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Il salone del libro, l’antifascismo e il “tafazzismo” irriducibile della sinistra postmoderna

di Andrea Rovere – Delle polemiche intorno alla presenza della casa editrice Altaforte alla 32° edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino, rispedita a casa giusto ieri, alla vigilia dell’evento, si è parlato anche troppo e per giorni. L’editore, Francesco Polacchi, risulta vicino a CasaPound. Anzi, pare proprio che, senza mezzi termini, si sia dichiarato fascista, “sia teoricamente, sia tecnicamente”. Il che, se pur denota un pizzico di confusione, provenendo tali affermazioni da chi è nato e cresciuto in assenza di fascismo, non può certo esser digerito con facilità dai soliti Raimo, Saviano e compagnia “sinistra”, abituati da anni a cantarsela e suonarsela fra di loro alla fiera più ambita dell’editoria italiana.
Al polverone, manco a dirlo, è subito seguita la spaccatura dell’opinione pubblica e quella fra i vari maître à penser di giornali e tivù: c’è chi sostiene che l’antifascismo sia alla base della stessa Italia democratica sorta dal dopoguerra, e che quindi non si possa ospitare lo stand di chi rigetta in toto tali principi laddove questi sono celebrati come valore, e chi obietta invece che le idee devono poter circolare liberamente e abbiano tutte quante diritto di cittadinanza purché la loro espressione non costituisca invito a trasgredire la legge (come nel caso di chi istigasse esplicitamente alla discriminazione razziale, per intendersi).
Ma allora come si fa? A chi dar ragione e a chi torto?
Secondo chi scrive, entrambe le argomentazioni non possono ritenersi prive di logica, ma il problema è che, nella situazione attuale, non è facile trovare una sintesi ragionevole che favorisca quel salto di qualità fondamentale per un’Italia che possa dirsi finalmente post novecentesca. L’ipocrisia della politica e della società italiana ha raggiunto infatti livelli inimmaginabili, tanto che, come nel “caso Altaforte”, non ci si rende conto di quanto il ridicolo e il grottesco siano divenuti ormai il nostro pane quotidiano, né si percepisce l’urgenza di tornare ad essere un paese “normale” attraverso scelte irrinunciabili. In sintesi, tocca una buona volta far pace col cervello e decidere: la Costituzione vieta espressamente “la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. Inoltre, l’articolo 4 della vigente legge Scelba istituisce il reato di apologia del fascismo. Ora: CasaPound e altri partiti possono essere considerati partiti fascisti o filo-fascisti come alcuni li definiscono? Mettiamo che sì, lo siano. Sulla base della costituzione e della legge italiana attuali devono essere sciolti. Punto.
Se invece non lo sono, se operano entro i confini della legalità e accolgono i principi democratici nella propria visione politica, così come sancito dalle regole di una democrazia che si dice “liberal” ma che non consente la messa in discussione radicale di se stessa (esattamente come in ogni regime non democratico), hanno allora diritto d’esistere e di essere sostenuti.
Delle due l’una. Tertium non datur.
Solo risolvendo tale questione e regolandosi di conseguenza si metterebbe fine una volta per tutte allo stato di ambiguità in cui si trova questo Paese. E a quel punto, oltre a levarci dall’imbarazzo di assistere con eccessiva frequenza al “tafazzismo” irriducibile della sinistra postmoderna, che in questo caso ha fatto decollare le vendite del libro-intervista su Salvini pubblicato proprio dalla reietta Altaforte (editore e ministro ringraziano), si potrà forse cominciare ad interrogarsi seriamente circa la salute della democrazia dei nostri giorni, in cui, sempre più spesso, si legittimano affermazioni e provvedimenti che di liberale e di democratico non hanno un bel nulla.

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