Press "Enter" to skip to content

Lo scisma di Renzi è più vicino, Pd a pezzi

Roma (Agi) – Tutto si può dire della scissione annunciata dai renziani fuorché sia consensuale. Perché Nicola Zingaretti ha fatto dell’unità la sua bussola e perché lo stato maggiore del partito è concorde nel ritenere la scelta dell’ex segretario una “follia”, nella migliore delle ipotesi. Una “furbata” per i più critici nei confronti dell’ex segretario. Ettore Rosato, coordinatore dei Comitati civici “Ritorno al Futuro”, non vuole chiamarla “scissione”, ma preferisce parlare di “separazione consensuale”. Quando si parla di Matteo Renzi, tuttavia, di consensuale c’è ben poco. Dario Franceschini bolla come “ridicolo” il solo pensare che ci possa essere un interesse comune nel dirsi addio e per Stefano Vaccari, responsabile dell’Organizzazione della segreteria di Nicola Zingaretti, sarebbe una “follia” lasciarsi “dopo l’unità raggiunta sul governo giallorosso”.
Quella che per Vaccari è follia, per Carlo Calenda è spregiudicatezza: “La politica italiana è avvincente. Modello Beautiful. Aprono ai 5S, entrano nel Governo e dopo fanno la scissione. Lineare”. Poi risponde direttamente a Rosato: “Non sono ossessionato – come scrivi – né da Matteo Renzi né da voi. Sono piuttosto colpito dalla vostra mancanza di serietà e dalla vostra spregiudicatezza. In fondo vi siete semplicemente trasformati in quello che volevate rottamare. Peccato”.
Ma l’intervento che fa più rumore è quello del capo delegazione del ministro dem che, da Cortona, sottolinea: “Non voglio credere a questa storia della scissione o quel che ho letto sui giornali, questa storia ridicola della separazione consensuale. Quando spacchi un partito è sempre traumatico, come si fa a pensare che sia consensuale? Zingaretti è il segretario più generoso e inclusivo di tutti”.
Poi si rivolge direttamente a Renzi: “Non farlo, il Pd è casa tua e casa nostra, è di tutti. Il popolo della Leopolda è una parte del grande popolo del Pd”, aggiunge omettendo di segnalare che, da quando viene celebrata, alla Leopolda non entrano bandiere del partito. Al di là delle frasi di rito, di sicuro c’è che la scissione renziana oggi ha una data, il 20 ottobre, ultimo dei tre giorni di kermesse renziana alla stazione Leopolda.
Lì dovrebbe partire il nuovo percorso, che comincerà non dalla base, non dai comitati civici Ritorno al Futuro, come aveva progettato Renzi in un primo momento, ma dai gruppi parlamentari. Con l’accordo fatto sul governo gialloverde e avendo portato a casa tre ministeri e cinque sottosegretari, Renzi potrebbe lavorare sui gruppi, formandone uno autonomo alla Camera e facendo confluire nel Misto i suoi al Senato, dove non è possibile formare nuovi gruppi.
Il condizionale è d’obbligo, perché non tutti, tra i fedelissimi dell’ex rottamatore, sono convinti del passo che si sta per compiere. Il timore è che mettere deputati e senatori davanti alla scelta possa far emergere plasticamente le divisioni all’interno dello stesso campo renziano. In primo luogo c’è la folta componente di Base Riformista che, dall’inizio della segreteria Zingaretti, ha mantenuto un atteggiamento “responsabile” nei confronti della segreteria guidata dal governatore del Lazio.
Ma c’è anche chi, tra i renziani di ferro confluiti in Sempre Avanti – l’area che fa capo a Roberto Giachetti e Carla Ascani – nutre dei risentimenti per come è stata condotta la trattativa per gli incarichi di governo.

Comments are closed.