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Essere liberali significa fare i propri interessi, quello che Marx non comprese

di Dario Berti (Fond. L. Einaudi) – Qual è il limite della mia libertà? Se fate questa domanda a un liberale, vi risponderà in questo modo: “Non far del male agli altri. Per il resto, sei libero di fare tutto ciò che ti piace”.
Ora questa idea, che oggi è di senso comune, è stata messa in discussione da Marx. Nel saggio La questione ebraica, Marx afferma che questa idea di libertà è fondamentalmente antisociale. Ecco cosa scrive:
La libertà è dunque il diritto di fare ed esercitare tutto ciò che non nuoce agli altri. […] Si tratta della libertà dell’uomo in quanto monade isolata e ripiegata su se stessa. […] Ma il diritto dell’uomo alla libertà si basa non sul legame dell’uomo con l’uomo, ma piuttosto sull’isolamento dell’uomo dall’uomo. Esso è il diritto a tale isolamento, il diritto dell’individuo limitato, limitato a se stesso.
(Marx, 1844, p. 71).
Questa affermazione è, a dir poco, paradossale. Perché il fatto che io veda nell’altro il limite alla mia libertà è precisamente il fondamento della vita sociale. Se non riconoscessi quel limite, la mia libertà sarebbe illimitata, e allora potrei fare tutto quello che voglio, disinteressandomi completamente del prossimo.
Ora, un egoista non è colui che vede nell’altro il limite alla sua libertà, ma è, al contrario, colui che crede di godere di una libertà illimitata. Non è egoista chi persegue i propri interessi, ma chi lo fa a scapito e a danno degli altri.
Ma forse Marx vuole dire un’altra cosa ancora.
Supponiamo che io veda affogare un bambino. Non sarei un egoista se lo lasciassi morire con la scusa che non ho il dovere di soccorrerlo, ma che ho solo il dovere di non fargli del male? Certamente! Ma allora questo significa che non è sufficiente che ciascuno badi ai propri affari senza far del male a nessuno. La convivenza sociale richiede di più. Richiede che ciascuno si dia attivamente da fare per aiutare gli altri.
Il caso del bambino che affoga sembra, dunque, supportare la tesi di Marx. Ma ha una particolarità: è un caso nel quale, per aiutare il prossimo, io devo lasciare momentaneamente da parte i miei interessi. A meno che io non faccia il bagnino di professione, è probabile che avessi altri progetti il giorno in cui ho salvato la vita di quel bambino. Forse volevo prendere un po’ di sole in spiaggia, oppure ho visto il bambino dall’argine di un fiume, mentre mi stavo recando al lavoro. Qualunque cosa stessi facendo per me, l’ho dovuta interrompere per salvare la vita di un altro.
Ora, se le relazioni sociali seguissero sempre questo schema – lo schema per cui, se penso a me, finisco automaticamente per danneggiare qualcun altro – allora Marx avrebbe ragione. Per fortuna, però, le cose non stanno affatto così.
Una delle ragioni per cui vivere in società è vantaggioso, è che ci permette di aiutare gli altri mentre badiamo ai nostri affari privati. Nella stragrande maggioranza dei casi gli altri traggono un beneficio, e non un danno, dal fatto che io persegua i miei interessi.
Io, ad esempio, vado tutti i giorni al lavoro, e lo faccio perché ci guadagno dei soldi, quindi per un interesse fondamentalmente personale. Ma io non sono l’unico a trarre un vantaggio dal perseguimento dei miei interessi. Ci guadagnano anche tutti coloro che, in un modo o nell’altro, hanno bisogno del mio lavoro.
Se sono un impiegato alle poste, saranno coloro che devono spedire una lettera. Se sono un panettiere, coloro che comprano il mio pane. E se sono un bagnino, coloro che hanno bisogno di essere salvati. Se l’interesse personale fosse incompatibile con la vita sociale, non ci sarebbe alcuna vita sociale.
Oppure la vita sociale sarebbe un inferno, perché a nessuno sarebbe mai consentito di badare ai propri affari. È vero che noi siamo animali sociali. Ma la società esiste perché è funzionale agli interessi personali degli individui che la compongono. Non viceversa.
Marx sembra pensare, invece, che il perseguimento dell’interesse personale non possa mai essere di beneficio alla società. E infatti lui voleva addirittura abolire il denaro e il commercio in quanto espressioni dell’egoismo borghese, anzi “giudaico”: “L’emancipazione dal traffico e dal denaro […] sarebbe l’autoemancipazione del nostro tempo” (Marx, 1844, p. 82).
In realtà, il traffico è la più potente forma di cooperazione sociale, perché permette a tutti di migliorare le proprie condizioni materiali. Se ciascuno fosse costretto a fabbricarsi tutto ciò di cui ha bisogno, l’umanità tornerebbe a una condizione ferina.
Anche il denaro è un potente mezzo di emancipazione, perché permette a ciascuno di scegliere cosa ottenere in cambio del proprio lavoro. A questo proposito, vale la pena citare un passo da von Hayek:
Comprenderemo meglio l’importanza del servizio reso dal denaro qualora consideriamo quel che effettivamente accadrebbe se, come tipicamente propongono molti socialisti, il “movente pecuniario” fosse in gran parte sostituito da “incentivi non economici”. Se tutti i compensi, invece di essere offerti in moneta, fossero offerti sotto forma di pubbliche distinzioni o di privilegi, di posizioni di potere sopra altri uomini, o di una migliore abitazione o di un miglior cibo, di occasioni di viaggio o di istruzione, questo semplicemente significherebbe che al ricevente non sarebbe più permesso scegliere e che chiunque fissasse il compenso determinerebbe non soltanto la sua misura, ma anche la forma particolare nella quale esso dovrebbe essere goduto (Hayek, 1944, p. 137).
Vista nel suo insieme, la critica di Marx sembra provenire da un’intuizione di fondo che è molto diffusa: l’idea che ogni azione compiuta per il proprio interesse sia, in quanto tale, malvagia. È malvagia perché si suppone che, se io faccio qualcosa per me, danneggio automaticamente qualcun altro.
Di conseguenza, l’unico modo di fare il bene, è quello di agire sempre in modo altruistico, sacrificando i propri interessi.
Come dice Marx, ogni uomo deve trovare “nell’altro uomo” la realizzazione della propria libertà. Ora, una società dove a nessuno è consentito di pensare a se stesso e dove tutti devono sacrificarsi per tutti è una società collettivista, cioè una società nella quale il bene del singolo è sistematicamente subordinato al bene della collettività.

Testi citati:

  • HAYEK VON, FRIEDRICH A. (1944), The Road to Serfdom. Tr. it. La via della schiavitù, Rubbettino, Soaveria Mannelli 2011.
  • MARX, KARL (1844), Zur Judenfrage. Tr. it. La questione ebraica, Editori Riuniti, Roma 1971.

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