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La Rete e il “diritto all’oblìo”

Analizzando la storia delle nostre vite nella rete, è possibile ricostruire un percorso che somiglia all’anamnesi che si fa in medicina con un paziente. Ognuno di noi, infatti, ha una storia, da quelli un po’ più noti che hanno una loro pagina su Wikipedia a quelli meno noti che si fanno un loro sito, fino a quelli che vengono nominati nei commenti sui social-network. Ormai, quando uno cerca in rete delle informazioni sulle persone mediamente note trova migliaia di voci. Molto spesso non sono né positive né negative, sono semplicemente tracce della nostra storia in rete. C’è una legge, che è stata votata a livello europeo, che prevede il diritto all’oblio, cioè, per esempio, passati dieci anni da una condanna penale, il ricordo in rete di quell’indagine può essere cancellato. Perché il diritto all’oblio è come il diritto di cronaca. Di conseguenza, io non parlerei di diffamazione ma di fama. Quest’ultima è un concetto che ci spinge, per ragioni evolutive, a farci i fatti degli altri. Tutto questo nasce agli albori dell’umanità, quando l’uomo e la donna dovevano necessariamente farsi l’uno un’opinione dell’altra. E di questi fatti degli altri, oggi, rimane traccia in rete.

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