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In Europa quelli del Movimento 5 Stelle non li vuole nessuno

di Max Corradi – Si fa presto a dire: fai un clic ed avrai il mondo ai tuoi piedi. A meno che non si acquistino milioni di clic o follower (a seconda che siamo su un motore di ricerca o su un social) per qualche centinaio di euro, avere un seguito, in politica come in altri campi, è difficile. Grillo e Casalegno ci hanno provato col Movimento 5 Stelle che ha vinto le elezioni, anche se per indire le conferenze stampa devono chiedere in prestito una sala di Montecitorio. Non esistono, sono virtuali (senza riferimenti alla virtù) e ormai stanno precipitando nei consensi. Al punto che perfino in Europa, dove si assiste al peggio del peggio, nessuno li ha voluti in qualche gruppo parlamentare e, salvo sorprese clamorose di cui oggi non si intravedono segnali, il Movimento 5 Stelle inizierà la prossima legislatura europea, che si aprirà martedì 2 luglio, senza un gruppo politico nel Parlamento Europeo. È un fatto più grave di quanto sembri: il partito di maggioranza relativa del parlamento e del governo italiano sarà tagliato fuori da qualsiasi ruolo operativo nel parlamento europeo, anche da quelli tradizionalmente riservati all’opposizione.
In teoria il Movimento 5 Stelle e i suoi 14 europarlamentari hanno tempo fino a lunedì 1° luglio per unirsi ad un gruppo politico in tempo per la prima plenaria: ma anche se dovessero riuscire a farlo sarà comunque isolato in mezzo a partiti con cui condivide poco o niente. Sembrava facile, un gioco da ragazzi, ma la politica è più complicata di quello che sembra, se mai sia possibile. E la verità è che il Movimento 5 Stelle è finito, scomparirà presto e i suoi rappresentanti che vorranno continuare a fare politica dovranno accasarsi in partiti tradizionali, da destra a sinistra.
L’iscrizione a un gruppo è l’unico modo con cui un partito politico europeo può contare qualcosa, anche se si trova all’opposizione (come appunto il M5S). Permette infatti di accedere ai fondi per garantirsi un ufficio e pagare i tecnici che collaborano alla stesura delle leggi – diversi milioni di euro ogni anno – e di essere coinvolti nella spartizione degli incarichi istituzionali e politici: per esempio le 14 vicepresidenze, che vengono assegnate proprio durante la prima sessione plenaria, o la qualifica di relatore-ombra per le proposte della maggioranza.
Riproporre il gruppo politico a cui il M5S apparteneva nella scorsa legislatura, che si basava soprattutto sull’alleanza con lo UKIP di Nigel Farage, non è possibile: il Brexit Party, erede dello UKIP, difficilmente prenderà parte ai lavori del Parlamento. Come si legge nel sito di News Euractiv, “nessuno si aspetta che trovino un gruppo politico finché l’uscita del Regno Unito dall’UE sarà in programma” (al momento dovrebbe accadere il 31 ottobre, quindi fra soli cinque mesi). Fra i partiti che facevano parte di quel gruppo, poi, il partito tedesco di destra radicale AfD ha aderito al gruppo di Matteo Salvini e Marine Le Pen; gli Svedesi Democratici hanno aderito agli euroscettici di ECR; i lituani di Ordine e Giustizia, il polacchi di Korwin e i cechi del Partito dei Liberi Cittadini sono rimasti fuori dal Parlamento Europeo, senza eleggere nessuno.
La prima ipotesi a cui il Movimento 5 Stelle aveva lavorato, prima delle elezioni europee, era la formazione di un gruppo politico nuovo che potesse fare da ago della bilancia della nuova legislatura, come disse Luigi Di Maio. All’inizio dell’anno Di Maio annunciò infatti un’alleanza con alcuni piccoli partiti di ispirazione populista di vari paesi europei. La quasi totalità dei partiti alleati del M5S, però, non è nemmeno riuscita a entrare in Parlamento. Gli unici che hanno ottenuto un seggio – uno solo – sono stati i croati anti-establishment di ŽIVI ZID (Scudo Umano), arrivati al 5,66%.
I Verdi, con cui gli europarlamentari del M5S condividono una certa sensibilità ambientalista, hanno respinto più volte le richieste di adesione al loro gruppo: qualche settimana fa il loro capogruppo Philippe Lamberts ha definito il Movimento “una autocrazia” gestita dalla società di consulenza di Davide Casaleggio, con cui il partito ha legami molto forti.
Coi Liberali, il M5S aveva già provato ad allearsi un paio d’anni fa, ma senza successo, e sarà impossibile riprovarci oggi che il gruppo è controllato dai parlamentari di En Marche, il partito del presidente francese Emmanuel Macron. I Popolari e i Socialisti hanno fatto sapere da tempo che si sentono troppo lontani dal M5S per trattare un’alleanza. Fabio Massimo Castaldo, europarlamentare del M5S appena rieletto e vicepresidente uscente del Parlamento Europeo, ha fatto sapere che l’adesione al gruppo degli alleati di governo della Lega “non è un’opzione perché la nostra visione dell’Europa è totalmente diversa da quella della Lega”.
Rimanevano solo gli euroscettici di ECR, acronimo che in inglese sta per Conservatori e Riformisti Europei, con cui sembra che negli ultimi giorni si erano intensificate le trattative. È il gruppo formato dalla destra radicale polacca di Diritto e Giustizia, il partito che controlla il governo polacco, dai Conservatori britannici e da varie altre formazioni di destra radicale, fra cui anche Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni che ha messo il veto all’eventuale ingresso del Movimento 5 Stelle in ECR. Parlando con AGI, l’europarlamentare di Fratelli d’Italia Carlo Fidenza ha spiegato che con il M5S “c’è una incompatibilità di fondo che non è superabile. Quando nelle scorse settimane i Cinque Stelle avevano cercato dei contatti con i Conservatori non erano stati nemmeno ricevuti, ma adesso a maggior ragione dopo che Raffaele Fitto è stato eletto co-presidente del gruppo, dovrebbero passare da noi per qualunque tipo di decisione. E la nostra posizione è netta: nessun accordo”.
Formare un gruppo da zero sembra praticamente impossibile: fra i non iscritti rimangono soprattutto i neofascisti greci di Alba Dorata, quelli slovacchi di Kotleba, un paio di indipendentisti spagnoli e alcuni singoli parlamentari. Dato che ciascun gruppo politico dev’essere formato da almeno 25 parlamentari eletti in almeno sette stati, e che in ogni legislatura ci sono sempre una dozzina di parlamentari che per scelta rimangono fra i non iscritti, anche questa resta un’opzione molto remota.

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