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SCOPERTA DELLE ONDE GRAVITAZIONALI: FESTEGGIAMO EINSTEIN ANCHE SE NON SAPPIAMO BENE PERCHÉ

di Giusto Buroni – Sulle onde gravitazionali, ai miei tempi praticamente un tabù dato lo scetticismo, o l’invidia, che ancora avvolgeva le intuizioni di Einstein (che pure avevano dato origine alle bombe atomiche all’Uranio, al Plutonio e all’Idrogeno), non sono mai riuscito a imparare molto più del nome, ma sono contento che finalmente le abbiano “scoperte” anche se, com’è noto (o forse è una mia illazione), gli scienziati, specialmente gli astrofisici, scoprono ciò che vogliono e “quando” vogliono, per esempio per un centenario come questo, salvo smentire tutto dopo altri 100 anni. In realtà per quanto riguarda le “scoperte” secondo me le cose stanno in modo diverso e molto più semplice (se così si può ancora dire quando sono in ballo migliaia di studiosi e impianti sofisticatissimi) di quanto ci si racconti. Infatti lo scienziato osserva ciò che è alla portata dei propri sensi o strumenti e coglie l'”essenza” di certi fenomeni, descrivendola con simboli matematici, che sono quanto di più approssimativo (cioè semplificato, e perciò ingegnoso) la mente possa immaginare. Si tratta forse d’una Fisica fatta di particelle “finite”, come può essere descritta dalla vecchia matematica che si regge sul concetto di “continuità degli infinitesimi”? Ciò perché in futuro per poter descrivere la Natura la matematica sarà probabilmente “quantistica”, a meno che non si decida, a scopo scientifico, che la Natura, a differenza di come abbiamo pensato di vederla finora, non sia un “continuum”, ossia tra due “pezzetti di Natura” infinitamente vicini dove si trova sempre almeno un terzo pezzetto. Un amico più anziano e più dotto di me è poi convinto che la supposta e per lui evidente semplicità della Natura (formule nate semplicissime, e non invece “volute” così dagli scienziati) ha spiegazioni divine; io sostengo che la Natura, per quanto di origine divina, è terribilmente complessa, ma la mente umana ha bisogno di semplificarla per poter procedere per piccoli passi alla sua descrizione (e di proposito non dico “comprensione” in quanto a livello umano la Natura si osserva e si “descrive” mentre la comprensione è cosa divina e quindi fuori dalla nostra portata).

LA BANALE APPROSSIMAZIONE DELL’ESPONENTE 2
Per convincere gli scettici, o i profani, aggiungo che la celebre “scoperta” di Newton che la forza di gravità è inversamente proporzionale al quadrato della distanza tra i baricentri di due masse è tuttora in fase di verifica (per esempio a bordo di veicoli spaziali in assenza di peso), perché la potenza 2 data alla distanza per farne semplicemente il quadrato, potrebbe anche essere, per esempio 2,00001, senza che ciò sia misurabile con gli strumenti per ora in nostro possesso. Questo esponente 2 però è comodo, e si è mostrato sufficientemente preciso per i calcoli che è stato necessario fare finora. Il solito Einstein ha ipotizzato che il valore d’una massa, dato per costante nella fisica newtoniana, dipenda dalla velocità dell’oggetto in moto, e perciò la massa effettiva è “M” (quella convenzionale, misurata con la bilancia del farmacista) divisa per un numerello che tende verso zero quando la velocità tende a quella della luce (cioè supera 270.000 km/sec), circostanza che passa inosservata in tutti i casi “pratici”, ma diviene fondamentale in certi esperimenti di laboratorio, in campo subnucleare o nei fenomeni di astrofisica a milioni di anni luce di distanza dalla Terra: in questi casi la massa “vera” può assumere valori altissimi, dato che il valore iniziale è diviso per un numero che si approssima allo zero. 
È evidente che nel sintetico processo di descrizione matematica di un fenomeno emergano particolari fisici a cui non si era ancora prestata attenzione e che lo scienziato si impegni allora ad approfondirli, usando gli strumenti fisici e matematici di cui dispone (e che lui stesso ha creato usando in modo efficace la propria intelligenza); la cosa può portare a ulteriori interessanti sviluppi (chiamati allora  propriamente “scoperte”, che verranno approfondite, come per esempio è accaduto per la fissione dell’uranio), oppure alla dimostrazione che si è commesso un errore marchiano nell’osservazione del fenomeno (che viene allora cancellato dalla storia e archiviato come un “falso” scientifico, come fu il caso della “memoria” dell’acqua o della “fusione fredda” di Pons e Fleischmann). 
Sembrano discorsi o troppo ovvi o stravaganti, ma è così.

L’INFINITAMENTE GRANDE E L’INFINITAMENTE PICCOLO
Per gli antichi  osservatori superficiali la Terra era piatta; per i più intelligenti era sempre stata tonda (sferica), perché una Terra tonda comportava la conferma tangibile di una quantità enorme di fenomeni osservati, che altrimenti (Terra piatta) mostravano caratteristiche non ripetitive. Si scartò il concetto di Terra piatta e si continuò con quello di Terra tonda. Nacque poi il problema della centralità della Terra o del Sole, evidenziato solo dallo studio della dinamica di almeno un Terzo Corpo (se i corpi sono solo due, è impossibile sapere quale dei due giri intorno all’altro): a fatica, a causa di oppositori Aristotelici e Religiosi, si poté imporre il modello col Sole al centro, sempre per il motivo che tale modello assicurava la coerenza con molte altre osservazioni. E nello studio della Fisica si procedette sempre così, secondo me anche inconsciamente da parte degli scienziati, che credevano di “scoprire”, ma in realtà “osservavano più attentamente” e descrivevano matematicamente usando logiche più rigorose. Il processo di affinamento fu fatto dapprima nella direzione del “sempre più grande” (perfino i Cro-Magnon saranno stati affascinati dall’immensità del sole e del Cielo) e poi (lasciando perdere i misconosciuti ma geniali Democrito e Anassagora) anche del “sempre più piccolo” (diciamo, a partire da Avogadro). A che punto siamo? I modelli per le due direzioni (la piccolissima e la grandissima) per lo più non si contraddicono, il che sarebbe già una situazione incoraggiante, ma vengono sempre più nodi al pettine, secondo me a causa principalmente di quel difetto a cui accennavo, secondo il quale si descrive la Fisica, ritenuta fino a prova contraria un sistema discontinuo (quantistico), con un metodo matematico assolutamente continuo: da qui, nonostante l’esultanza di oggi per le onde gravitazionali, i “misteri” dei buchi neri e soprattutto della materia e energie oscure, per parlare solo delle principali questioni aperte, che non sono uno scherzo, restano perché con gli attuali modelli matematici risultano mancanti all’appello, perché non osservabili, nemmeno indirettamente, quantitativi inverosimili di materia: il 95% del totale dell’Universo, affermano i “blog” e i sedicenti scienziati che li alimentano. Questo esempio mi convince sempre più che siamo di fronte a un caso simile a quello di dover decidere se la Terra sia tonda o piatta, con la differenza che nel caso dell’Universo così tanto oscuro non è pronta l’alternativa (mi spiego: nell’altro caso, se la Terra non poteva essere piatta era certamente sferica; in questo, se c’è così tanta materia o energia che non si manifesta, quale altro modello è disponibile o proponibile?).  Quindi festeggiamo volentieri Einstein perché ha spremuto dalla matematica altre caratteristiche della fisica che sono “esteticamente” straordinarie, ma non dimentichiamo che il modello matematico (o addirittura il sistema matematico) che descrive tutto l’Universo è ancora di là da venire, tanto che quello attuale potrebbe essere del tutto annullato e sostituito. Quanto poi tutto questo sia utile all’Umanità, è tutto da verificare. Il direttore dell’INFN diceva oggi che le ricadute (tecnologiche) di questi esperimenti faraonici ultramiliardari sono inestimabili.

I “BUCHI” DI CORSERA
Naturalmente il Corriere della Sera ha pubblicato tre pagine di articoli del tutto vuoti di informazioni sulle Onde Gravitazionali, perché, sfiorando appena l’argomento “Relatività Generale” a cui  le “onde gravitazionali” fanno capo, ma di cui io stesso e il pubblico non sappiamo quasi niente, trattano di cinema (ormai la fonte di ogni sapere) e di libri di fantascienza (ma a Wells le onde gravitazionali non passavano certo per la mente), di scienziati e sceneggiatori di film, di conseguenze della scoperta che possono portare all’agognato e fanciullesco “teletrasporto”, che tanto ha bacato le menti delle nostre generazioni e quelle dei nostri figli. 
Per fortuna e per miracolo inspiegabile, in tutti i grandi successi scientifici mondiali riusciamo ad avere sempre una presenza italiana, ma anche questa volta al momento buono, quando gli Americani, e gli scienziati di molti altri Paesi del mondo, riuscivano a registrare “in diretta” l’evento, l’impianto italiano era spento o sotto tono (e di ciò i nostri scienziati “si rammaricano”, o meglio danno la colpa al governo, che ha ritardato di due anni le sovvenzioni per il potenziamento). Ma allora che cosa festeggiamo? Il fatto di far parte del colossale apparato scientifico che ha contribuito a progettare il metodo per rivelare la piccolissima oscillazione dell’Universo al momento dello scontro fra due buchi neri. A quanto pare lo strumento disponibile in Italia non è ancora sufficientemente sensibile a rilevare le lunghissime onde di bassissima intensità provocate da un’onda gravitazionale come quella osservata dagli altri. Tuttavia l’Italia, a cui si riconoscerà forse di avere ideato l’esperimento (ma è stato sempre difficilissimo sottrarre agli Americani certe priorità; vedi per esempio la controversia Bell-Meucci, vinta da Bell) parteciperà all’elaborazione dei dati, che, come nel caso del già dimenticato Bosone di Higgs, durerà molti e molti anni: certo, qualche centinaio di ottimi posti di lavoro è assicurato, un certo prestigio scientifico è conservato, ma alla famosa crescita industriale (e commerciale e finanziaria) non viene dato nessun contributo.

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