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L’ENIGMA DEL VANGELO DI GIOVANNI

di Fabio Tirelli – Il Vangelo di Giovanni, a differenza di quanto afferma la tradizione Cristiana, è stato probabilmente scritto da più persone in più tempi diversi (per completarsi, in originale lingua greca, intorno al 100 D.C.).
I primi riscontri storici risalgono infatti a reperti risalenti all’anno 200 (papiro 66, oggi custodito a Ginevra). Ma al di la della non identificazione fra l’Apostolo Giovanni e l’Evangelista, come probabilmente non esiste identificazione fra Lui e Colui che viveva nell’isola di Patmos “a cagione della sua fede” (Giovanni, lo scrittore delle rivelazioni) esiste profondissima continuità e contiguità materiale, storica e teologica fra le varie figure giovannee, tanto da permetterci appunto di definire giovannea la scuola di pensiero trascendente e trascendentale, esoterica e mistica, filosofica e teologica, che caratterizza il pensiero di questo Cristianesimo innovativo e rinnovato: questa premessa mi risulta indispensabile perché introduce il tema dell’importanza delle opere e dei testi Giovannei e ci aiuta compiutamente a riconoscerci nell’elemento fondamentale della Sua Buona Novella (ma anche dell’operato storico Giovanneo e dell’opera Apocalittica): il tema della Resurrezione.
Giovanni, figlio di Zebedeo e fratello di Giacomo, è presentato più di tutti gli altri Apostoli e in seguito degli altri Evangelisti vicino alle teorie degli Esseni e alla cultura ebraica nel suo complesso; egli incastra nel suo vangelo un annuncio permanente, a conferma della profezia dei Patriarchi della morte e della resurrezione del Dio Vivente.

FILOSOFIA E CRONACA
Dobbiamo intenderci: al di la che il Vangelo di Giovanni sia il più filosofico dei quattro Vangeli, in esso viene trattato in modo fermo e pieno il percorso della morte e della resurrezione di Cristo in senso letterale e storico, ottenendosi come in un gioco di specchi la conferma di Giovanni l’Apostolo come il testimone privilegiato della prima e della seconda. Vorrei qui ricordare che ad esempio il Vangelo di Giovanni ribadisce con forza la presenza dell’Apostolo ai piedi della croce insieme alla madre e alla sorella di Maria (vero e proprio testimone oculare) ma soprattutto afferma (e non può sfuggircene il significato) che egli arrivò per primo (prima di Pietro) al sepolcro di Cristo ormai aperto e inutile, come se il testimone e il fondatore di quella che chiameremo “la Chiesa Invisibile”, già in qualche modo prefigurasse la sua vittoria nei confronti di quella visibile, Pietro, mettendone in discussione il primato. Certo affidarci esclusivamente alla lettura dei quattro Vangeli per dirimere questioni come quella che stiamo trattando può essere rischioso anche dal punto di vista epistemologico: è ormai risaputo che la genesi dei Vangeli sinottici fa derivare quelli di Luca e Matteo dal più antico, quello di Marco, e che questo a sua volta ha tratto la sua origine (circa trenta anni dopo la morte del Cristo storico) da un Testo Q, il vero Protovangelo, che a sua volta rappresenta la silloge dei testi e delle parabole trasmessi  oralmente dagli Apostoli e dai loro seguaci in epoca immediatamente posteriore alla morte storica del Cristo.

IL DISCEPOLO PREDILETTO DAL SIGNORE
E sappiamo con egual storica certezza che il Vangelo Giovanneo, posteriore agli altri, non è influenzato se non in minima parte dal Testo Q e dai tre Vangeli sinottici (forse esistono contaminazioni fra Vangelo apocrifo di Tommaso, il più antico, e il testo Giovanneo, non fosse altro per il medesimo humus culturale che li coinvolge). Questa ulteriore precisazione storica mi è necessaria per ribadire, se fosse il caso, che Giovanni, il prediletto del Signore (Giovanni 13-23, 19-26, 20-2, 21-7) incarna il Discepolo che il Signore amava più degli altri e che insieme a Maria (Atti degli Apostoli) approda prima a Efeso, poi a Pergamo e infine a Patmos, come se in un certo senso la sua storicità, compresa la morte in tardissima età, ricapitolasse in qualche modo o addirittura prefigurasse l’apparizione sotto certi versi misteriosa delle opere Giovannee, di per se percorse da uno spirito di trascendenza che le rende comunque una testimonianza del centro della Dottrina Cristiana, che altro non può essere che la resurrezione, anche nella sua forma storica.

I TEMPLARI E LA SINDONE
Dicevamo, Giovanni fondatore della Chiesa invisibile e in un certo senso connessa con tutti gli Illuminati che hanno attraversato il mondo da Cristo ad oggi, non escludendo i Templari, non dimenticandoci di Isaac Newton e ricordandoci come la sua continua presenza a fianco del Cristo introduca per alcuni l’identificazione in lui sia del Maschile che del Femminile della Chiesa.
Giovanni incrocerà la storia dei Templari, quella della duplice natura maschile e femminile della discendenza di Cristo e sarà spesso chiamato a testimone pro o contro addirittura dell’autenticità o meno della Sacra Sindone. Su quattro traduzioni ufficiali della Bibbia almeno tre coincidono nella traduzione di un passo estremamente importante del Vangelo di Giovanni dove, come noto, si parla della ricopertura del corpo di Cristo con bende e con oli profumati. Solo la Bibbia del Ravasi Maggioni parla di teli, comunque al plurale. Pare assodato che per Giovanni le modalità di sepoltura del Cristo non abbiano rappresentato la necessità di un unico telo sacro ma piuttosto la presenza di bende, fatto che negherebbe a priori l’esistenza di una Reliquia Sindonica.

L’AMBIENTE EBRAICO
Di più, la narrazione Giovannea situa la giornata della morte addirittura il 14 nisan e non il 15 come gli altri Vangeli, facendola coincidere con la giornata precedente alla preparazione della Pasqua ebraica. In realtà tutto il ciclo storico morte e resurrezione del Cristo in Giovanni è trattato sotto la specie del rigoroso rispetto dell’ortodossia ebraica: egli parla di bende perché questa era la tradizione ebraica e non si tenta certo di confrontarsi con le altre Fonti perché a noi sta a cuore l’evento della Resurrezione. L’evento Sindonico è lontano dal Vangelo di Giovanni solo in quanto la sua narrazione situa questi fatti storici nell’ambiente ebraico e nella cultura ebraica che egli conosceva benissimo. Egli non afferma realmente che Gesù fu avvolto in uno o più teli né afferma il contrario; egli ci parla piuttosto della trascendenza che questo evento pone con se. Potremmo piuttosto dire che proprio la sua diretta conoscenza del Mistero lo potrebbe portare più vicino degli altri Evangelisti ad affrontare il mistero della Sindone, perché essa rimane l’unico vero reperto che conduce verso la storicità della Resurrezione, che per noi è un faticoso cammino e che per Giovanni è una semplice e splendida realtà. La Sindone è la prima testimonianza della resurrezione e non della morte del Cristo e in questo senso è metaforicamente il reperto più giovanneo che ci possa aiutare nella nostra faticosa ricerca.

UN’IMMAGINE FRUTTO DI UN’ESPLOSIONE ATOMICA
Il fatto che nel Diatesseron di Tazio intorno al 160, la prima sintesi dei quattro Vangeli, molto di Giovanni venga espunto e che altri testi quali il Vangelo degli Ebrei non parlino del rinvenimento del Simulacro del Volto del Signore non ci deve preoccupare né per la eventuale mancata storicità del racconto Giovanneo né per la possibile mancata storicizzazione dell’evento sindonico. Se noi guardiamo alla natura oggettiva e fisica della Sindone e affrontiamo il mistero della sovraimpressione al negativo, che noi abbiamo trovato nelle ombre sui pochi muri restati ad Hiroshima dopo la catastrofe, ci rendiamo conto che l’immagine sindonica può derivare da una vera e propria radiazione nucleare, che dicono alcuni potrebbe coincidere con l’atto della resurrezione del Corpo di Cristo e in secondo luogo il fatto che il telo o i teli che coprivano il Corpo non presentavano il segno sacro al momento del loro rinvenimento potrebbe solo semplicemente farci pensare alla loro emersione nel tempo, come avveniva nelle emulsioni fotografiche.
In quanto manufatto achiropitico, la Sindone ha sempre rappresentato un mistero, anche per chi, e noi siamo fra questi, ha sempre creduto alla sua assoluta autenticità; né potrebbe essere altrimenti per la Reliquia fondativa di tutte le religioni cristiane. Al termine del suo percorso per le vie del mondo e della fede (e dopo il periodo della sua sparizione da Edessa e la sua ricomparsa in Francia dove fu esposta nel 1.357 dai De Cheri, di cui non vogliamo parlare perché altri e più competenti Oratori hanno trattato questo tema) una serie di fatti storicamente noti si svolsero di contorno alla sua potente immanenza: a noi interessa solo ricordare che subì un incendio e una fumigazione nel 1.532 e che molte altre volte corse il rischio di essere distrutta prima di arrivare nelle mani più sicure dei Savoia, in quel di Torino, per poi proseguire il suo percorso a tutti noto.

I DUE TRIANGOLI
Molti come Mc Crowe l’hanno considerato un vero falso, nonostante alcune inconfutabili prove che oggi sono palesemente dichiarate anche dai non credenti (sia una per tutte la presenza testata di 33 spore su 45 provenienti inequivocabilmente dalla Palestina del I Secolo); questa linea di pensiero è poi riemersa con le ambigue prove del radio carbonio i cui risultati sono ancora oggi oggetto di dibattito: ma questi discorsi non ci appassionano, ci appassiona molto di più il pensare che il suo posizionamento a Torino l’ha posta al vertice, secondo gli alchimisti e gli esoterici, dei due più importanti triangoli, quello positivo di Lione Ginevra e Torino, dove predominano i simboli astrologici del Leone della Vergine e del Toro e quello negativo sempre di Torino con Londra e San Francisco, considerato il trittico della magia nera. Ma non ci interessa tanto per una strategia geometrica di alchimia misterica, quanto perché interpreta Torino, luogo della sua abitazione terrena, come centro propulsore di equilibrio di forze contrastanti. Inoltre, volevo ricordarci che subì proprio a Torino un secondo incendio nel 1997, nello stesso anno in cui un altro tremendo e mortale incendio distrusse il tunnel del Monte Bianco, via d’accesso fra i due territori che la possedettero e ne furono posseduti negli ultimi 800 anni, la Francia e l’Italia.

LA SIMBOLOGIA DEL SACRO LINO
Che tutto questo sia un caso o un segno lo lasciamo pensare ai lettori, a noi piace più pensarla come la manifestazione concreta della resurrezione del Cristo e quindi ricordare quanto profondamente giovanneo sia il simbolismo che l’accompagna, Giovanni che storicamente attraversò il mondo orientale, primo vero Apostolo dell’unità delle Chiese prima che queste si dividessero. Anche la Sindone percorse un lungo cammino da Gerusalemme a Costantinopoli a Edessa, forse anche Atene, prima di giungere in Francia, come se il Mandilion fosse un Apostolo esso stesso, l’Apostolo di chi crede perché vede e sente. Mi piace anche ricordare che Margherita di Chery la cedette ad Anna di Ligiano, lei forse erede di Goffredo, che la dona da donna a donna alla moglie del Duca di Savoia, come se una parte del suo percorso fosse costituita dal femminile e qui di nuovo Giovanni che per l’attenzione verso le donne e per la sua stessa figura ben rappresenta il femminile nella cristianità. Avrete potuto in qualche modo notare come il coacervo di simboli e di opposti (maschile e femminile, occidente e oriente, morte e resurrezione, visibile e invisibile, terreno e ultraterreno, divino e umano, Giovanni e Pietro) si assommi e si affastelli su questo prodigio, quasi a indicarci quale possa essere la vera natura nel mondo terreno della Sindone: quella di essere il sembiante per eccellenza. Secondo Lacan (Seminario Ancora) il sembiante come categoria è opposto al reale. Il sembiante si declina su tre specie: il sembiante propriamente detto, il sembiante sul cammino del simbolico verso il reale, il sembiante che è il vero e la realtà. Per dirla con Lacan, mettere l’essere al posto del reale è quell’illusione che attraverso il simbolico si potrebbe concludere con quello che c’è, in altre parole e qui concludiamo, per fortuna di tutti immagino, potremmo dire con Lacan che il sembiante di Cristo (la Sindone) non può e non deve essere letto, visto, interpretato come mera categoria del reale, ma come superamento della categoria del simbolico: il sembiante infatti non è mera illusione, il sembiante opera. Miller, allievo di Lacan, nel suo corso sulla natura del sembiante afferma che la sua vera natura non è quella del reale, anche se lo si incontra sul cammino del reale (infatti l’analisi corre alla scoperta del reale del godimento). Noi potremmo dire a conclusione che la religione è un disvelamento permanente del godimento supremo, la visione del volto di Cristo.

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