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LA RICERCA, PARTE PRIMA – L’INFORMAZIONE CHE NON INFORMA ED IL RISPOLVERO DELLE VECCHISSIME FONTI RINNOVABILI

Pensavo di scrivere un articolo breve su questo argomento, La Ricerca, che è solo un corollario dei 32 articoli scientifici (su energia e ambiente) apparsi finora, ma sono tali e tanti i difetti che riguardano questa attività, che mi occorreranno almeno due o tre capitoli per non annoiare a morte fin dall’inizio i 25 manzoniani lettori che mi seguono da oltre due anni. Vediamo dunque se la lettura della prima parte invoglierà a leggere anche il resto.

QUANDO IL MAESTRO ELEMENTARE DIVENTA DOTTORE IN SCIENZE PEDAGOGICHE
Ai tempi del governo Prodi (1996-1998) qualcuno pensò a un acronimo terrificante per indicare quello che tutti avrebbero facilmente chiamato Ministero della Ricerca (eventualmente aggiungendo “Scientifica” per escludere almeno i quadrifogli). Dice Wikipedia che fu istituito il MURST (Ministero per l’Università e per la Ricerca Scientifica e Tecnologica), che il governo Berlusconi nel 2001 convertì in MIUR: Ministero per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca, acronimo che mi sembra sussista tuttora almeno nei discorsi di chi è sopravvissuto alla capitolazione dell’allegro Presidente. Nel frattempo si definivano i particolari di svariate riforme scolastiche che, oltre ad altre stravaganze, trasformavano in Scienza ciò che scienza non era mai stata: un esempio per tutti, la Scienza della Comunicazione (e non “delle Comunicazioni”, che avrebbe potuto far pensare subito alla posta elettronica, ai satelliti geostazionari, eccetera). Infatti la Scienza della Comunicazione (al singolare) inaspettatamente si riferisce all’attore, al presentatore televisivo, addirittura allo sportivo che, facendo parlare di sé, diventa anche “testimonial” di una mozzarella, insomma, a qualcosa che in nessun modo può richiamare la figura dello scienziato tradizionale, che deve essere invece obbligatoriamente un “sapiente, che migliora la propria sapienza, con lo studio e la ricerca condotta in modo, appunto, scientifico, e risveglia un minimo di curiosità nel prossimo con l’insegnamento di ciò che egli ha appreso e gli altri no”; si noti che in questa definizione rientrano i Medici in generale (coi Biologi, e i Bioingegneri) e anche, se proprio vogliamo, visto che valgono persino meno dei Meteorologi, gli Economisti, che però hanno propri Ministeri separati, dato il volume e la peculiarità dei problemi.
Fin qui, niente di grave: basta mettersi d’accordo che d’ora in avanti “Maestro Elementare” è sostituito da “Dottore in Scienze Pedagogiche”, così come “Spazzino” è stato da tempo sostituito senza traumi, con “Operatore Ecologico”, riducendo il problema a un fenomeno semantico, di cui si poteva o meno sentire la mancanza, ma che ha influito solo marginalmente sui costi della burocrazia. Ricordo l’imbarazzo, nei lontani anni 70, di dovermi congratulare col figlio d’un collega inglese che s’era laureato nientemeno in “hair styling” (parrucchiere), augurandomi che in Italia non si sarebbe mai raggiunto un tale livello di “civiltà” e sbagliandomi invariabilmente perché dimentico sempre la venerazione che i politici e i sudditi italiani manifestano per tutto ciò che è straniero (e nordico, per ora, ISIS permettendo).
Un particolare è invece sfuggito agli ingenui e distratti Italiani, me compreso: lo “scienziato”, come si è detto, è coinvolto in un’attività di Ricerca e perciò ad ogni materia che è stata innalzata al rango di Scienza deve essere aggiunta una certa attività di Ricerca che aumenta in modo “insostenibile”, come oggi si usa dire, i costi della Ricerca Nazionale e possibilmente anche europea. In pratica ormai tutti i diplomati delle infinite università (e non mi riferisco in particolare a quelle italiane: i Paesi cosiddetti “progrediti”, che da sempre scimmiottiamo, ne hanno molte più di noi) hanno il diritto di diventare “ricercatori”, specialmente se sono anche “dottori magistrali”, e quindi di pretendere, come quelli “tradizionali” un finanziamento governativo.

LA SCIENZA È UNA COSA SERIA
Se posso permettermi di sperare che il lettore intelligente sia d’accordo sull’inutilità di chiamare Scienza ciò che Scienza non è, posso anche fingere di ignorare che si stiano sprecando enormi quantità di soldi per Ricerche che non meritano questo nome, risparmiando almeno lo sforzo di elencarle. Questo articolo infatti intende stigmatizzare alcuni aspetti della Ricerca tradizionale (in particolare Fisico-Matematica, Tecnologica, Chimica, Biologica e Medica) che mi auguro, ma so di sbagliare, per molti anni futuri assorbiranno per il 90% almeno le risorse rese disponibili dai vari governi.
Il lungo discorso fatto finora già basterebbe a spiegare perché i soldi pubblici stanziati per la Ricerca non bastino mai e vengano integrati da stupide vendite di fiorellini e altri inutili “gadget” e da inspiegabili, perché di per sé costosissime, maratone televisive. Si possono dunque individuare almeno due cause principali di sprechi: la pletora di attività a cui si attribuisce il nome “Ricerca” e gli errori strategici, programmatici e operativi.
Trascurando, come premesso, la prima causa, spiego con facili esempi i tre termini della seconda: un errore strategico sarebbe stato insistere nella ricerca sulle invenzioni di Leonardo da Vinci che presupponevano l’esistenza di tipi di materiali e di risorse energetiche che non sarebbero stati disponibili prima di almeno quattro secoli; un errore programmatico è la ricerca sui “primi attimi dopo il Big Bang”, quando ancora non si sa se il Big Bang sia avvenuto veramente, e perché suscita l’interesse solo dei fanatici di fantascienza; un errore operativo, che aggrava i due precedenti, è l’incapacità di dotarsi di strumenti adatti a esplorare i campi ogni giorno più difficili che la ricerca propone: per esempio fermarsi a studi puramente statistici senza perfezionarli con esperimenti di laboratorio, come nella maggior parte delle ricerche mediche sulle malattie rare, per esempio è un grave errore fermarsi alle statistiche per il cancro (e non a caso lo definisco raro, dato che esistono forse migliaia di tipologie diverse che ci si ostina a raggruppare in una sola). L’ottimizzazione dell’uso delle enormi risorse per la ricerca (è inutile piagnucolare: sono oggettivamente enormi) si ottiene quindi, anziché vendendo fiorellini e promuovendo vergognose “maratone” televisive, cercando di eliminare il più possibile le cause di spreco, delle quali cercherò di fornire un congruo numero di esempi, compatibilmente con la mia limitata conoscenza dell’ambiente della ricerca, passato ed attuale, e con la breve esperienza personale nel campo nucleare, spaziale e ora anche medico, quest’ultimo dal solo punto di vista del paziente strapazzato, anche moralmente, e martoriato.
Mi sembra corretto partire dalla Comunità Europea, tanto per far capire che il cattivo esempio viene, come sempre, proprio dall’alto. Alcuni decenni fa (e tutt’oggi, ma con minor clamore) i progetti di ricerca condotti da piccole e grandi aziende private, con l’eventuale supporto di università, venivano raggruppati sotto un programma chiamato “Eureka”: si emettono bandi per compiere ricerche applicate in vari settori, ad ogni bando si assegnano certi finanziamenti per incominciare una “prima fase”; a seconda dell’esito di tale fase si può dichiarare chiusa la ricerca (di solito per risultati insoddisfacenti) o decidere di procedere per una fase successiva, adeguatamente finanziata. Le imprese che vengono a conoscenza di tali bandi, pubblicati su appositi bollettini, valutano approssimativamente la propria capacita di partecipare alla gare e cercano “associati” con le necessarie competenze per presentare insieme un’offerta che sia il più possibile internazionale, prima ancora che rispondente ai requisiti tecnici e ai limiti economici. La gara viene aggiudicata con tutte le apparenze di regolarità e partono i lavori pattuiti, con riunioni tecniche quanto più costose quanto più affollato è il consorzio vincente (a volte si accolgono anche due proposte con la speranza che la concorrenza fra due consorzi produca risultati migliori. Purtroppo però la burocrazia prende presto il sopravvento sulla creatività e il risultato della presunta ricerca consiste in un documento cartaceo il più possibile voluminoso (i nuovi computer permettono di farlo), che una commissione della Comunità, formata da presunti “esperti” ha il compito di valutare. Di solito si supera la prima fase con relativa facilità e regolare finanziamento, che molto spesso soddisfa le esigenze di bilancio di molte delle ditte del consorzio, che così non presentano neanche la proposta per la seconda fase, allontanandosi alla chetichella e cercando soci per una nuova gara che sia alla fase iniziale. Le imprese più grosse del consorzio (e si parla di Alsthom, Siemens, ASEA e colossi di questa portata) portano avanti così le successive fasi più impegnative, che prevedono spesso la consegna di prototipi dimostrativi. Peccato che la dimostrazione sia fatta a commissioni della medesima competenza tecnica della prima fase, che valutano i risultati non tanto in base alle prestazioni effettive, quanto alla disponibilità economica per finanziare una terza fase. Se a ciò si aggiunge il fatto che le lungaggini burocratiche rendono il prodotto della ricerca obsoleto (di solito il Giappone o gli USA arrivano a risultati brillanti prima ancora che termini la prima fase in Europa) si capisce come mai l’Europa non sia mai riuscita a produrre, per esempio, telefoni cellulari, televisori o computer superiori o almeno competitivi con quelli messi in vendita da Giappone, Corea, USA e ormai anche Cina; e come il denaro pubblico stanziato da Eureka per la ricerca venga dissipato solo per rattoppare i raffazzonati budget di imprese europee grandi o piccole (in testa a tutte, come sempre, quelle tedesche).

IL PROTOCOLLO DI KYOTO
Le problematiche ambientali fasulle oggi attirano su di sé quasi tutte le risorse di Eureka, e le regole del Protocollo di Kyoto hanno costretto gli economisti a escogitare abili trucchi per fare apparire meno inquinanti o meno tossici prodotti che continuano ad esserlo (vedi il caso Volkswagen), mentre la ricerca tecnologica in Europa si è buttata sull’idrogeno, sulle energie cosiddette rinnovabili, sulle automobili a funzionamento elettrico (ossia sull’elettricità generata miracolosamente), sulla sostituzione dell’agricoltura con coperture di pannelli solari o con prodotti vegetali ma non commestibili da putrefare con appositi batteri per trasformarli in liquidi o gas combustibili (biomasse); contemporaneamente i sedicenti scienziati (ma purtroppo alcuni lo sono davvero), con argomenti terroristici piuttosto che scientifici (a questi ultimi il pubblico, impaurito dai primi, non è per niente interessato), suggeriscono agli appositi organismi europei, restrizioni che costringono tutti a sostituire i propri ausili tecnologici domestici, incominciando molti anni fa con la paura del buco nell’ozono e perciò del gas freon, usato nei soli frigoriferi, che ne sarebbe stata la causa (tuttora non si conoscono le evoluzioni, né i danni provocati da tale buco, ma chi se ne importa, visto che ormai tutti hanno un frigorifero nuovo, che comunque non sarà quello “buono” fino a che non sarà di classe AAA?). E si sono accaniti perfino col mercurio dei vecchi cari termometri di vetro (sarebbe bastato farli di plastica), che non ti lasciavano mai “a piedi” come quelli moderni (e obbligatori) la cui introvabile batteria si scarica proprio quando ne hai bisogno. A chi pensa che tutte queste ricerche saranno costate uno sforzo economico enorme, che appunto costringe il “poppolo” a arrotondare i fondi per la ricerca con l’acquisto di azalee o col versamento di svariati euro inviando a Telethon (che ingrassa gli artisti benefattori) svariati SMS che a quanto sembra non sono neppure gratuiti, ricordiamo che è stato inventato l’espediente degli “Incentivi”, che significa “io faccio la buona azione, costosa, che l’Europa mi impone, ma a pagarla sei tu, che intanto non avresti i mezzi per compiere tale buona azione; l’Europa non ci rimette niente e tutti vissero in un ambiente pulito felici e contenti”. Per capirci meglio (perché la parola “incentivo” ha un suono positivo, ma non lo è nella pratica: se io ho una macchina inquinante, ma non mi bastano i soldi per comprarne una nuova pulita, per esempio elettrica, che costa un patrimonio per rimborsare la Ricerca che l’ha generata, prendo una parte delle mie tasse aumentate, che, in forma di “incentivo” appunto, va nelle tasche di quelli che l’auto nuova se la possono permettere: la logica socio-economica di questo meccanismo è ineccepibile, essendo quella solita dell’ “Anti-Robin Hood”: rubare ai poveri per dare ai ricchi.

L’ORDA DI RICERCATORI DEVOTI ALL’IDROGENO, IL GAS PIÙ PERICOLOSO DELL’UNIVERSO
Questa scoperta degli incentivi crea un sacco di posti di lavoro, non tanto per  quanto riguarda i ragionieri che devono calcolarli, controllarli e ridistribuirli, quanto piuttosto per l’orda di ricercatori che, lo siano veramente o no, sono destinati a ristudiare fenomeni arcinoti e già scartati in passato per la loro scarsa efficacia o efficienza, oppure per la pericolosità. È rimasto fuori dal “sorteggio” solo il nucleare a fissione (per i poco noti motivi di pericolosità), mentre ci si sta dando dentro col massimo dispiego di forze (tanto, paga il cittadino tassato) nel campo dell’idrogeno (già scartato fin dal 1938 per pericolosità, a causa dell’incendio del dirigibile Hindenburg): celle a combustibile o no, l’idrogeno resterà sempre il gas più esplosivo e più insidioso dell’Universo, buono solo quando è unito con l’ossigeno per fornirci l’acqua; e poi nel settore del fotovoltaico, effetto noto da oltre 100 anni ma usato con successo solo dove non è possibile mantenere un collegamento fisso via cavo di potenza, come nel caso dei veicoli spaziali (dove però è in forte concorrenza, non lo si dica in giro, con elettrogeneratori ricavati da scorie nucleari a lungo decadimento, che non necessitano di puntamento costante verso i raggi caldi del sole o di altre stelle) o, più modestamente, dei rifugi di alta montagna, dove non è il caso di erigere tralicci; poi, come tutti sanno, si sta “perfezionando“ l’Eolico, che è rappresentato, perché già notissimo e sufficientemente perfezionato, in tutta l’iconografia del Don Chisciotte, cioè noto ancora secoli prima che venisse utilizzato con successo per i Polder degli Olandesi, i quali, stupidamente, si sono messi a reinventarlo per produrre elettricità, certamente con minor successo, data la scarsa potenza specifica; e poi ci sono le biomasse, anch’esse studiate chimicamente da un secolo abbondante, ma che si sono rivelate un cancro per l’agricoltura di moltissimi Paesi, che di agricoltura vivevano e che, con la sostituzione del mais da parte delle biomasse, ora rischiano, e già la sperimentano, la carestia: per quanto si dia impulso alla ricerca, non c’è altro da studiare se convenga coltivare il mais oppure gli altri vegetali più adatti a diventare combustibili; infine viene dato grande risalto alla fonte rinnovabile idrica, che è l’unica in verità a fornire energia a potenze utili all’industria, ma è l’unica su cui non c’è proprio quasi più niente da scoprire, visto che funziona ancora ottimamente grazie alle antichissime turbine Kaplan che gli studenti di ingegneria dal 1913, anno della sua invenzione, dovevano conoscere a puntino, perché sfrutta con la massima efficienza anche le cadute d’acqua con dislivelli minimi. L’unica ricerca che può avere un certo senso per i casi sopra elencati è quella relativa all’accumulo di energia, problema che è stato finora risolto solo per l’acqua, grazie all’uso notturno dell’elettricità prodotta per risollevare nel bacino superiore parte dell’acqua che è già caduta in basso: di tutte le energie cosiddette rinnovabili occorre invece risolvere d’urgenza il problema della loro intermittenza non programmabile (o della scarsissima autonomia nel caso dei motori elettrici). Ma qui la soluzione si prospetta come fortemente costosa e sarebbe quindi consigliabile dare retta alla raccomandazione fatta da Rubbia, se non sbaglio, ma certamente condivisa da me, secondo la quale è del tutto inutile spingere all’estremo la ricerca su problemi ormai vicini al limite fisico dell’efficienza raggiungibile, perché il profitto economico o energetico della soluzione non potrebbe mai coprire il costo economico e energetico della ricerca stessa.
Interrompo qui la prima fase della critica alle scelte sbagliate, e quindi allo spreco, operate nella ricerca, proponendo di discutere gli altri settori nelle prossime puntate.
Vorrei solo concludere dicendo che se le ricerche descritte mirano a migliorare il rendimento delle nuove tecnologie, e lo miglioreranno in effetti di una quantità marginale, si riconosce che le cosiddette nuove tecnologie hanno efficienza così bassa (ed escludiamo sempre l’energia idrica) che è da incoscienti, incompetenti o truffatori mafiosi continuare sulla strada del loro impiego a tutti i costi, col pretesto di salvare, con scarsa probabilità, l’Ambiente minacciato di morte da una minaccia ancora del tutto sconosciuta, come la conferenza di Parigi dei giorni scorsi non è riuscita per l’ennesima volta in 25 anni a dimostrare (a dire il vero non ha neanche tentato di farlo, visto che la minaccia è data per scontata da quasi 200 Capi di Stato ignoranti, e non certo perché l’ha detto il Papa, non meno ignorante, ma perché è accompagnata dalla prospettiva di mettere in circolo 100 miliardi di dollari (o di euro) all’anno da qui alla fine del secolo).

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