO NON PUÒ FARE A MENO DI UNA MADRE E DI UN PADRE

Tratto da UCCR – In un’intervista al Corriere della Sera la psicologa Silvia Vegetti Finzi, docente di Psicologia Dinamica all’Università di Pavia, membro del Comitato Nazionale di Bioetica e dell’Osservatorio Permanente sull’infanzia e l’adolescenza, fa riferimento a Sigmund Freud che definisce l’Edipo “l’architrave dell’inconscio”, cioè “il triangolo che connette padre, madre e figlio. Entro le sue coordinate si svolgono i rapporti inconsci erotici e aggressivi, animati dall’onnipotenza Principio di piacere, voglio tutto subito, che coinvolgono i suoi vertici. Per ogni nuovo nato il primo oggetto d’amore è la madre ma si tratta di un possesso sbarrato dal divieto dell’incesto, la Legge non scritta di ogni società”. La rivalità con il padre, nell’immaginario, è automatica e termina per due motivi: per il timore della castrazione, la minaccia di perdere il simbolo dell’Io, e per l’obiettivo riconoscimento della insuperabile superiorità paterna. Non potendo competere col padre, il bambino s’identifica con lui e sceglie come oggetto d’amore, non già la madre, ma la donna che le succederà.
Attraverso questo gioco delle parti, dunque, il figlio riesce a prendere “il posto che gli compete nella geometria della famiglia, assume un’identità maschile e si orienta ad amare, a suo tempo, una partner femminile. Tralascio qui il percorso delle bambine, troppo complesso per ridurlo a mera specularità. Ma già quello maschile è sufficiente a mostrare come l’identità sessuale si affermi, non in astratto, ma attraverso una messa in situazione dei ruoli e delle funzioni che impegna tanto la psiche quanto il corpo dei suoi attori”.
Noi non abbiamo un corpo, ma siamo il nostro corpo, come dice Merleau Ponty, e “non è irrilevante che esso sia maschile o femminile e che il figlio di una coppia omosessuale non possa confrontarsi, nella definizione di sé, con il problema della differenza sessuale. La psicoanalisi non è una morale e non formula né comandamenti né anatemi ma, in quanto assume una logica non individuale ma relazionale, mi sembra particolarmente idonea a dar voce a chi, non essendo ancora nato, potrà fruire soltanto dei diritti che noi vorremo concedergli”.
Contrariamente alla psicologa Vegetti Finzi si è posto lo psicoterapeuta Fulvio Scaparro, ma con argomenti tutt’altro che validi. Ha infatti sostenuto che i buoni genitori non sarebbero tali sulla base del loro orientamento sessuale, ma sul clima e l’attenzione che, di fatto, distinguono una buona famiglia da una che non lo è.
In realtà Vegetti Finzi non ha affatto affermato che il problema sia o non sia la “bontà” dei genitori, ma ha basato il suo ragionamento sul complesso di Edipo e dell’impossibilità per due genitori dello stesso sesso di interrompere tale processo permettendo al figlio di acquisire una propria identità all’interno della famiglia. Anche con tutta la buona volontà che possono metterci, i “genitori gay” sono innanzitutto impossibilitati a far confrontare il bambino con la differenza sessuale.
Scaparro ha anche sostenuto l’altro noto cavallo di battaglia: “oggi l’identità non si costruisce solo nel rapporto con i genitori. La famiglia in cui si diventa grandi non è solo la coppia genitoriale ma un’intensa rete di persone di ogni sesso che vanno dagli zii all’allenatore, agli amici dei genitori che diventano affettuosi modelli al di là del grado di parentela”.
Notiamo subito che Scaparro si riferisce al presente, come se in passato non ci fosse stata questa importante rete di relazioni. Anzi, siamo proprio in una società in cui la rete di parentela (unita e coesa) citata da Scaparro è in fortissima crisi rispetto al passato: divorzi, madri e matrigne, padri e patrigni, fratelli e fratellastri, madri single, padri assenti ecc., e la situazione è certamente più drammatica proprio per i soggetti omosessuali, frequentemente in rotta con i propri genitori, anche a causa del loro comportamento sessuale. Sembra inoltre davvero assurdo sostenere che la presenza dei due genitori sarebbe sostituibile con una buona rete familiare, ed inoltre non è realistico pensare che una figura esterna alla famiglia in senso stretto sia in grado di interrompere il complesso di Edipo nel bambino, aiutandolo così ad assumere il proprio ruolo all’intero della sua famiglia.
Scaparro indica infine come fondamentale per il bambino “uno sviluppo cognitivo e psicologico equilibrato”.
Ed è proprio l’equilibrio quello che non può dare una famiglia composta da un doppio padre o una doppia madre, i quali pretendono di sostituirsi all’equilibrio naturale di un padre e una madre, naturale perché è la natura ad aver previsto che solo attraverso l’unione di queste due figure si può generare naturalmente un nuovo essere umano.
Lo sottolinea anche Francesco Paravati, presidente della Società Italiana di Pediatria Ospedaliera (SIPO): “Avere due mamme, con una mamma che fa da papà, diventa difficoltoso, anche nei riscontri dell’ambito sociale. Il punto principale è la crescita in uno stato di confusione per quanto riguarda i punti di riferimento genitoriali, importante nella vita psicologica di un bambino”.
Giuseppe De Mauro, presidente della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS), ha a sua volta sostenuto: “Se la famiglia è il punto di riferimento, allora io che sono figlio di due gay come posso fare tutto il contrario di quello che fanno i miei genitori? Ci sono attività e comportamenti che il bambino vuole condividere con il padre e altri con la madre. Noi dobbiamo combattere sul fatto che il nucleo uomo-donna-bambini non deve sfaldarsi”.
Molto importante, in risposta a quanto detto da Fulvio Scaparro, il pensiero del filosofo Adriano Pessina,  docente di Filosofia morale all’Università Cattolica di Milano, della quale dirige il Centro di Bioetica. Ha spiegato: “nel dibattito sull’omosessualità si tende a negare che esista una differenza fra maschile e femminile, sostenendo che sia indifferente essere maschio o femmina e che sia dunque indifferente che una coppia sia formata da un uomo e una donna oppure da due donne o da due uomini. Tanto l’importante sarebbe amarsi…”.
Ma il maschile e il femminile sono necessari per la definizione stessa della condizione umana “e non si può certo sostenere che la differenza fra uomo e donna sia una teoria cattolica: è invece fondamentale persino per l’evoluzionismo. La complementarietà tra i due sessi è decisiva per tutti: una società matura deve valorizzare la differenza, non mortificarla”.
Dunque a livello politico “è giusto che lo Stato tuteli con maggior vigore la famiglia eterosessuale come luogo della nascita. Un conto è parlare del riconoscimento di alcuni diritti giuridici degli omosessuali (che ritengo giusti), un conto è sostenere il diritto ad avere figli (come se esistesse, poi, questo diritto: nessuno ha diritto a un figlio, perché i diritti si hanno sulle cose, non sulle persone”.
Ha quindi aggiunto il filosofo: “La vera domanda è: qual è il valore aggiunto proprio dell’omosessualità che lo Stato può tutelare? Io non credo che nell’omosessualità ci sia un valore aggiunto, ma sono disposto ad ascoltare. Vedo però qual è il di più dato dall’eterosessualità: il difficile equilibrio di una relazione che comprende le differenze fra maschile e femminile, che va anche al di là della questione dell’avere figli”. Rispetto ai dati scientifici “come tutti i dati della scienza vanno verificati, ma il problema va posto all’origine e non guardando i risultati. Di fatto ci sono bambini equilibrati che sono stati allevati da famiglie poligamiche, o che sono cresciuti in orfanatrofio. Il problema resta un altro: qual è il contesto ideale nel quale pensare lo sviluppo della persona? Le differenze fra maschile e femminile sono un aspetto decisivo dell’umano. Che non può essere negato”.
Concludendo ha anche smontato l’argomento ricattatorio basato sul fatto che l’Italia dovrebbe adeguarsi ad alcuni Paesi europei: “Questa è una valutazione di cui discutere. Le differenze non possono essere viste sempre e solo come un problema, ma anche come una possibilità. Perché invece di copiare dagli altri paesi non maturiamo insieme una scelta argomentata, non ideologica, in cui contino i valori umani e non solo la lotta per difendere i propri interessi più ancora dei diritti condivisi”?

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