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Il pentito Di Carlo accusa: ”Il padre del presidente Mattarella? Era uomo d’onore”

di Aaron Pettinari – “Il vecchio Bernardo Mattarella (in una foto del 1963), padre del capo dello Stato, mi fu presentato come uomo d’onore di Castellammare del Golfo. Me lo presentò tra il ’63 e il ’64 il dc Calogero Volpe, affiliato alla famiglia di Caltanissetta, che aveva uno studio a Palermo”. A parlare della dichiarazione dirompente del collaboratore di giustizia, Francesco Di Carlo, è stato Il Fatto Quotidiano. Le nuove accuse emergono in un nuovo verbale, datato 3 marzo 2016 in cui l’ex boss di Altofonte ribadisce alcune dichiarazioni già rese negli anni Novanta. Il documento potrebbe essere acquisito al processo, che si celebra in sede civile, intentato da Sergio Mattarella ed i suoi nipoti, contro il giornalista Alfio Caruso. La famiglia del Capo dello Stato ha accusato il giornalista e la Longanesi, autore e casa editrice del volume “Da Cosa nasce cosa” di aver “infangato la figura di Mattarella padre”, e di aver raccontato in “maniera grossolana” i rapporti politici del fratello Piersanti, il presidente della Regione siciliana ucciso da Cosa Nostra il 6 gennaio 1980.
Per questo motivo hanno chiesto un risarcimento pari a 250.000 euro, rifiutando una proposta di conciliazione che avrebbe chiuso la causa con la pubblicazione di una nota “riparatoria” sul sito della Longanesi. Il verbale, depositato dal legale di Caruso, Fabio Repici, verrà quindi valutato dal giudice civile Enrico Catanzaro.
Proprio Repici nei mesi scorsi (in base alla regola delle indagini difensive) ha chiesto ed ottenuto il permesso al Servizio centrale operativo di interrogare Di Carlo. Il pentito gli ha raccontato, come riporta Il Fatto Quotidiano, che “in quei primi anni Sessanta, nei paesi in Cosa nostra entravano le persone migliori. Così era capitato anche a Bernardo Mattarella, che era un giovane avvocato perbene. Ciò era avvenuto anche nell’ambito della famiglia della moglie Buccellato, che aveva al suo interno sia esponenti di Cosa Nostra, sia esponenti delle Istituzioni, perfino un magistrato”. E poi ancora: “Insieme a Volpe (un vecchio democristiano che il pentito sapeva essere affiliato alla famiglia mafiosa nissena, ndr), ebbi occasione di andare a casa di Mattarella in una piazzetta, forse Virgilio o Isidoro Siculo”. Che in realtà sarebbe Diodoro Siculo, una piazza palermitana a poca distanza dalla quale, scrive Il Fatto Quotidiano, c’era proprio l’abitazione di Bernardo Mattarella.
Nei mesi scorsi il giudice civile ha rigettato l’istanza di sentire in aula Di Carlo, sia quella di convocare Sergio Mattarella per sapere se la madre, Maria Buccellato, fosse legata a personaggi della mafia trapanese. L’avvocato Coppola, che è legale di Mattarella, ha sempre sostenuto che il nonno materno di Sergio Mattarella, Antonio Buccellato, era solo omonimo di un mafioso trapanese. Nel merito avrebbe anche presentato della documentazione.
Eppure non è la prima volta che emergono delle accuse nei confronti di Bernardo Mattarella (vecchio patriarca democristiano, scomparso nel 1971, che tra il ’53 ed il ’63 fu ministro della Marina, dei Trasporti, del Commercio, delle Poste e dell’Agricoltura).
Anche il sociologo Danilo Dolci nel ’66 aveva scritto riguardo ai rapporti con Cosa Nostra di Mattarella padre e Calogero Volpe, che era l’uomo più potente della Dc di Caltanissetta, e così venne querelato e condannato per diffamazione dal tribunale di Roma.
Proprio Volpe non era insolito a trascinare giornalisti e scrittori in tribunale. Lo fece anche con Michele Pantaleone che sul giornale L’Ora lo aveva definito mafioso. In quell’occasione però la sentenza – eravamo alla fine degli anni Sessanta – fu clamorosa. Pantaleone fu assolto, e così tutti potevano scrivere che Volpe era un mafioso. Ora ci sono le nuove accuse di Di Carlo, che la Corte d’assise di Trapani nella sentenza Rostagno ha definito pienamente attendibile, e che riporta a galla i suoi ricordi. Oggi l’avvocato Antonio Coppola ha scritto una lettera al Fatto Quotidiano definendo “fantasiose” le dichiarazioni del pentito. Nella controreplica del giornale, però, si sottolinea giustamente come “nel pubblicare alcuni stralci di quel verbale, depositato a disposizione delle parti processuali, ci siamo limitati a esercitare il nostro diritto-dovere di cronaca”. Ma forse è proprio questo diritto-dovere che è più temuto dai potenti.

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