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DOPO LE MINIERE E LA BONIFICA DEI SITI DISASTRATI, UNA NUOVA APPLICAZIONE DEI ROBOT PER L’ASSISTENZA AD ANZIANI E DISABILI: MA TUTTO DIPENDE DALL’INTELLIGENZA DEI MEDICI CHE SONO SOLO… UOMINI

Come spesso è accaduto negli ultimi anni, il Corriere della Sera ha annunciato una nuova possibile applicazione di bambolotti robotizzati, cioè dotati di sensori ottici, di capacità di movimenti e presa, e di programmabilità: eseguire alcune semplici funzioni di assistenza ad anziani e disabili, per esempio “ricordare a un ammalato che è ora di assumere un certo medicinale, porgendoglielo” e altre banalità del genere, sottovalutando così sia le molto più gravi esigenze degli anziani, che la potenzialità della robotica. L’articolo questa volta anticipava anche le obiezioni sollevate da alcuni (ma in questo caso il pupazzo pare sia sponsorizzato anche da un’associazione sindacale), che come sempre vedono, erroneamente, il robot come pericoloso concorrente della manodopera umana, con conseguente crisi dell’occupazione.

LA ROBOTICA AUMENTA L’OCCUPAZIONE E NON IL CONTRARIO
La mia replica pubblicata dallo stesso Corriere della Sera, è stata che è desolante notare come si attribuisca ancora oggi ai robot il fantascientifico aspetto umanoide, che purtroppo è l’unico recepito dai bambini e dagli adulti mal cresciuti. Come è desolante temere che il robot sostituirà il lavoratore “umano”, quando invece ne dovrà divenire l’indispensabile coadiutore, perché, a causa dell’invecchiamento della popolazione attiva, anche badanti o infermieri avranno poca energia, ma conserveranno sperabilmente la mente più sana di coloro che sono affidati alle loro cure (un “robot sentinella” avrebbe evitato gli “spiacevoli incidenti” accaduti di recente in ospedali toscani e calabresi e forse alla celebre Mangiagalli di Milano). Come ripeto da sempre, la robotica incrementa l’occupazione, migliorandone la qualità, ed è un delitto ostacolarne lo sviluppo o sminuirne l’utilità.

GLI ANZIANI FANNO I CAPRICCI E PER LORO CI VUOLE UN BADANTE DI POLSO NON UN ROBOT
Il commento a sfondo umanitario, contenuto in un’altra lettera pubblicata a fianco della mia, con cui parzialmente concordo, è così riassumibile: pensare di sostituire assistenti umani con robot è assurdo, non perché la tecnologia non lo consenta o perché sottragga posti di lavoro (la più bieca delle argomentazioni filantropiche) ma proprio perché un anziano, autosufficiente o meno, che s’è ridotto (o è stato costretto) a vivere da solo, sano o malato che sia, ha anzitutto bisogno di calore umano e non di uno sgorbietto plastificato alto un metro che gli chiede: co-me-ti-sen-ti-og-gi-che-co-sa-pos-so-fa-re-per-te? Invecchiando si torna bambini, si fanno capricci, e allora ci vuole qualcuno “di polso”, gentile ma che capisca quando è il caso di imporsi con autorità; quindi occorre un assistente umano, professionale (esterno alla famiglia), che non si lasci ricattare né coinvolgere emotivamente: una “pedagogia” tutt’altro che facile, realizzabile solo da persone  con doti umane, preparazione ed esperienza non comuni; niente di simile a un robot.

LA ROBOTICA IN SOSTEGNO ALL’INDUSTRIA
Inoltre il commento raccomanda di non trascurare gli enormi interessi industriali: l’IIT di Genova per esempio ha comprato qualche decina di robot umanoidi dalla giapponese Mitsubishi, a cui modifica il software e i sensori tattili, dimostrando che tanto i sostenitori quanto i detrattori dell’innovazione non sono animati solo da sacro fuoco umanitario. Infine sappiamo tutti quanto siano affidabili gli oggetti “intelligenti”, anche professionali; figuriamoci quelli di massa:  “bip bip: 36 aggiornamenti da installare! richieste di assistenza via twitter? errore non previsto? Soluzione: spegnere e riaccendere? reset generale? come si fa? si estrae la batteria?”. Insomma, il mio interlocutore paventa e prevede più problemi di quanti se ne risolvano, ma secondo me si tratta solo di farci l’abitudine, come coi PC e i cellulari, e soprattutto di adeguare le difficoltà alle facoltà intellettuali e manuali dell’utente, che può essere la persona assistita o il suo assistente (cosa di cui non si sono ancora preoccupati i produttori di PC e di cellulari).

LA “POESIA” NON PUÒ CAPIRE LA ROBOTICA
Come sempre dunque mi trovo piuttosto solo a sostenere le mie posizioni a favore della robotica (che include automazione e intelligenza artificiale, quando servono) e le mie ormai numerose lettere sull’argomento, pubblicate dal Corsera quasi sempre, suscitano molte discussioni e critiche, la principale delle quali è appunto la perdita di molto lavoro manuale rispetto a ciò che facilmente fa un automa. Un noto poetastro, proprio la persona meno adatta, profetizza in un suo nuovo libro, che tra poche decine di anni l’uomo cesserà di lavorare e di pensare che il diritto a vivere (bene) si acquisisca “lavorando”; ma nessuno (giornali o TV che ho visto) chiede al poeta chi progetterà, fabbricherà, venderà, installerà e azionerà, mantenendoli efficienti, i robot: dei poeti, forse? (Tra parentesi: è la solita storia: i sognatori, tipicamente poetastri o politici, predicano l’energia pulita, ma non si chiedono quanta “sporcizia” ci sia lungo la filiera che conduce al prodotto “pulito” consegnato al consumatore finale, che resta così benemerito verso l’ambiente, e gabbato nel prezzo del venerato prodotto).

L’INTELLIGENZA DELL’UOMO È INSUPERABILE
Un automa, magari ingegnoso, non può essere progettato, costruito e mantenuto da troppo pochi stupidi tecnici; ciononostante gli automi non andranno mai oltre l’alleggerimento della fatica fisica dell’uomo, senza mettere in discussione quella intellettuale, che è di gran lunga superiore e mi azzarderei a dire insuperabile. È pur vero che l’automazione ha le sue radici nello spettacolo teatrale dell’antica tragedia greca (la “mechanè” che creava gli effetti speciali), ma per fortuna qualcuno ne ha intuito le immense possibilità per facilitare la vita quotidiana, nonostante ancora oggi ci sia chi preferisce disporre di schiavitù umana (e impunemente ci riesce). È certo però che l’automa (o “robot”), che  la gente immagina, non ha, né è conveniente che abbia, l’aspetto di quelli che dal 1600 si vedono descritti dai libri, negli spettacoli teatrali, nel cinema e nei fumetti (gli “automi” dell’epoca barocca erano straordinari e quelli umanoidi addirittura leggendari, come quelli del tutto immaginari che si trovano nelle opere romantiche di E.T.A. Hoffmann e di molti suoi contemporanei), ma piuttosto è quello che si vede nelle catene di montaggio, oppure quello piccolissimo che i bioingegneri fanno già da qualche anno scorrere nelle arterie e nelle vene degli animali per scoprire e mostrare da vicino i più piccoli difetti da esaminare e da curare.

GOLDRAKE NON CI SARÀ MAI
Non parliamo poi dei mostri umanoidi e “transformer” creati dalla fantasia bacata dei Giapponesi (sarà l’effetto delle bombe atomiche?). Quindi i robot, poco o tanto “intelligenti”, saranno brutti e sgraziati, ma ergonomici e docili agli ordini dell’uomo che li ha ideati. La storia di Coppelia e degli altri prodotti dei dottori Coppelius e Spallanzani (che del famoso medico ha solo il nome curioso) lasciamola alla sconcertante fantasia di Hoffmann e dei suoi epigoni; famosi sono i balletti musicati da Ciajkovskij e da Delibes e la memorabile opera lirica di Offenbach (molto più noto per i suoi “Can-Can”): sarà da lì che il famoso “poeta” italiano sopraccitato ha derivato la sua sciocca profezia sulla scomparsa del lavoro “umano”.

IL ROBOT COME AIUTO E NON COME GUIDA
Per quanto riguarda gli aspetti umanitari dell’applicazione della robotica alla cura dei disabili (e anche non disabili, se rischiano di restare soli a casa) concordo pienamente sulla necessità dell’assistenza da parte di un altro essere umano (e non di una macchina o, peggio, di un animale, con l’eccezione dei ciechi, purché non si riducano anch’essi a “parlare” solo col cane). Devo quindi chiarire come immagino il robot per queste particolari applicazioni: esso deve essere solo un aiuto per i compiti pesanti delle badanti e dei paramedici o durante le loro assenze, che devono essere di pochi minuti. Teoricamente già oggi in ospedale, e si può fare anche nelle abitazioni, la sorveglianza continua del malato può essere assicurata da macchine, che io chiamo robot, anche se non hanno occhietti dolci e manine, col compito di dare allarmi a esseri umani sani (tipicamente infermieri) in caso di necessità. Negli anni ’80, prima che i cellulari costassero 20 euro, mia Mamma era paralizzata  in casa, con badante alla mattina e un’altra (anche infermiera) al pomeriggio, ma, per assicurarne il controllo continuo anche in caso di imprevisti, io le ho modificato il telefono (con un semplice spostamento di contatti e un rivelatore di suoni da 5000 lire) in modo che uno squillo dall’esterno lo mettesse automaticamente sia in risposta sia in “viva voce”: in qualunque momento noi figli la chiamassimo (dall’ufficio) il telefono a casa si attivava da sé e la Mamma, senza spostare la sedia a rotelle e alzando un po’ la voce, poteva rispondere, se era in grado di farlo, fornendo almeno un indizio sul suo stato di “vigilanza”. Poi il telefono si spegneva da sé dopo cinque minuti, grazie a un timer RC. Questo era utilissimo quando l’infermiera che la curava era in ritardo: in questo caso, in assenza di risposta, qualcuno dei figli si precipitava a casa e possibilmente avvertiva anche un vicino di intervenire per quei 20-30 minuti che ci occorrevano. Ecco un caso di automazione “fai da te” di 30 anni fa.

FINIAMOLA DI DEPOSITARE I VECCHIETTI NEI LAGER
Oggi si può fare questo senza modificare niente e con la videosorveglianza (per esempio Skype, che è anche gratis nelle 24 ore), ma allora stavano solo per uscire sul mercato (all’estero) i primi videotelefoni in bianco e nero, che però non si potevano installare in ufficio e costavano un milione e mezzo (di lire) la coppia. In questo campo le applicazioni oggi sono già moltissime (tre mesi fa mi è stato fatto a casa un elettrocardiogramma, subito inviato a un computer remoto che ha diagnosticato un sospetto di infarto, attivando tutto il sistema di eventuale intervento chirurgico, prima ancora che l’ambulanza partisse da casa mia) e non ci sono scuse per non farlo: tutti i malati disabili o a rischio dovrebbero avere in casa almeno un sistema Skype o equivalente. Invece si preferisce depositare i vecchietti in un lager e fingere di non sapere che li assassinano più o meno lentamente; e nessuno è colpevole! Conosco malati di Alzheimer, con figli adulti e (troppo) benestanti, abbandonati in spaventosi ricoveri a Milano. Chi si avventura a visitare quei malati ne ritorna stravolto dalla vista del trattamento che subiscono anche in presenza di visitatori; ne parla coi parenti, ma quelli rispondono che non trovano soluzioni migliori. È uno scandalo: perfino il medico di base potrebbe tenere sotto controllo continuo, senza interrompere le proprie visite ambulatoriali, fino a una ventina di malati gravi a domicilio, e gratis. Non fare ciò è un omicidio. Tutto il necessario esiste già da tempo (altro che robotica “del futuro”!) e il prezzo del materiale e del software non è proibitivo (lo sanno Renzi-Lorenzin?). L’unico impedimento? La privacy. E un malato grave dovrebbe preoccuparsi per la privacy?

USANDO IL CERVELLO SI RAGIUNGO I RISULTATI
Concludo dicendo che il famoso e ormai vecchio salvavita Beghelli, inventato quando io modificavo il telefono di casa, non è mai servito a niente, perché chi ha un incidente in casa non ha quasi mai il tempo neanche di premere il pulsante per chiamare aiuto. Quindi faccio appello ai medici intelligenti (non lo sono proprio tutti) perché promuovano l’uso della robotica. Gli scienziati chiederanno di attendere l’arrivo dell'”intelligenza artificiale”, ma si può tranquillamente rispondere che non è necessaria (oltre al fatto che esiste dagli anni ’70 e non è usata perché non “rende” abbastanza). Nell’ospedale dove mi hanno riabilitato dall’infarto nei primi anni 2000 la si usava solo per studiare la combinazione dei letti perché non ci fosse promiscuità di sessi nelle stanze; non la sapevano usare neanche per trasferire da un ambulatorio all’altro i risultati degli esami che riguardavano un medesimo paziente, che doveva andare a rintracciarseli da sé (oggi per fortuna lo fanno): l’intelligenza artificiale c’era già, ma mancava quella “naturale” del primario e dei suoi medici. Naturalmente il paziente non ha il diritto di dare suggerimenti, e men che meno fare facili installazioni; io in ospedale ho trascorso 40 giorni di fila e stavo discretamente bene per ragionare e eseguire qualche intervento, ma nessuno ha mai accettato un mio consiglio o una mia collaborazione (gratuita): per il medico, il paziente è un pezzo di ferro come e meno dell’automobile per un meccanico. A Paderno in un ospedale che nel 1985 era di recente costruzione, al letto del mio parente mancava il campanello di allarme: ho dovuto portarmi gli attrezzi da casa e installarlo di nascosto; può darsi che lo usino ancora oggi. E al pronto soccorso del nuovissimo Niguarda i malati depositati in corridoio (io compreso, lo scorso gennaio) non dispongono di nessun mezzo (un pulsante basterebbe) per chiamare gli infermieri, del tutto assenti; in caso di malore, si alza il paziente non moribondo più vicino e va alla ricerca di qualcuno che magari (o certamente) sta in terrazzo a fumare. E parlo di Milano, non di Catanzaro.

SE LE COSE NON VANNO NON È COLPA DEI PAZIENTI
A una neo-promossa “primaria” di cardiologia, che credevo mia estimatrice dopo nove anni di conoscenza, ho fatto presenti inconvenienti facilmente rimediabili, ma la sua risposta (pubblicata anche su un giornale) è stata che la colpa è dei pazienti che non conoscono la stato della “res publica” e chiedono cose impossibili perché costose: ma vi immaginate il malato di Alzheimer o Parkinson che a 80 anni si mette a ragionare di costo della “res publica” quando in fondo gli serve solo un pappagallo o una padella d’urgenza? Se la fa addosso e buonanotte. Ma questo è il livello di intelligenza di molti medici (e quindi anche primari) che operano a Milano: figuriamoci come si potrebbe spiegare loro l’utilità dell’automazione (robotica o intelligenza artificiale che dir si voglia) per l’assistenza ai malati anziani e disabili. Con politici, ministri e governatori compresi, non c’è speranza. Io ci provo con queste considerazioni elementari, ed essendo parte interessata (come anziano, non come trafficante in robotica) spero che vengano recepite.

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