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Ansaldo, Danieli, Fata, Maire: chi teme di più in Italia per le sanzioni Usa all’Iran

di Michele Arnese (Start Magazine) – Come l’Italia risentirà delle sanzioni Usa contro l’Iran? Quali aziende italiane avranno i maggiori contraccolpi commerciali per le decisioni degli Stati Uniti di Trump? Infatti tra gli Stati che risentiranno di più dei nuovi round di sanzioni c’è anche l’Italia, a proposito della quale ha scritto oggi il Sole 24 Ore: “Nel 2017 il nostro Paese è divenuto primo partner commerciale dell’Iran tra i paesi dell’Unione Europea, superando Francia e Germania”. Sempre nel 2017, l’interscambio tra Italia e Iran è cresciuto del 97% rispetto al 2016 arrivando a quota 5 miliardi di euro, mentre Francia e Germania seguivano rispettivamente a 3,8 e 3,3 miliardi.

Le preoccupazioni di Confindustria
Con il ritorno delle sanzioni Usa all’Iran – e soprattutto delle sanzioni secondarie, cioè le ritorsioni verso le aziende europee che volessero continuare a fare affari con l’Iran, colpendole nei loro business in Usa – “saranno soprattutto le Pmi italiane a restare con il cerino in mano”, ha spiegato Sandro Salmoiraghi, presidente di Federmacchine.

I numeri
Dei quasi 2 miliardi che l’export italiano sperava di portare a casa nel 2018, dall’Iran, circa 1 miliardo è costituito da meccanica strumentale, che rappresenta il 54% delle nostre vendite a Teheran. Il Sole 24 Ore ha stimato un rischio per l’Italia da circa 30 miliardi di euro.

Le previsioni di Sace
Secondo le previsioni di Sace, al netto delle sanzioni, nel 2018, la crescita attesa del nostro Made in Italy in Iran dovrebbe sfiorare i 2 miliardi di export (+9% sull’anno scorso). In testa la meccanica (dalla componentistica ai macchinari) che doveva raggiungere il miliardo di vendite. Dietro la chimica e gli apparecchi elettrici. Il colpo più duro, però, è quello alle grandi imprese. Sinora, il rischio politico aveva impedito a Sace di garantire coperture su operazioni oltre i 24 mesi. Cioè i grandi progetti di ampio respiro.

Le maggiori aziende italiane presenti
La presenza italiana a Teheran annovera società come Ansaldo Energia, Ferrovie, Danieli, Fata, Maire, Immergas.
L’Eni, messa sotto pressione dagli Stati Uniti già durante il duro regime delle sanzioni dell’era Obama, “non ha più investito nel Paese nemmeno dopo l’accordo nucleare. Tra le operazioni che rischiano di saltare, la fornitura di turbine Ansaldo per le centrali elettriche iraniane e la vendita di alcuni treni: convogli del tipo Pendolino ora prodotti dalla francese Alstom, ma fabbricati in stabilimenti italiani”, ha scritto il Corriere della Sera a maggio.

Ansaldo, e non solo
A ottobre Ansaldo Energia ha firmato un memorandum d’intesa in Iran per la fase 12 del mega giacimento South Pars, che ha riserve stimate in 14 miliardi di metri cubi di gas. Nello stesso periodo, Maire Tecnimont ha sottoscritto un accordo di consulenza ingegneristica con il complesso petrolchimico Ibn-e Sina di Hamedan in Iran, ha scritto a maggio il Sole 24 Ore, che ha aggiunto: “Ma aveva già firmato un memorandum d’intesa da un miliardo con la compagnia petrolchimica Pgpic. Fs ha già concluso l’accordo da 1,2 miliardi di dollari per la linea ferroviaria Arak-Qom. Ma in ballo c’è anche l’alta velocità Teheran-Qom-Isfahan”. Per non parlare di IranAir, che aveva ordinato 200 aerei commerciali per 38 miliardi di dollari, di cui 100 commissionati ad Airbus e 20 a Atr, di proprietà, oltre che di Airbus, anche di Leonardo. “Operazioni che rischiano di saltare per la forte quota di componenti statunitensi”, ha chiosato il Sole 24 Ore.

Il settore aeronautico
Non solo Leonardo (ex Finmeccanica), comunque: “Salta il contratto dell’americana Boeing con l’Iran (20 miliardi di dollari per la fornitura di 110 aerei), ha scritto Massimo Gaggi del Corriere della Sera: “ma anche quello con l’Airbus (di valore analogo). Si tratta di aerei civili europei, certo, ma con una quota di componenti americane (avionica e motori General Electric o United Technologies) superiore al 10 per cento: il limite oltre il quale scatta l’embargo”.

L’azione del Tesoro
Di gennaio di quest’anno è l’accordo quadro di finanziamento siglato – sotto l’egida del ministero dell’Economia – fra Invitalia Global Investment e due banche iraniane per 5 miliardi, per sbloccare vari progetti di investimento e partnership. Accordo che coinvolge le iraniane Bank of Industry and Mine e Middle East Bank, per progetti di costruzioni e manifatturieri, con l’uso di tecnologia, macchinari e servizi tecnici e ingegneristici italiani.

L’analisi del generale Jean
Ha scritto su Start Magazine Carlo Jean, generale, esperto di lungo corso di geopolitica e intelligence: “Le conseguenze economiche sull’Italia del ripristino delle sanzioni erano già state considerate nella legge di bilancio attuale. All’art. 32 essa prevede l’intervento di Invitalia per compensare il rischio politico degli investimenti in Iran. Essi riguardano soprattutto l’Eni e i 5 miliardi di euro di apertura di crediti a Teheran, miranti a ristabilire l’importante presenza italiana in quel paese”. Una decisione, quella di mobilitare la finanziaria pubblica Invitalia, presa dal governo Gentiloni dopo che la Cassa depositi e prestiti controllata dal Tesoro si era sfilata in questo senso facendo irritare l’esecutivo e il ministero dell’Economia.

Il ruolo di Invitalia
C’è stato poi un decreto che ha attuato un articolo della legge di Stabilità 2018 sulla garanzia statale di 5 miliardi per le imprese che investono in Iran. Ecco il progetto architettato dal Tesoro, gestione Padoan: creare una società per azioni controllata da Invitalia, l’agenzia statale per attirare investimenti stranieri, chiamata Invitalia Global Investment. “Fin dall’articolo 1 del decreto è chiaro che il governo è consapevole che ci potranno essere problemi con le sanzioni”, ha scritto nelle scorse settimane Stefano Feltri, vicedirettore del Fatto Quotidiano. Infatti nel decreto è specificato che “in considerazione dello specifico ambito in cui opera e dei diversi rischi legati all’esercizio delle funzioni a essa assegnate, Invitalia Global Investment opera quale entità indipendente e separata”. “Ma non è certo separata dallo Stato, visto che è autorizzata a rilasciare garanzie che sono il sogno di ogni imprenditore”, ha chiosato il Fatto. La garanzia pubblica, infatti, copre “qualsiasi inadempimento da parte del debitore principale e/o di terzi co-obbligati e/o di terzi garanti, quale ne sia la ragione o la causa”. Ma il progetto di Gentiloni e Padoan di fatto resta al palo.

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