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URBANISTICA ALESSANDRINA: QUANDO I SERVI SI FANNO PADRONI

I giardini, i viali e le piazze sono i gioielli più preziosi di una città e testimonianza di un ricco e dovizioso passato in cui ci si poteva permettere di destinare importanti spazi urbani per migliorare la qualità della vita dei residenti e non solo per coltivarli ad orti, come avveniva nei nuclei urbani più poveri ed affamati. A prova di quanto detto, il fatto che qualsiasi edificio, e a volte intere città, dopo guerre e catastrofi possono essere perfettamente ricostruiti nel volgere di pochi anni mentre per le maestose piante di un viale urbano o di un giardino spesse volte non bastano cento anni. E fu la libertaria Rivoluzione Francese ad aprire al pubblico i giardini privati, prima riservati a pochissimi privilegiati, come i nobili e l’alto clero. Viali e giardini, se accolti con gioia dalla nascente borghesia, non furono spesse volte capiti dalla sottocultura plebea e sottoproletaria affannata unicamente alla sopravvivenza quotidiana ed incapace di capire questi elementari concetti.  Durante la Resistenza, come in tutte le guerre di guerriglia, che in gran parte si sostengono con l’aiuto volontario della popolazione, chiunque si abbandonasse ad  azioni illegali atte ad inimicarsela veniva solitamente fucilato. Per questo la classe di potere nata dalla Resistenza era onesta, ma incolta e specie dalle nostre parti risentiva della componente sottoproletaria, allora propria di certe frange della sinistra. E così per inesperienza ed ignoranza, nell’alessandrino si pensò di lottizzare le piazze di cui non si era capita la funzione economica e sociale. Fu così lottizzata piazza Tanaro ad Alessandria, piazza delle corriere ad Acqui terme per ricavarne case popolari. E così avvenne in tutta la Provincia. Ma allora la sinistra, che deteneva un potere pressoché assoluto, era una cosa seria e come il demenziale intento di lottizzare le piazze fu risaputo dalla direzione nazionale, mandarono un controllo che strapazzò i responsabili e pose fine alla inopinata iniziativa. Anzi come conseguenza, i giardini alessandrini furono curati nel miglior modo possibile fino al punto di essere famosi in tutta l’Italia. E così pure i viali. E tutto andò avanti fino a quando per cercare di rilanciare l’edilizia che languiva, dopo una delle ricorrenti crisi che hanno interessato Alessandria, qualcuno, con la mentalità del razziatore, ebbe la bizzarra e demenziale idea di tornare al passato e di costruire nella principale piazza posta di fronte al Municipio. All’inizio riuscì a convincere parte della dirigenza cittadina e a trascinare nell’avventura alcuni dei maggiori impresari. Si inventò persino uno slogan demente e delirante che diceva “gli spazi vuoti vanno colmati”. Per portare avanti iniziative di questo tipo, al limite dell’illegalità e al di fuori del buonsenso, è però indispensabile l’appoggio degli strumenti di informazione. Senonché “Il Piccolo”, giornale locale allora diretto da Paolo Zoccola, un intellettuale che prima aveva insegnato Lettere all’Università di Torino, non stette al gioco ed in breve tempo smontò l’intera macchina di rapina urbanistica radunando attorno a se gran parte degli intellettuali alessandrini. E così la bella Piazza della Libertà fu salva. E pure lo furono per qualche anno anche le altre piazze. Ma poi si ricominciò, questa volta con un programma ridotto. L’Ufficio tecnico, che in pratica dirigeva l’Urbanistica, anziché seguire le indicazioni della Giunta assenteista cominciò prima a rifare, senza motivo alcuno, le recinzioni di alcuni giardini dandone l’incarico a personaggi spesse volte assai vicini a chi aveva dato loro il lavoro. Poi dai giardini, visto che il gioco riusciva, si passò alle piazze. Rovinarono così piazza Ceriana al Cristo, poi tentarono lo stesso gioco con piazza Santa Maria di Castello per la quale presentarono un demenziale progetto di ristrutturazione perfino con un teatro all’aperto posto davanti alla chiesa. Ma questa volta il gioco gli andò male per la ribellione dei residenti locali che si rifiutarono di essere complici . Mentre l’edilizia era ferma si pensò pure di fare cassa potando in modo selvaggio i platani dei viali. Per dire quanto fossero affamati, non aspettarono nemmeno che gli alberi entrassero nel letargo invernale e li potarono ad albero vivo. Errore gravissimo, proprio di un analfabeta totale che non ha nessuna idea del comportamento della natura. E così, prima che si riuscisse a fermare i nemici del verde, rovinarono il tratto di viale di fronte all’Ospedale Infantile che per alcuni anni non mise le foglie facendone un qualcosa assai simile ad un antro infernale. Intanto cominciò il saccheggio del viale dei bagolari in via 20 Settembre. Il legno del bagolaro è abbastanza prezioso e viene impiegato per lavori di ebanisteria e mobili di lusso. Per incuria e voluta trascuratezza i 172 bagolari di origine si sono oggi ridotti a 106. C’è da chiedersi che fine abbiano fatto le piante mancanti, sicuramente non destinate a finire tra i rifiuti. E non mi si dica che erano ammalate, sono anni che teniamo sotto osservazione il viale dopo che nel Piano regolatore di Gigi Mazza avevamo redatto la parte riguardante il verde pubblico e la maggior parte dei bagolari spariti erano sanissimi. Ci chiediamo anche che senso abbia rifare 500 o 600 metri di pista ciclabile, spendendo 380.000 euro, quando il resto delle strade cittadine è tutto buchi e voragini ad altissimo rischio per i ciclisti. Ci piacerebbe pure verificare i conti delle cosiddette piste ciclabili, molte volte ottenute dipingendo con un pennello una striscia per terra oppure chiudendole tra due bordini in cemento pericolosissimi e per questo totalmente ignorate. Arrivati a questo punto è indispensabile risolvere il problema alle origini facendo in modo che siano il Sindaco e la Giunta a dare gli ordini anziché essere trattati con sufficienza, come oggi avviene. Non è cercando di riprodurre l’economia del 1945, incrementando l’uso della bicicletta e degli orti di guerra, che si può rilanciare la città e ancor meno distruggendo ciò che c’è ancora di bello e di positivo, come avvenuto con i ponti della Cittadella e del Sanatorio.

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