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GIORNATA DELL’AMBIENTE 32: IL VERO RISPARMIO ENERGETICO CHE PRESERVA L’AMBIENTE

Spero che leggendo il presente articolo si apprezzi meglio l’ironia del precedente articolo 31 in cui ho elencato una serie di componenti di “stile di vita” promossi da sociologi, etologi e urbanisti (oltre che politici e “artisti”) che credono che facendo fare salti mortali (letteralmente) all’anagraficamente vecchissima popolazione del mondo civilizzato si riesca a proteggere o salvaguardare l’ambiente. Effettivamente intendevo far notare che nella maggior parte dei casi vagheggiati è solo lo sterminio degli umani meno arzilli che produce una serie di vantaggi ecologici ai più arzilli, che di conseguenza si ritroveranno a vivere in un mondo beato, pieno di bellissimi animali e rigogliosi alberi da frutta e senza gravosi impegni di lavoro (per i particolari e la spiegazione di apparenti contraddizioni suggerisco la rilettura dello straordinario libretto di H.G. Wells, “The Time Machine”, scritto nel 1895, ma con la descrizione di situazioni, per fortuna utopiche, di preoccupante attualità. Per chi preferisce la fantascienza più “kitch”, per usare un eufemismo, suggerisco la versione più aggiornata e integrale del film Metropolis di Fritz Lang, di cui ho appena visto la proiezione con commento musicale “dal vivo” dell’Orchestra Filarmonica della Scala nel suo organico completo: il film si ispira a Wells, con aggiunte ideologiche surrealiste).
L’equazione Risparmio Energetico = Nuovo Stile di Vita è dunque soltanto un residuo di dottrina nazista che vede il mondo dominato da una Razza Superiore, tutto sommato godereccia (quindi anche giovane e in buona salute: chi non è all’altezza di quello “stile” venga eliminato; e mi farà per sempre ribrezzo la politicante “comunista” che proponeva seriamente di dare in pasto ai cani i cadaveri umani, per risparmiare le inutili spese dei funerali e il cibo per cani). Tuttavia dal numero enorme di lettori di quel mio articolo 31 e dall’assenza di critiche arguisco che la maggior parte della gente non abbia afferrato l’intento ironico e abbia preso sul serio le baggianate irrealizzabili o inutili ivi contenute, la maggior parte delle quali sono condivise o addirittura ideate dal nostro presidente del WWF Fulco Pratesi, col beneplacito del presidente onorario di Legambiente Ermete Realacci (e non parliamo dell’entusiasmo ipocrita dei loro seguaci).

IL RISPARMIO ENERGETICO È MATERIA ATTINENTE ALLA FISICA
Ogni Paese del “mondo civilizzato” e l’Europa stessa possono vantare un sacco di personaggi autorevoli che concordano pienamente coi due insigni stravaganti paciocconi italiani nominati.
Invece il vero risparmio energetico da perseguire è quello dettato dalla normale Fisica, secondo il principio della termodinamica, tendente ad ottenere da ogni movimento e attività (umana, animale, vegetale e…robotica) la massima resa con la massima efficienza: con la prima dote si intende la genialità del progetto che in pratica deve saper fare lavorare una “macchina” fra le due temperature, massima e minima, consentite dalla tecnologia corrente (i materiali devono resistere indenni nel campo di variabilità della temperatura prodotta nel processo energetico); con la seconda si intende  che occorre adottare tutti gli accorgimenti possibili per ridurre al minimo (lo “zero” però non è possibile) le perdite di energia non utilizzabile. La tecnologia moderna è spesso ben lontana dal soddisfare questi requisiti, e perciò in molti casi c’è un largo margine di manovra per inventare nuovi prodotti con funzionamento ad alta efficienza e a basse perdite (di energia e di materiale, il che, in fondo, è lo stesso).

IL COSTO DELLE GUERRE
Ma in primo luogo, se parliamo di conservare (o migliorare) gli agi e il benessere della vita moderna, una sola eccezione, che consente di risparmiare una enorme quantità di energia e risorse, è auspicabile: l’abolizione (purtroppo utopistica) della Guerra. Infatti quando si parla di consumi energetici tutti gli “esperti”, compresi i venerati scienziati dell’ONU, l’IPCC, compilano la loro brava tabellina di attività, umane, o meglio “antropiche”, come qualche filosofo ha suggerito di chiamarle, a cui è attribuita la percentuale di consumo rispetto al totale, per esempio: trasporti di persone tot percento, trasporti di merci un altro tot, riscaldamento pubblico un altro percento, riscaldamento privato, illuminazione pubblica, illuminazione privata, industria (agricola, manifatturiera, alberghiera, ecc.), e altre cose ancora, ma mai “attività militari” (per non equivocare, si può consentire di conservare almeno i servizi di ordine pubblico). Eppure proprio tali consumi energetici esistono in tutti i Paesi, Città del Vaticano compresa. È vero che la lista di consumi si conclude con una voce “altro”, che raggruppa le piccole cose, ma io sono convinto che le voci “Attività Militari” e soprattutto “Industria Bellica” (lasciamo perdere l’ipocrita “difesa”) siano tutt’altro che piccole e, così “a sentimento” non esiterei ad attribuire loro un bel 20% in tempo di pace e ovviamente molto di più, oltre il 50%,  in tempo di guerra, il che attualmente riguarda i cosiddetti “paesi più poveri”. Questo 20% mi è suggerito da ciò che ho visto coi miei occhi, ai miei bei tempi, che pure erano di pace, nonostante i “Moti del ‘68”, nei numerosi reggimenti (quattro, più altri collegati) in cui ho prestato servizio per 15 mesi esatti, nonostante la concomitanza dell’approvazione per referendum della “legge Pedini”, che dopo anni di discussione introduceva proprio allora anche in Italia il “Servizio Civile”, ancorché strettamente riservato all’inizio (1966, quando sarebbe servito a me) a personaggi molto “raccomandati”. Nei primissimi anni dopo la guerra le spese militari erano crollate a precipizio e si usavano gli avanzi delle armi usate durante il conflitto (io stesso ho avuto in dotazione, oltre alla leggendaria pistola Beretta, riservata agli ufficiali, la più leggendaria carabina Winchester, che, pur rimanendo rigorosamente scarica, dava pur sempre l’impressione di andare a combattere contro gli Indiani). Ma già alla scadenza del mio servizio cominciavano ad apparire le “nuovissime” armi e tecnologie americane (verosimilmente roba già scartata da loro e forzatamente rivenduta a caro prezzo agli alleati poveri come noi); e comunque si svolgevano frequentemente le “esercitazioni NATO”, che consistevano nel puntare costantemente artiglieria e aviazione su qualunque Paese dell’Est, dopo aver fatto percorrere migliaia di km di autostrada Milano-Trieste a terribili armi trainate da enormi camion. Ufficialmente, niente di nucleare, ma si può immaginare che qualche ridotto campionario dell’“arma finale”  già fosse nascosto nelle numerosi basi americane in Italia, specialmente al nord-est, appunto, dove si svolgeva la fase più spettacolare delle esercitazioni annuali (recentemente invece le armi nucleari e i loro derivati pare si custodissero in Sardegna, almeno a giudicare dalla frequenti dispute sull’uranio “impoverito” che nascono in quella regione).
Apro una parentesi (un’altra!) per avvertire gli ignari e ingenui consumatori che tuttora non è vietato usare uranio impoverito per fabbricare e commercializzare per esempio: fermacarte, piombini da caccia, pesetti per ami da pesca e molto altro, insomma, tutto ciò per cui è desiderabile ridurre il volume, a parità di peso, di quegli oggetti per i quali prima si usava il tranquillo piombo.
Tutto questo per dire che se si fosse voluto risparmiare petrolio, carbone, acciaio, piombo, uranio e tutte le salmerie necessarie alla sussistenza di centinaia di migliaia di soldati di leva, italiani e “alleati”, si sarebbe già potuto farlo allora (fine della seconda guerra “calda”, ma purtroppo inizio di una interminabile “guerra fredda”), rendendo ancor più clamoroso il “boom” economico, che però già volgeva al termine e forse prolungava la propria durata proprio grazie alla guerra fredda. Le spese militari “permanenti” in ogni caso comportavano tutto quanto si doveva mettere in campo per addestrare ogni tre mesi una nuova ondata di “reclute” che andavano ad affollare i pochi CAR (Centro Addestramento Reclute) e le moltissime caserme, già da tempo in gran parte inutili, sparse per l’Italia. Ma in un calcolo preciso sullo spreco si sarebbe dovuto tenere conto anche dei tempi di attesa per le chiamate, che costringevano la giovane forza lavoro a rinunciare ad opportunità immediate, che non si sarebbero ripresentate alla fine del servizio, che durava (eccetto per la Marina, che richiedeva due anni) prima 18 mesi, poi 15 e finalmente 12, prima dell’abolizione del servizio di leva obbligatorio nell’anno 2000.
Oggigiorno in Italia c’è  ovviamente un discreto risparmio economico, e quindi energetico, su personale e logistica (e anche per questo sale il numero dei disoccupati giovani), ma lievita enormemente il costo degli equipaggiamenti (armi e tecnologia, con rilevante finanziamento della sporca “ricerca” relativa), da rinnovare dopo lo smaltimento del materiale della seconda Guerra Mondiale, smaltimento che pure di per sé ha avuto e ha un discreto costo energetico. E non si dimentichi la pianificazione, da parte di Marescialli specializzati, dei consumi fissi annuali, fatta sempre senza economizzare né ottimizzare: se i mezzi cingolati devono consumare tot ettolitri di carburante in un anno, glieli si faranno consumare, a costo di farli ruotare su se stessi per tutto il mese di dicembre. Idem per le munizioni da addestramento o da collaudo delle nuove armi: al termine di ogni esercitazione di artiglieria, in cui tutti i soldati di ogni grado devono sparare bene o male un certo numero di colpi sotto il controllo degli istruttori, c’è sempre una fase, molto folkloristica, di sparatoria generale per consumare fino all’ultimo tutti i proiettili, compresi quelli di scorta, trasportati al poligono di tiro, con uno spettacolare effetto “fuochi di artificio”, ma anche col rischio che l’euforia dei giovani (e non più giovani) soldatini provochi spiacevoli “incidenti”, abbattendo campanili (e pazienza), ma anche commilitoni che non abbiano l’accortezza di tenersi al riparo. Alcune bombe a mano, ma anche grossi proiettili, ai miei tempi riuscivano ad essere risparmiati, nascosti negli armadietti o sotto i letti, e poi portati a casa il giorno del congedo, destinati, qualche anno più tardi, a provocare danni irreparabili in incaute famiglie di civili. Le stesse considerazioni di consumo preprogrammato di carburante e di proiettili vengono applicate a tutte le forze armate “di terra, di aria e di mare”, sotto gli occhi indifferenti e complici di ambientalisti, politici e non politici.

PER RISPARMIARE BISOGNA MIGLIORARE LA RESA
Paradossalmente, l’unico recupero di costi e soprattutto di energia dei consumi fissi preprogrammati e degli smaltimenti a fine vita è quello derivato dai materiali nucleari, visto che, se il “popolo civile” rinsavirà, saranno tutti riutilizzabili a costo (energetico) zero per l’uso in reattori nucleari civili a fissione, e forse perfino a fusione (fra un secolo). Riconoscendo però che l’abolizione della guerra e delle armi nucleari è per ora utopistica, ecco che si presentano gli enormi costi energetici (cioè spese “vive”, al netto di mazzette e sovrapprezzi) delle nuovissime armi e tecnologie. Esempio tipico è l’acquisto degli aerei F35 italiani e delle due supernavi francesi: in Italia i governi più pacifisti hanno tergiversato a lungo (e anche temporeggiare è un grosso spreco), ma alla fine tutti gli aerei preventivati sono stati acquistati, e le due supernavi francesi sono state costruite e terminate, ma  svendute sottocosto non alla Russia di Putin, come da contratto, bensì a un Paese che si mormora sia l’Egitto (o la Cina): infatti le sanzioni per la questione Ucraina hanno impedito la vendita alla Russia, che già aveva inviato i suoi marinai a prendere confidenza con le navi, ma Putin ha preteso un risarcimento (si parla di 800.000 euro) per le spese sostenute dai Russi prima della rescissione del contratto. Del riarmo degli altri “benéfici” Paesi del Nord, in primo luogo la mai pentita Germania, non si parla mai, ma è evidente che nell’ambito della NATO una nuova guerra non troverebbe nessuno impreparato, armi nucleari comprese, sebbene con solenni accordi di “pace” esse siano state ripetutamente e sfacciatamente dichiarate in via di soppressione.
Messo da parte a malincuore questo possibile risparmio energetico, passiamo a parlare dell’unico realizzabile e colpevolmente da nessun Paese realizzato: si tratta, come si diceva all’inizio dell’articolo, del miglioramento della resa, che richiede soluzioni progettuali geniali e un imponente investimento nella scelta dei materiali usati per le macchine (non limitandosi alle sole automobili, ma estendendola a tutti i tipi di meccanismi, che, muovendosi, consumano energia), e, insieme, l’ottimizzazione dell’efficienza, cioè rendere il più possibile vicina a 100 la percentuale tra energia utilizzata e energia consumata; ed è chiaro che tanto maggiore è il risparmio quanto più si migliora l’efficienza dei macchinari più grossi (ossia è inutile investire sull’efficienza dei rasoi elettrici da 3 watt se non si migliora prima quella delle turbine termoelettriche da 2.000 Mwatt, che alimentano le fabbriche di tali rasoi).
Per una fortunata coincidenza, il Corriere della Sera del 25 settembre pubblicava, sul tema dei consumi automobilistici, una chiara e intelligente intervista all’ingegner Enrico de Vita, già collaboratore di Quattroruote, della quale mi permetto di riportare le frasi più significative sotto l’aspetto tecnico, trascurando quindi per ora la polemica della truffa mondiale dei Tedeschi (e si badi che non ho scritto “Napoletani”) nei test sull’inquinamento:
“…il costruttore [dell’auto sotto test] adotta  le opzioni più convenienti: gomme strette [o più gonfie], oli più fluidi, fessure sigillate, appendici, pompe disattivate. L’ultima trovata è di andare in certi laboratori spagnoli ad alta quota, per sfruttare la rarefazione dell’aria.”
“[nei test delle ibride] l’auto comincia la prova con la batteria carica e può fare anche tre quarti del ciclo in elettrico. Ma il dato di consumo sarà quello della poca benzina usata per finire il percorso. Il costo dell’elettricità viene conteggiato zero”
“Nel 2003 il Nobel Carlo Rubbia diceva che i valori delle auto Euro 4 erano così bassi che non valeva la pena spendere ulteriormente per ridurne l’inquinamento. Invece tutti hanno accelerato: Euro 5, Euro 6 e così via. Con l’entusiasmo dei costruttori, perché così si dovrebbe cambiare modello ogni tre/quattro anni”. 
“[occorre] un diverso approccio al motore Diesel. Che obiettivamente è il miglior motore che potesse essere inventato. Ha vantaggi in tutti i sensi: CO2, consumi, inquinamento. Il Diesel è molto più pulito del motore a benzina”.
L’articolo viene criticato sul Corriere del 26 settembre da un portavoce della Toyota che dà ragione a Volkswagen perché nell’eseguire i test si sono attenuti rigorosamente alle norme vigenti. E nessuno può dargli torto, compreso il sottoscritto, che si è sempre lamentato in primo luogo dell’incompetenza dei “legislatori” e delle cosiddette autorità (perfino del Papa). Tuttavia ribadisco che il vero rimedio alla (sempre presunta) crisi energetica o comunque agli inutili sprechi delle risorse (crisi o non crisi) è un’innovazione completa del progetto degli impianti di produzione dell’energia, che deve in ogni caso partire dalla scelta dei materiali da impiegare (un esempio banale riguarda la riduzione del peso degli autoveicoli o delle turbine, tenendo però presente che la produzione di un materiale speciale, perché leggero o più resistente al calore, potrebbe richiedere un consumo energetico superiore a quello che si risparmia impiegandolo).

L’IMPORTANZA DELLA SCIENZA DEI MATERIALI
È anche  per questo motivo che ho sempre sostenuto che l’unica fra le nuove “scienze” inventate dai riformatori scolastici degli ultimi decenni e che abbia una vera utilità “globale” è la “scienza dei materiali”: questa, insieme con la bioingegneria, consentirà tra qualche decennio non dico di raggiungere la vita eterna, ma almeno una vita agiata fino al suo termine “naturale” (che sarà sempre più avanti nel tempo, nonostante le previsioni degli studiosi del secolo scorso)
E queste non sono divagazioni fuori tema: l’uso corretto dei materiali, di alcuni dei quali non si conoscono ancora bene le proprietà chimiche, fisiche e organiche, è proprio la base per il risparmio energetico. Se quei salami di Rossi e Focardi sapessero che cosa succede nel loro misterioso marchingegno, saprebbero anche quale può essere il suo utilizzo più opportuno ed efficiente; invece hanno riunito un po’ a caso dei reagenti e un catalizzatore, ne hanno ottenuto uno spiffero di energia (apparentemente di origine nucleare, vista l’intensità delle radiazioni gamma emesse) e sono giunti a un punto morto perché non sanno spiegarsi il ruolo di ciascuno dei componenti in gioco.
Per risparmiare ai lettori la noia di ulteriori dettagli, concludo dicendo che i provvedimenti fondamentali sono due:
1. le amministrazioni devono economizzare (senza banalizzarla, però) sull’organizzazione dei servizi alla Comunità;
2. i produttori di articoli di consumo devono vendere solo articoli di cui è garantita la massima efficienza, a costo di eliminare quelle prestazioni che sono inutili o addirittura proibite per motivi di sicurezza (per esempio abolire autoveicoli pesanti, quali i SUV, o troppo veloci (oltre i 150 km/h).
Perciò le Amministrazioni dovranno acquistare e installare solo quegli impianti e prodotti che assicurano i servizi necessari, provvedendo a farli funzionare solo dove e quando sono di effettiva utilità:
1. basta con i riscaldamenti a gasolio negli edifici pubblici;
2. basta usare i pannelli solari installati nelle scuole “per educare gli studenti e gli insegnanti” (sarebbe stato meglio insegnare che sono uno spreco, ma ormai ci sono);
3. basta con le illuminazioni e gli altri marchingegni elettrici che non ricevono la dovuta manutenzione o restano incompleti o vengono dismessi e rinnovati prematuramente (gli accessori delle stazioni ferroviarie o del metro, per esempio);
4. trattare i rifiuti nel modo più efficiente possibile a seconda della regione in cui si trovano (e farla finita con i riciclaggi all’estero, compresi quelli dei materiali radioattivi);
5. gestire la “mobilità” con criteri di fluidificazione del traffico e non di accumulo degli introiti da multe-trappola;
6. evitare di mettere a disposizione veicoli “in condivisione” a utenti che prima non si siano liberati dei veicoli privati personali;
7. annullare gli sprechi causati dall’arroganza delle autorità (non so se mi spiego; altrimenti cito i viaggi per festeggiare gli atleti che vincono in America o per incontrare il Papa quando è in America);
8. evitare manifestazioni faraoniche, tipo EXPO e Olimpiadi;
9. promuovere l’uso di energie anche non rinnovabili (come il nucleare e lo “shale oil”), ma rimaste da tempo inutilizzate perché beotamente osteggiate da masse di superstiziosi ignoranti;
10. procurarsi attrezzature e mezzi di trasporto di produzione nazionale;
11. studiare, per mezzo di consulenti nazionali e di sondaggi fra i cittadini competenti, nuovi provvedimenti.
Per quanto riguarda le industrie e i prodotti da mettere in vendita, basta stabilire e imporre i criteri di progetto e commercializzazione già citati sopra: massima efficienza, minimo consumo, pur nel rigoroso rispetto della sicurezza dell’utente, riciclabilità dei materiali in impianti capaci di ricavare ulteriore energia, anche solo per riscaldamento (favorire, insomma, il teleriscaldamento). Per quanto riguarda i generi alimentari, limitare le importazioni a cibi indispensabili, ma non reperibili sul territorio nazionale; per esempio proibire di importare fragole in inverno: usare quelle conservate sul posto o aspettare la primavera.

Con tutto ciò è evidente che calerà il PIL, aumenterà lo “spread”, ma soprattutto molti furbastri attuali vedranno precipitare i propri guadagni (ma, essendo furbastri, non si suicideranno per questo: troveranno tecniche più sofisticate di furto e rapina), mentre è certo che aumenteranno i posti di lavoro, soprattutto qualificati. Per quanto riguarda l’economia, bisognerà che gli addetti ai lavori si accontentino e la piantino di piangere per la continua diminuzione dei consumi, soprattutto elettrici, questi ultimi usati come indice del benessere di una popolazione. Scelgano, dunque, i grandi politici (Papa compreso): o la smettono di diffondere notizie catastrofiche (e false, ma non inverosimili) sull’esaurimento molto prossimo delle risorse energetiche, o si rassegnino a guadagnare come la gente perbene che arriva dignitosamente, ma senza gite in yacht, alla fine del mese. Ma, essendo anche questa un’utopia, allora per lo meno la piantino i Verdi e i loro seguaci “benpensanti ignoranti” di seminare panico e allarme (e di opporsi a iniziative come le trivellazioni in mare): collaborino piuttosto a stanare e ridurre all’impotenza i seminatori di zizzania e i trafficanti di armi (e di droga), perché è solo in questo modo che l’energia ricavabile dalla Terra durerà centinaia di secoli e i 10 o 15 miliardi di esseri umani che si profetizza che popoleranno il Pianeta a regime (per una volta non si parla di “crescita esponenziale”) vivranno in pace e in discreta salute; è questo che ci si poteva aspettare dall’enciclica “Laudato si’”, ma sarà per un’altra volta (o per un altro Papa, se questo non si mette a studiare che cosa significa Energia e Inquinamento). E, a questo proposito, l’Enciclica mette sullo stesso piano una possibile distruzione del Pianeta per cause antropiche oppure naturali: sarebbe opportuno che scienziati avveduti, dopo avere sprecato decenni nell’inutile studio di poco credibili catastrofi di origine antropica, si preoccupassero finalmente e seriamente di premunirsi, per quanto possibile, contro eventuali catastrofi naturali (nessuno ha notato attività vulcaniche e violenti terremoti, anche in giorni recentissimi?), che sono state del tutto trascurate: si spera forse di poter deviare la traiettoria di un bel meteorite di qualche chilometro di diametro per mezzo di uno spiffero di energia solare o eolica? O, da perfetti superstiziosi, si attende senza reagire l’inevitabile vendetta della Natura per le scalfitture inflittele dall’uomo per difendere la propria sopravvivenza e, perché no, il proprio benessere?

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