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I possibili perché di un delitto tremendo: vent’anni fa Erika e Omar uccidevano la madre e il fratellino di lei

Novi Ligure (Maria Rosaria Razzano di www.iusinitinere.it) – Vent’anni fa si consumava a Novi Ligure uno dei delitti più efferati, certamente il più grave della storia criminale della città, commesso da una ragazzina e dal suo fidanzato (rispettivamente 16 e 17 anni) per uccidere la madre e il fratellino di lei. Ne ha parlato tutto il mondo e oggi, ne analizziamo movente e contesto.

Una versione dei fatti inventata
Oltre agli omicidi commessi da assassini seriali, in alcuni casi si sente parlare di omicidi commessi da coppie criminali.
In Italia, il caso emblematico delle coppie criminali, nello specifico quello degli amanti assassini, fu il quello di Novi Ligure. Il 21 febbraio 2001, una ragazza di nome Erika De Nardo esce di corsa, urlando, dalla propria abitazione. La giovane, all’epoca sedicenne, racconta in lacrime che due uomini, probabilmente di origine albanese, entrati nella villetta di famiglia hanno massacrato a coltellate la madre e il fratellino mentre lei, dopo una colluttazione con gli assassini, è riuscita miracolosamente a fuggire. Poco dopo Erika chiama col cellulare il suo fidanzatino Omar di 17 anni, che la raggiunge immediatamente. Quarantotto ore dopo il racconto, Erika, di fronte alle troppe contraddizioni, alle tracce sulla scena del crimine che non combaciano con la versione da lei fornita agli inquirenti, crolla. I due giovani sono lasciati soli in una stanza della caserma dei carabinieri, dopo essere stati a lungo interrogati, e i loro discorsi intercettati e registrati. Nella serata del 23 febbraio vengono messi in stato di fermo su ordine del procuratore di Alessandria: sono loro gli assassini della madre e del fratello di lei. Erika è l’autrice del delitto e lui ha collaborato al duplice omicidio. Erika e Omar, in tre gradi di giudizio sono stati sempre condannati per gli stessi reati: 16 anni per lei, 14 per lui.

Il movente
Quello che ha spinto Erica a compiere un gesto così estremo si esplica nel tentativo di ottenere una maggiore libertà che, secondo la giovane, la madre non le concedeva, nonostante che lei e Omar si vedessero tutti i giorni. In base alle confessioni dei colpevoli, nei mesi precedenti al fatto delittuoso, la coppia aveva trascorso molto tempo a pianificare il delitto, escludendo le amicizie, gli interessi e si era ritirata nell’isolamento di una fusione simbiotica. Applicando la teoria alla pratica, in questo caso si constata che il soggetto induttore è Erica, che premeva su Omar facendo leva sui suoi punti deboli. Un’impresa, quest’ultima, piuttosto facile dal momento che Omar era affettivamente dipendente da Erica, anzi secondo i periti egli soffriva di una pervasiva ed eccessiva necessità di essere accudito, necessità che ha determinato un comportamento sottomesso di dipendenza e timore della situazione. In Omar i periti hanno riscontrato un Disturbo Dipendente di Personalità. In particolare, aveva una “pervasiva ed eccessiva necessità di essere accudito, che ha determinato un comportamento sottomesso di dipendenza e timore della separazione in qualsiasi contesto egli si trovi a vivere”. Ed è proprio su tali timori che le parole di Erika hanno fatto presa.

La forte personalità di Erika
Omar temeva che anche il minimo disaccordo portasse a rischio la relazione tra i due e, per evitare di perdere il supporto e l’approvazione da parte della ragazza, era disposto a fare qualsiasi cosa pur di dimostrare il suo amore per lei. Sempre secondo i periti: “Da quando Omar ha conosciuto Erika il suo lavoro principale è consistito nel tentativo di indovinare cosa le potesse fare piacere e cosa potesse deluderla. Poiché soffre di scarsa autostima non è convinto di valere molto, dubita di essere veramente amato e desiderato, perciò si sforza di diventare utile almeno come strumento di piacere della persona da cui dipende psicologicamente”. Coerentemente con le sue caratteristiche di personalità, Omar, messo alle strette dal padre che minacciava di abbandonarlo appena fosse diventato maggiorenne se non avesse detto la verità agli inquirenti, ha immediatamente confessato i delitti, collaborato con magistrati e periti senza mai sostanzialmente modificare la propria versione. Erika, invece, nel corso dei primi colloqui ha escluso ogni suo coinvolgimento e ha attribuito completamente a Omar sia la pianificazione che l’esecuzione dei delitti stessi: sosteneva di aver fatto entrare Omar senza avere nessun sospetto circa le sue intenzioni omicide e di aver assistito all’uccisione di madre e fratello come immobilizzata, senza avere avuto la forza di opporre resistenza.

Troppe contraddizioni
Nel corso dei colloqui successivi, Erika correggerà via via la sua posizione sia in merito alla premeditazione che alla sua attiva partecipazione. In base alla documentazione dei periti, al tempo dei fatti Erika soffriva di un Disturbo Narcisistico di Personalità: presenta un quadro pervasivo di grandiosità, necessità di ammirazione e mancanza di empatia, elementi che implicavano sentimenti di indifferenza verso l’altro. Questo la portava a svilire l’importanza delle altre persone e a contare solo sulla propria capacità di manipolare per ottenere l’appagamento dei propri bisogni. Sempre secondo i periti del tribunale, gli altri erano considerati alla stregua di avversari da battere con le armi della manipolazione e dell’astuzia. È successo così in famiglia, avendo Erika trovato modalità relazionali tali per cui gli altri soddisfacevano i suoi bisogni senza che lei dovesse correre il rischio di chiedere e senza che nulla le fosse chiesto in cambio, se non il rispetto di banali regole formali. Anche nel contesto scolastico presumeva di fare tutto da sola, che nessuno le potesse insegnare nulla. I due ragazzi sono giunti a commettere un delitto maturato nell’isolamento di una coppia chiusa al confronto con la realtà e concentrata solo sull’onnipotenza della propria unione. In questo contesto si ingigantisce il narcisismo di Erica alimentato dall’arrendevolezza di Omar.

Due soggetti complementari
In sintesi, la dinamica criminale di questa coppia è risultata profondamente condizionata dalla complessa personalità della figura femminile e dalla immaturità e dipendenza di quella maschile. Nei protagonisti di questo delitto operano meccanismi di difesa che si manifestano in modalità di pensiero onnipotente di tipo infantile. Il delitto appare come un passaggio all’atto, determinato dall’incapacità di prospettarsi soluzioni più adattive e “pensate”. Tramite il meccanismo dell’identificazione proiettiva, le parti cattive di sé si proiettano sull’altro che diviene totalmente negativo, a differenza dei membri della coppia che si vedono come del tutto positivi. Questo spiega anche l’assenza di rimorso, di senso di colpa. Questo meccanismo ha funzionato per Erika anche dopo l’arresto, ma stavolta nei confronti di Omar.  L’elemento negativo attribuito principalmente alla vittima si sposta sul complice che diventa l’induttore, il malvagio ideatore. In questo caso, si può affermare che se persone con queste caratteristiche di personalità non si fossero incontrate, i delitti non si sarebbero probabilmente compiuti, in quanto da soli non li avrebbero verosimilmente portati a termine. Si è assistito, inoltre, alla convergenza di disturbi mentali complementari che hanno promosso il legame: il Disturbo Narcisistico di Personalità dell’incube e il Disturbo Dipendente di Personalità del succube.

Delirio reciproco
La fusione psicologica di queste coppie ha costruito un vissuto di onnipotenza tale che anche la possibilità di essere scoperti non è presa in considerazione. Un caso tipico della coppia incube-succube in cui vi è stata una trasmissione degli intenti da un soggetto più forte e determinato, quello con il disturbo narcisistico di personalità, ad uno più fragile, vulnerabile ed influenzabile quale il soggetto col disturbo dipendente di personalità. In conclusione si può sostenere che, in questo tipo di coppia, ciascuno ha usato l’altro per soddisfare i propri bisogni psicologici. Si è verificato un incontro tra volontà che si sono intersecate, volontà che hanno individuato una stessa soluzione illusoria a un problema di sviluppo patologico e di immaturità che si è rivelata devastante sul piano della realtà. Infine, il delitto commesso va interpretato anche come l’espressione di un disagio evolutivo. Un disagio che è proprio dell’adolescente alle prese con la formazione di una propria identità autonoma e, quindi, col conflitto tra bisogni di dipendenza/indipendenza dai genitori. Il desiderio di esplorare il mondo esterno si viene a scontrare col bisogno infantile di protezione. Da qui, la difficoltà a diagnosticare patologie, disturbi di personalità nella fase adolescenziale e a distinguerle dalle manifestazioni di comuni conflitti. Il comportamento trasgressivo di un giovane, in questa fase dello sviluppo di necessaria rottura con la famiglia, non corrisponde però al comportamento delinquenziale dei soggetti in esame. In essi hanno agito disturbi psicopatologici che possono avere origine da altri due elementi criminogenetici: la trasmissione dei valori e lo stile educativo.

 

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