Press "Enter" to skip to content

Chi erano i Nefilim, ovvero i giganti del Vecchio Testamento?

di Mauro Biglino – Posso dire che dal punto di vista biblico si trattava chiaramente di una razza diversa dagli Elohìm. Il tema dei Nefilim è controverso e non a caso gli ho dedicato spazio nei miei libri. Posso sintetizzare dicendo che la Bibbia narra di come il popolo di Israele fosse terrorizzato dall’idea di dover combattere contro di loro; segnala che avevano sei dita per ogni arto, che dormivano in letti lunghi circa 4 metri e che combattevano spesso nelle file dei filistei contro gli ebrei.
Sulla loro origine il famosissimo autore Z. Sitchin ha formulato delle ipotesi che da tempo sono oggetto di diatribe tra docenti universitari statunitensi. Vediamo di approfondire.

E gli elohim-annunaki scelsero le donne “Adàm”
In Genesi (Gen 6,1-8) si racconta che gli Adàm (i terrestri) cominciarono a moltiplicarsi sulla faccia della Terra e che naturalmente ebbero anche delle figlie. Gli “Annunaki-Elohim” (Sumeri), che erano scesi su questo pianeta, ebbero interesse per le femmine Adàam, considerate “capaci, adatte” a stabilire dei rapporti di coppia, alla costituzione di famiglie: adatte insomma alla pratica di rapporti sessuali e alla conseguente riproduzione. Poi il testo prosegue narrando la rabbia e il dispiacere del “dio” che, nel vedere questo imbarbarimento, decide di cancellare l’umanità dalla faccia della terra.

Quella postilla sui Nefilim (Giganti) nella Genesi 
Quindi, per riprendere la Genesi “la Terra è stata sconvolta dai segreti e dai misteri che i “Vigilanti” hanno trasmesso ai loro figli…”.
A questo punto il redattore della Genesi interrompe il flusso principale della narrazione, per inserire una sorta di annotazione a margine della vicenda, una specie di contestualizzazione di ordine temporale (quasi un richiamo per chi era a conoscenza delle vicende) e con un’espressione molto colloquiale (versetto 4) scrive: “In quel tempo sulla terra c’erano i Nefilìm, che ci furono anche in seguito, quando i figli degli Elohim si unirono alle figlie degli uomini ed ebbero da loro dei figli Ghibborìm (eroi, valorosi, forti), famosi fin dai tempi antichi”.
Un primo problema presentato dal testo è costituito dalla scarsa chiarezza con cui il redattore inserisce l’inciso.
In sostanza non si comprende con assoluta certezza se i Nefilìm sono stati il prodotto delle unioni tra “Annunaki – Elohim” e donne Adàm (umane), oppure esistevano indipendentemente da queste: evidentemente il lettore del tempo non aveva di questi dubbi, per lui i fatti narrati e i tempi di riferimento dovevano essere chiari di per sé. L’inciso rappresentava un semplice richiamo a qualcosa di noto e che quindi non necessitava di ulteriori spiegazioni.
L’annotazione è tanto più stimolante se si considera che il problema non è solo di ordine temporale – c’erano già o sono il prodotto degli incroci? – ma concerne anche il significato stesso del termine “Nefilìm”.

Quale interpretazione al significato di Neflìm?
Nefilìm: “Incroci con donne Adàm”. Il libro dei Giubilei, appartenente alla letteratura ebraica extrabiblica, dice espressamente (5,1) che i Nefilìm erano figli di queste unioni. Anche lo scrittore giudeo romanizzato Giuseppe Flavio ci parla di questo evento là dove, nel suo libro Antichità giudaiche (1,73), dice che gli “Angeli di Dio” si unirono a donne e ne nacquero figli empi, orgogliosi, arroganti, fiduciosi esclusivamente della loro potenza: sottolinea che avevano cioè tutte quelle caratteristiche che i Greci attribuivano ai giganti.

Ma la spiegazione potrebbe essere ancora diversa
Nefilìm: “Caduti dal cielo”. Tradizionalmente questo termine è tradotto con “giganti”: già così fecero i Greci della “Versione dei Settanta”, che parlarono espressamente di Ghìgantes.
La radice ebraica del verbo nafàl, però, da cui deriva il termine Nefilìm, indica “cadere, scendere in basso, venire giù” o anche, per estensione, “decadere”. Quindi il versetto citato potrebbe essere più correttamente tradotto col seguente significato: “In quel tempo sulla Terra c’erano quelli che erano venuti giù, erano scesi”. In questi nuovi termini verrebbe meno il problema interpretativo perché, non trattandosi di giganti, non sarebbe necessario stabilirne l’origine, capire cioè se erano o meno il prodotto dei nuovi incroci: semplicemente la Bibbia ci dice che in quel momento sulla Terra c’erano ancora coloro che “erano scesi” dai cieli.
Nefilìm: “Decaduti”, inteso come “meno puri”, “impuri”. Un’ulteriore possibile interpretazione potrebbe indicare che questi esseri venuti dal cielo avevano condotto delle unioni improprie producendo un imbastardimento della purezza originaria: si tratterebbe quindi di individui decaduti, dei bastardi contaminati da queste unioni improprie, esseri corrotti, perversi, impuri, dediti alla fornicazione, reprobi, figli di prostituzione, per usare espressioni del già citato “Libro etiopico di Enoch” (anche in tempi moderni parliamo di “nobiltà caduta in basso, decaduta”)
Nefilìm: “Giganti”. Al di là di queste interpretazioni, la Bibbia riprende il concetto dei “giganti” in altri passi, e li definisce con altri nomi: Anaqìm, Refaìm, Emìm, Zamzummìm.

  • Anaqim. Nel capitolo 13 del libro dei Numeri, il quarto nella successione dei testi anticotestamentari, si narra dell’invio da parte di Mosè di esploratori verso la Terra promessa.
    Il popolo si trovava ancora nel deserto di Paràn, e la conquista della terra di Canaan richiedeva una programmazione accurata: bisognava conoscerne le caratteristiche, sapere chi la abitava (se popoli forti o deboli), se gli abitanti erano numerosi o scarsi; il tipo di difese di cui disponevano le città, la dislocazione degli accampamenti, il tipo di vegetazione che vi si trovava.
    Insomma, anche se si trattava di una Terra promessa da “dio”, Mosè sapeva bene che sarebbe stato necessario conquistarla con le armi, utilizzando strategie accorte e ben programmate.
    Egli invia dunque degli esploratori per acquisire le informazioni necessarie.
    Dopo quaranta giorni fanno ritorno con quanto era stato loro richiesto: notizie e prodotti del territorio. Riferiscono che la terra è effettivamente molto appetibile, ma che è abitata da popolazioni forti e agguerrite e che si tratta di un’impresa impossibile (Nm 13,28). Questi esploratori fanno un elenco dei vari popoli che hanno incontrato, ma sentono la necessità di sottolineare con particolare enfasi che hanno visto “anche” i figli di Anàq, cioè gli Anaqiti. Perché?
    Lo spiegano chiaramente dicendo che hanno osservato bene la terra da conquistare (Nm 13,32-33): hanno visto uomini di “dimensioni, stature” non comuni (talmente straordinarie da dover essere segnalate).
    Affermano inoltre che agli occhi degli Anaqìm – appartenenti alla discendenza dei Nefilìm – loro dovevano apparire “come locuste”, visto che loro stessi si vedevano così al cospetto di quegli individui.
    Certo il paragone con le cavallette non poteva riferirsi al numero, che in questo caso sarebbe stato a vantaggio degli Israeliti, bensì alle dimensioni: questo era il motivo della paura che attanagliava i messaggeri. Gli esploratori concludono quindi il rapporto dicendo che quel popolo è più forte di loro.
    Lo stesso evento è ripreso nel Deuteronomio.
  • Emim. Gli Emìm abitavano infine nel territorio di Moab (a est e sud-est del Mar Morto) e furono proprio i Moabiti a chiamarli così, in quanto loro erano altrimenti conosciuti come Refaìm. Secondo Genesi 14,5 furono sconfitti da Kedorlaomer e dai suoi confederati (cfr. Nm 32,37 e Gs 13,19).
    In Deuteronomio 2,9 Mosè prosegue il suo racconto enunciando gli ordini ricevuti da Yahweh: in particolare, non doveva combattere contro Moab perché i figli di Lot (nipote di Abramo), avevano già avuto in possesso la “terra di Ar”.
    E dice che in questa terra di Ar (2,10), ci sono gli Emìm, un grande popolo.
    Gli Emìm erano alti e considerati quindi Refaìm come i figli di Anàq, della stirpe dei Nefilìm: il termine stesso significa forse “terribili”.
    Segue quindi un’esortazione: Mosè riconosce l’oggettiva difficoltà, ma spinge il suo popolo a non avere paura perché il suo Elohìm combatterà davanti a lui e distruggerà i nemici (Dt 9, 2-3)
    Dunque Anaqiti, Refaìm ed Emìm sono sempre messi in parallelo, identificati gli uni con gli altri e di conseguenza tutti considerati della stirpe dei Nefilìm: esseri di alta statura caduti/scesi dall’alto.
    Individui potenti, forti, che incutevano terrore e la cui presunta invincibilità induceva il popolo di Israele a rinunciare alla conquista.
  • Rafaim. I Refaìm (cui apparteneva Og) occupavano la Transgiordania dal monte Hermon fino ad Ammon; come gli Anaqiti, furono sconfitti da Giosuè nel corso delle guerre di conquista, anche se Davide si scontrò ancora con alcuni di loro che vivevano in Cisgiordania (cfr. 2Sam 21,15-21).
    Ai Refaìm appartenevano anche gli Zamzummìm, che abitavano nella regione di Amman (Transgiordania): anche di essi si dice (Dt 2,20-23) che erano popolo di “alta statura”, come gli Anaqiti.
    L’etimologia è incerta. Il nome Refaìm era già presente nei racconti cananei antecedenti il periodo della conquista da parte degli ebrei. Per alcuni il loro nome rimanda al concetto di “curare”, contenuto nella radice rafah: che gli Anunnaki fossero dotati di conoscenze mediche particolari è parte fondamentale dell’intero impianto su cui si basa l’ipotesi in discussione.
    Curioso è notare che il termine Refaìm indicava anche gli abitanti dello sheòl, “l’altro mondo”, il mondo dell’aldilà: si può forse ipotizzare un legame di questi individui con antenati che provenivano da un altro mondo, concreto e non immaginario?
    Il libro del Deuteronomio (cap. 3) ci ricorda anche il nome e le dimensioni di uno di questi Refaìm. Vi è una sorta di riassunto della lunga guerra combattuta per impossessarsi del territorio di Canaan – una guerra durata molti decenni e la conquista del regno di Og. Di lui ci dice (versetto 11) che il suo letto era 9 cubiti di lunghezza e 4 cubiti di larghezza.
    Sapendo che il cubito misurava la distanza dal gomito alla punta delle dita (cioè circa 45 cm), abbiamo un letto di 4,5 metri di lunghezza per 2 di larghezza!

Refaìm: 6 dita per arto
I due libri di Samuele sono testi compositi, raccolgono infatti numerose tradizioni orali, e il capitolo 22 del secondo libro riporta le parole con le quali il re Davide intende ringraziare con un vero e proprio componimento l’Elohìm che lo ha salvato dalle mani dei suoi nemici.
Era un periodo in cui i filistei conducevano numerose battaglie contro Israele e l’autore biblico segnala ripetutamente che spesso vi partecipavano anche i “discendenti di Rafa”, cioè i Refaìm (2 Sam 21,15-22).
Erano quindi presenti gli appartenenti a quelle stirpi che la Bibbia definisce [Nephilìm] o “figli di Anàk”, [Anakìm], termine che richiama gli Anunnaki sumeri: si trattava sempre di individui dalle caratteristiche fisiche molto peculiari.
In questi scontri combattono Golia (il gigante) con altri quattro Refaìm della cittadina di Gat e un altro uomo di grande statura, anch’egli discendente da Rafa e dotato di una particolarità sorprendente (2 Sam 21,20): costui aveva sei dita per ogni arto, 24 in tutto!
L’autore ha scelto di essere molto preciso nel comunicare la particolarità che lo identificava: la presenza di questo individuo esadattilo e la sua appartenenza familiare sono riconfermate con la stessa scrupolosità in 1Cr 20,6: dunque la Bibbia intende segnalare con chiarezza che costui apparteneva veramente a quelle stirpi un po’ speciali.

Ma che cosa sa la scienza ufficiale di questi popoli? 
Gli scavi condotti sulle rive del Giordano e più in generale nei territori interessati dagli eventi narrati hanno evidenziato come essi fossero controllati, almeno dal IV millennio a.C., da razze forti che hanno prodotto una civiltà megalitica capace di realizzare costruzioni ciclopiche: si pensi all’incredibile sito di Baalbek (nella valle della Bekaa, in Libano), in cui sono stati movimentati monoliti del peso di centinaia di tonnellate cadauno! La stessa archeologia documenta che queste razze sono state progressivamente soppiantate dai nuovi occupanti…
Per quanto concerne gli Anaqiti (uomini “dal lungo collo”), essi occupavano il territorio di Hebron e la regione che sarà poi conquistata dalla tribù di Giuda.
Di loro si ricordano tre capi – i cui nomi Ahiman, Sesay e Talmay sono di origine aramaica – che furono sconfitti da Caleb, quando conquistò la città di Hebron. Furono anche attaccati e distrutti da Giosuè, lasciando tracce di sé a Gaza, Asdod e Gat (la città del gigante Goliat! Forse non è una semplice coincidenza…).

Davide e Goliat
Nel primo libro di Samuele è contenuta la storia che tutti conoscono, uno degli aneddoti maggiormente diffusi anche nella letteratura religiosa per bambini: la vicenda di Davide e Goliat.
Il testo narra uno dei tanti scontri che opponevano Israeliti e Filistei nella lotta per il controllo del territorio di Canaan.
Nella Bibbia – versione dai testi originali (Ed. San Paolo) leggiamo (1Sam 17,1-11): Saul e gli uomini di Israele si radunarono e si accamparono nella valle del Terebinto e si schierarono in battaglia contro i Filistei […]. Uscì dagli accampamenti dei Filistei un guerriero di nome Goliat di Gat […] si fermò e gridando verso le schiere di Israele disse loro: “Perché siete usciti a preparare una battaglia? […] Sceglietevi un uomo che scenda in campo con me! Se lui avrà la forza di combattere con me e mi batterà, noi saremo vostri schiavi, ma, se io prevarrò su di lui e lo batterò, voi sarete nostri schiavi e ci servirete”.
Saul e tutto Israele rimasero costernati ed ebbero gran paura. Il filisteo insomma terrorizzava gli ebrei e li sfidava costantemente a duello. Dopo quaranta giorni il giovane pastore Davide accetta la sfida e riesce a sconfiggere l’avversario: prima lo tramortisce con un sasso lanciato da una fionda e poi lo decapita usando la stessa spada del filisteo.
Questo Goliat di Gat riusciva a incutere terrore perché (1Sam 17,4) la sua altezza era sei cubiti e un palmo, era cioè alto più di tre metri.
Alla statura corrispondeva un’armatura possente: portava infatti un elmo di bronzo e una corazza a piastre del peso di cinquemila sicli di bronzo. Aveva le gambe protette da schinieri ed era armato di un giavellotto di bronzo: la lama pesava seicento sicli di ferro (cfr. 1Sam 17,4-7). Il peso del siclo variava tra i 10 e i 13 grammi, per cui la corazza pesava circa 50 kg e la lama della lancia ne pesava 6.
Un vero gigante? Sappiamo di certo che apparteneva a una delle popolazioni residenti nei territori da conquistare, come i Refaìm, gli Emìm e gli Anaqiti, discendenti dei Nefilìm. Abbiamo dunque varie testimonianze bibliche che ci raccontano di individui dalle caratteristiche fisiche eccezionali e appartenenti a una stirpe la cui presenza destava indubbiamente stupore e terrore.

Comments are closed.