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Perché la maggior parte delle violenze è commessa da maschi?

da Il Post – Francis T. McAndrews (nella foto a lato) è docente di psicologia sociale allo Knox College, nell’Illinois, e tra le altre cose ha studiato il rapporto tra la quantità di testosterone negli uomini e la loro aggressività. Su Quartz McAndrews ha spiegato come mai, dal punto di vista scientifico, gli uomini commettano l’85 per cento di tutti gli omicidi, il 91 per cento di tutti gli omicidi che coinvolgono persone dello stesso sesso e il 97 per cento di tutti gli omicidi che coinvolgono persone dello stesso sesso senza un rapporto di parentela tra loro. Secondo McAndrews le risposte date dalla politica alle frequenti sparatorie negli Stati Uniti si concentrano sul problema della scarsa attenzione data alle persone con disturbi mentali e alla facilità con cui negli Stati Uniti si può acquistare un’arma da fuoco. “Queste spiegazioni però evitano le domande più importanti: perché c’è sempre un uomo dietro queste sparatorie? E perché è quasi sempre un giovane uomo”?

Virilità e aggressività
Nel 2011 gli psicologi Joseph Vandello e Jennifer Bosson pubblicarono uno studio sulla rivista Psychological Science nel quale formularono il concetto di “virilità precaria”. Secondo i due studiosi la virilità è una prerogativa che i maschi di tutte le culture devono continuamente guadagnarsi, e che l’opinione che i maschi hanno di sé è strettamente legata a quanto vengono percepiti come “veri uomini” dagli altri. In molte culture, presenti e passate, i concetti di virilità e aggressività sono collegati: gli studi di Napoleon Chagnon, uno dei più importanti antropologi viventi, sulla popolazione amazzonica degli Yanomamö, per esempio, hanno rivelato che i maschi che hanno ucciso altri uomini hanno un maggior numero di mogli, e che il loro status sociale dipende dalla credibilità delle loro minacce di violenza fisica. Chagnon introdusse questo concetto in un famoso e controverso articolo pubblicato da Science nel 1988, nel quale sosteneva che “la violenza potrebbe essere la principale forza motrice dietro l’evoluzione della cultura”.

La violenza potrebbe essere una forma di promozione sociale
Ai tempi Chagnon fu accusato di aver esagerato il carattere violento della società Yanomamö, e di aver fornito motivazioni razziste alle aziende che volevano occupare le terre degli Yanomamö per estrarre risorse minerarie. McAndrews tuttavia è d’accordo con Chagnon, e sostiene che varianti di questo atteggiamento sono riscontrabili in tutte le culture: gli uomini devono continuamente dimostrare la loro virilità e di essere all’altezza delle sfide, competendo con gli altri uomini per il proprio status sociale e per dimostrare le proprie abilità fisiche. La violenza è il modo principale con cui viene affermata la propria mascolinità, secondo McAndrews: “la violenza commessa contro le persone giuste diventa un biglietto per il successo sociale”. Non a tutti gli uomini però, secondo McAndrews, è richiesto di esibire la propria virilità allo stesso modo: sono soprattutto i giovani a doverlo fare.

Occorre educazione (che oggi manca) per gestire l’innata violenza maschile
Una buona educazione è alla base del comportamento positivo e generoso di un individuo nella società. Questa educazione abitua all’autocontrolo utile al maschio – ma anche alla femmina – di filtrare le proprie reazioni in conseguenza di un fattop o di una situazione imprevista. Per “sfogare” il testosterone, oltre all’attività sessuale, sono utili la cultura, lo sport, un passatempo utile. Gli sport, secondo McAndrews, sono un’alternativa costruttiva utilizzata dalle società moderne per raggiungere lo stesso scopo: a giovani atleti è richiesto di dimostrare la propria capacità di saltare, correre, sollevare pesi, colpire bersagli, esattamente come succedeva con i lottatori o i cacciatori nelle società meno avanzate. McAndrews spiega che parlando di questo concetto con i suoi studenti, questi capiscono immediatamente di cosa si sta parlando. Non sempre però riescono a trovare un corrispettivo femminile per questo fenomeno, nonostante qualcuno abbia ipotizzato che possa essere la capacità di avere figli.

La “sindrome del giovane maschio”
Negli Yanomamö, la competizione per affermare la propria virilità è molto importante tra i giovani perché è in quest’età che un individuo decide quale sarà il suo status da adulto. Gli psicologi Margo Wilson e Martin Daly negli anni Ottanta studiarono questo fenomeno negli Stati Uniti contemporanei, formulando il concetto di “Young Male Syndrome” (sindrome del giovane maschio). Scoprirono che la tendenza a esporsi al rischio, anche della propria vita, e a comportarsi in maniera aggressiva è molto più alta tra i giovani che tra gli anziani.

I maschi sono più vulnerabili delle femmine
Analizzando le caratteristiche degli omicidi compiuti negli Stati Uniti nel 1975, Wilson e Daly scoprirono che le probabilità di una donna di essere vittima di omicidio non cambiano sensibilmente con l’avanzare dell’età. Nei maschi, invece, questa probabilità varia tantissimo a seconda dell’età: a 10 anni maschi e femmine hanno più o meno le stesse probabilità di rimanere uccisi in un omicidio, mentre nel decennio dei vent’anni le probabilità degli uomini sono sei volte superiori a quelle delle donne. Questa probabilità torna a scendere superati i trent’anni. McAndrews sostiene che i dati recenti sugli omicidi negli Stati Uniti seguano lo stesso pattern.

Testosterone significa soprattutto potere
La spiegazione di questo fenomeno secondo McAndrews sta nella quantità di testosterone nell’organismo: gli scimpanzé maschi, spiega, hanno un livello di testosterone molto alto quando sono in presenza di individui femmina nella fase di ovulazione del ciclo mestruale, e questo si traduce in comportamenti più aggressivi, non in una maggiore attività sessuale. Allo stesso modo, gli scimpanzé con uno status sociale più alto sono quelli con maggiore testosterone nel corpo. Le ricerche di McAndrews hanno dimostrato che la violenza dovuta al testosterone avviene soprattutto quando i maschi devono competere con altri maschi o quando il loro status sociale viene messo in discussione: e l’aumento di testosterone aiuta a essere più competitivi, soprattutto nei casi in cui esserlo richiede utilizzare la violenza (ma il fenomeno si verifica anche quando si gioca a scacchi, secondo McAndrews).

Maneggiare un’arma aumenta il testosterone
Nel 2006 McAndrews condusse un esperimento singolare: chiese a un gruppo di uomini di smontare delle pistole e di scrivere le istruzioni per rimontarle. A un altro gruppo chiese di fare la stessa cosa con “Mouse Trap”, un popolare gioco da tavola per bambini. Finita quest’operazione, a tutti i partecipanti venne chiesto di versare della salsa piccante in un bicchiere d’acqua da far bere a un’altra persona: i partecipanti che avevano svolto l’esperimento con la pistola misero in media molta più salsa, spiega McAndrews, e rimasero molto più delusi quando scoprirono che nessuno avrebbe bevuto quell’acqua. Questi partecipanti avevano avuto un consistente aumento del testosterone solo per aver maneggiato un’arma.

 

La violenza maschile è dovuta al testosterone
Secondo McAndrews il testosterone è l’elemento fondamentale che determina la possibilità che un individuo maschio si comporti in maniera violenta: e i soggetti che mostrano più tendenze aggressive sono quelli che non riescono a ottenere l’attenzione e l’ammirazione degli altri, spiega uno studio dello psicologo Paul Gilbert. Ottenere l’approvazione degli altri porta a provare emozioni positive, non riuscirci porta invece a provare sentimenti come depressione, rabbia e invidia. Per questo la violenza tra i giovani maschi è più diffusa tra quelli che non riescono a ottenere il rispetto degli altri e a costruirsi uno status sociale, e di conseguenza a guadagnare quello che McAndrews definisce “l’accesso alle donne”. Lo dimostra anche il fatto che spesso gli autori delle sparatorie sono individui soli e disadattati: “Questa predisposizione, combinata all’aumento di testosterone provocato dalle armi, crea – secondo McAndrews – un mix tossico e infiammabile”.

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