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La cura dei tumori è ancora in alto mare

di Giusto Buroni – Il problema del tumore, pur dopo due secoli di “sforzi”, è tuttora lontanissimo dalla soluzione: per quasi tutti i tipi di tumore sono ignote sia l’eziologia che la patogenesi; in altre parole le cause dell’insorgenza dei tumori sono in gran parte sconosciute e dovrebbero essere prioritariamente oggetto di ricerca. La situazione è più difficile per i tumori rari, che a volte devono essere trascurati per curare i pazienti dei tumori più frequenti. Recentemente, una notizia del TG5 attribuiva a due Italiani la scoperta di un farmaco efficace contro il “Melanoma”; poi l'”esperto” correggeva e precisava che il nuovo farmaco si limita ad aumentare l’autoimmunità ed è efficace solo in unione con altri farmaci più tradizionali, in particolare la chemioterapia. Insomma: un altro piccolissimo passo avanti; e solo nella cura, non nella prevenzione, né nell’eziopatogenesi.

I miei tumori
Questo mi offre lo spunto per parlare di nuovo dei miei tumori e di come, a mio parere, siano stati trattati poco “scientificamente” dal punto di vista della “ricerca” e della “prevenzione” (scoprire le cause e contrastarle all’origine). Vediamo perché.
Il “mio” tumore principale, classificato come “maligno”, è (e non posso ancora dire “era”) anche raro; si chiama “dermatofibrosarcoma protuberans” e ha qualche probabilità di “guarigione” solo se asportato completamente, cioè buttando al gatto tutto quello che c’è intorno per un paio di centimetri. Per fortuna la coscia in cui si era formato era grossa e fu possibile scavarne una fetta e inserire nello scavo una bistecca buona al posto di quella avariata. Essendo tutta roba mia, non ci fu “rigetto” e tutto è ricresciuto a dimensioni quasi normali. Purtroppo, mi ha spiegato il chirurgo, molte connessioni nervose delle parti interessate sono state recise e l’uso di quei muscoli è rimasto problematico: insomma, mi ritrovo poca sensibilità dall’alto della coscia fino al ginocchio, e il piede destro, mal comandato, ha assunto una posizione poco naturale. Il peggioramento in sette anni è stato relativamente lento, mi ci sono abituato e sono “soltanto” un po’ storpio.

Il miraggio della guarigione
Non avrò mai la sicurezza di essere guarito, tanto che periodicamente fisso gli appuntamenti per ecografia alla coscia, radiografia ai polmoni e visita generale di controllo, prestazioni veramente minime, che la Regione offre gratuitamente ai pazienti finché campano.
E allora, di che cosa mi lamento?

  1. Del fatto che la cosiddetta “ricerca contro il cancro” si limita (e praticamente se ne compiace) a una “buona operazione chirurgica” (la mia era “plastica”, come per le soubrette invecchiate da ricostruire), le cui conseguenze devono essere tenute per sempre sotto controllo, perché potrebbero esplodere in metastasi in qualunque organo; tuttavia per risparmiare si controllano, e approssimativamente, solo i polmoni, ogni 6-12-18 mesi, ma sul problema originario non si torna più e si distrugge ogni possibilità di capirlo.
  2. Dell’assoluto disinteresse circa le cause della malattia, che, come ho detto, è rara (all’Istituto dei Tumori nel 2013 erano 14 anni che non si faceva quel tipo di intervento, che quindi comportò l’uso di tecnologie diverse, procurate e imparate in un paio di giorni dai chirurghi). Invece si sarebbe dovuto indagare a fondo sui miei 72 anni di vita, rizzare le orecchie sentendo che per qualche anno, mezzo secolo prima, è vero, ho maneggiato (nel senso di “tenuto in mano”) materiale radioattivo, sul quale si fa un gran “can-can” solo quando si fa politica, ma mai per una seria ricerca oncologica; niente di tutto ciò è previsto dai protocolli: si ha per le mani un caso raro e lo si lascia sfuggire, nonostante la piena disponibilità del paziente a lasciarsi “analizzare” senza stupidi problemi di “privacy”.
  3. Della disattenzione sulle conseguenze neurologiche, ortopediche e chissà che cos’altro (l’ictus, sopravvenuto 4 anni dopo?), di un’operazione che, per difficoltà, ha preoccupato il giovanissimo team che l’ha effettuata (si sono prese molte foto e sarà stata fatta una pubblicazione, ma tutto si è fermato al giorno dell’operazione: fossi morto il giorno dopo, la pubblicazione non ne avrebbe parlato). Ed è strano che a nessun medico, né ai responsabili delle “ricerche sul cancro”, venga la curiosità di sapere “come andrà a finire” (e perché).
  4. Del progressivo diradarsi dei controlli, che invece dovrebbero essere intensificati in età avanzata, quando per tutti è più alta la probabilità di insorgenza (o recidiva) dei tumori. Il controllo diventa così una “roulette russa dei poveri”, basata su ottuse politiche di “spending review”. Ecco come si ragiona nelle Amministrazioni e come i medici si adeguano: diradare i controlli col passare del tempo obbiettivamente fa crescere la probabilità di recidiva con esito fatale; ma un certo numero di questi casi già si può attribuire all’età avanzata (morte per “vecchiaia” e non al “tumore”). Viceversa, dirottare gli investimenti dal “mantenimento” di un soggetto già curato alla prevenzione su soggetti sani che forse non si sarebbero mai ammalati significa scoprire “possibili” insorgenze di tumori, che vengono operati su soggetto giovane capace di sopportare meglio le conseguenze, in modo da aumentare la statistica di tumori scoperti-e-“guariti”, con un bilancio complessivo (falsamente) favorevole al successo del metodo applicato, che è matematicamente molto criticabile, ma rialza nettamente la  percentuale di “successi”.
  5. Dell’assoluta mancanza di un piano nazionale o mondiale per la ricerca sui tumori rari (o anche meno rari), che, proprio perché tali, dovrebbero sfruttare al massimo la povera statistica esistente, creando un’intelligente rete di scambio di informazioni globale.

L’importanza dell’anamnesi e la futilità delle azalee
Anche prima di constatare tutte queste (e altre) carenze, invitavo tutti i malati di cancro a mettere a disposizione dei medici oncologici di tutto il mondo la propria esperienza individuale e l’anamnesi clinica, esortandoli a farne uso intelligente ed immediato. Io l’ho fatto, ricevendo l’ulteriore delusione di vedere inviare in modo anonimo a un centro di ricerca bolognese il materiale oncologico asportatomi con l’operazione, senza collegarlo ad alcuna delle mie evoluzioni fisiologiche passate e presenti (i ricercatori bolognesi non sapranno mai che da 45 anni ho anche un grosso tumore, presumibilmente benigno, alla tiroide; e, come ho detto, a nessuno interessa che in gioventù io sia stato “ricercatore nucleare”).
E come sempre mi chiedo: è mai possibile che agli “organizzatori” della ricerca sul cancro vengano in mente, da noi e in tutto il mondo, solo le azalee da vendere in piazza? A nessuno vengono in mente (magari gratis) nuovi ingegnosi criteri o strumenti di indagine (e cura) sui numerosissimi tipi di tumore esistenti? Perché si è ancora fermi alle poco affidabili “prevenzioni”, basate per lo più su ingenui, perfino superstiziosi, “principi di precauzione”? (vedi anche su questo stesso giornale l’articolo recente sulla pericolosità del telefono cellulare decretata da un tribunale e mai da un laboratorio di ricerca medica).

L’esperienza dei malati deve essere al servizio delle nuove cure
Dunque, se è vero che noi malati di cancro siamo “lottatori” (pare però che questo appellativo sia riservato a grossi personaggi dello spettacolo e dello sport; gli altri, neanche tutti, sono numeri per eventuali statistiche), dimostriamolo “insegnando” (suggerendo con convinzione) ai medici come e che cosa si deve ricercare; e per ora ringraziamoli educatamente per la difficile operazione che abbia richiesto “solo” un paio di mesi di “drenaggio”; oppure per l’accurato dosaggio della chemioterapia per limitarne le fastidiose conseguenze nelle attività quotidiane; ringraziamoli per gli incoraggiamenti ad affrontare con pazienza e fiducia gli inconvenienti di una cura indispensabile, ma troppo macchinosa e debilitante, ma non lasciamoci andare a ingiustificati entusiasmi sull'”eccellenza” della ricerca specifica sul cancro. Probabilmente causa principale del caos è l’affollamento degli istituti oncologici, e l’affollamento è dovuto spesso al numero eccessivo di diagnosi sfavorevoli pronunciate a puro scopo precauzionale: non avevo idea delle decine di nei che molti fanatici si fanno asportare inutilmente su semplice suggerimento del dermatologo senza scrupoli o piuttosto con “troppi” scrupoli; per non parlare delle tantissime prostate e dei polipi del colon caduti sotto le “forbici” delle nuove attrezzature diagnostiche e insieme chirurgiche. Ma anche senza affollamento non avrebbe senso una ricerca fatta senza adeguate basi organizzative scientifiche.

Contro il cancro si procede a tentoni
Insomma: se non esiste una ricerca epidemiologica di base, ossia se non si classificano i tumori anzitutto secondo gli organi colpiti e poi secondo le condizioni di vita e di ambiente che li hanno generati e se non si individuano le cause scatenanti in ogni classe si può solo procedere, come si fa da oltre un secolo, per goffi tentativi che, come la famosa scimmia che scrive a macchina, un certo (incomprensibile) risultato statisticamente lo danno. Purtroppo devo constatare da decenni che non c’è un solo medico, almeno in Italia, a cui sia stata insegnata a scuola la logica matematica; alcuni tentano di apprenderla (male) con l’esperienza professionale, ma, assillati dai turni di lavoro e dalle urgenze, non ne capiscono l’importanza e la trascurano. Così si spiega che la stragrande maggioranza dei medici non sappiano leggere correttamente la lastra di un’ecografia o una TAC (e non parliamo della Risonanza Magnetica), ma si limitino a confrontarle con le precedenti, se esistono. Nelle patologie in cui sono ancora da scoprire i “meccanismi” dell’insorgenza, dello sviluppo, della cura, come nella maggior parte dei casi di cancro, sarebbe fondamentale la conoscenza della “Statistica”, ma anche questa materia richiede notevoli basi matematiche che non sono impartite agli studenti di medicina. Così come per lo sviluppo di macchine, strumenti e robot per uso medico è indispensabile l’apporto di ingegneri con forte interesse per la medicina, anche negli istituti di ricerca medica (e di diagnostica oncologica in particolare) si dovrebbe considerare la necessità di un fortissimo supporto di specialisti matematici. Potrei sbagliare, ma mentre questa stretta collaborazione con matematici e ingegneri esiste da tempo per la biologia (che così consegue risultati straordinari) la stessa cosa non avviene purtroppo per la medicina, che si sviluppa nel disordine più completo. Che non sia il caso di applicare anche alla ricerca medica i criteri matematici che hanno portato ai successi della ricerca biologica? Ecco un compito che potrebbe già essere alla portata della generazione di Greta Thunberg, che finalmente si renderebbe credibile e UTILE.

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