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A Sanremo, per noi, hanno vinto i Profeti (Audio)

di Andrea Guenna – I Profeti cantavano l’amore fra un uomo e una donna, e chiedevano al destino una vita insieme a lei (cliccare sull’immagine per sentire la canzone). Io ho seguito il loro consiglio e sono ancora vivo dopo aver scalato le montagne della mia vita. Le ho date e le ho prese, ma non sono mai scappato. Quando le forze mi sono mancate, c’era lei, la donna che amo, a tendermi una mano. E mi sono sempre rialzato.
Ma dopo questo Festival di Sanremo mi sono reso conto che qualcuno vuole gabellare una realtà diversa per cui abbiamo toccato il fondo.
Livio Caputo mi diceva che il cronista scrive sempre in terza persona.
Ma ora contraddico il maestro e scrivo in prima persona.
Ora, che sono vecchio ma lavoro sempre molto e continuo a dormire bene forse perché del Festival di Sanremo 2021 ho visto solo una minima parte.
Guardandolo ho avuto l’impressione di essere piombato all’inferno, dove tutto è finto, dove la musica è solo rumore e dove le parole sono buttate lì rispettando solo le regole della rima baciata o non baciata, e i suffissi. Il tutto per dei concetti diabolici dove la vita si perde nel buio abbagliato di tanto in tanto da luci psichedeliche.
Non c’è niente da fare, sono un inguaribile romantico che cerca nel silenzio la voce di Dio.
Gli è che, per ora, hanno vinto quattro travestiti con qualche evidente problema psichiatrico, blanditi e sfruttati da qualcuno che vede nel business effimero l’unico traguardo da raggiungere, sbattuti sul palco d’un programma che si è inginocchiato alla lobby LGBTQIAPK (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender, Queer, Intersex, Asessuali, Pansessuali, Kink) e che ha imposto la messa in onda di uno spettacolo immondo e osceno in fascia protetta.
E non oso pensare cosa succederebbe in Italia se un giorno dovessero prevalere gli altri, quelli che la Boldrini chiama risorse, che oggi arrivano coi barconi ma domani potrebbero sedere sulla poltrona dell’amministratore delegato. Molti di loro sono svegli e hanno voglia di arrivare. Le sofferenze, la fame, i lutti in famiglia li hanno forgiati come l’acciaio e spazzeranno via quelli che oggi giocano, invece di studiare e lavorare, buttando via il tempo a loro disposizione, cioè la loro vita.
Per questo non mi inoltro in una critica del Festival perché non c’è proprio niente da criticare ma, in omaggio a chi la musica la conosce, l’apprezza e apprezza il senso della vita, quello vero, per cui l’amore si fa fra una donna e un uomo, un amore da cui sboccia un fiore che è un dono di Dio, quindi a costo zero, a differenza di quello che si fa secondo il diavolo che costa 200.000 dollari per una coppia di omosessuali che comprano un figlio da un catalogo come se fosse un mobile d’arredamento, pubblico volentieri l’audio d’un brano dei Profeti del 1969 (siamo in pieno sessantotto) che cantano quella che io considero un inno cristiano dell’amore dal titolo “La mia vita con te”.
Per chi ama la vita e il bello, e per chi di musica si intende un po’, questo disco potrebbe essere una boccata d’aria.

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