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Alessandria fanalino di coda in Piemonte per i rifiuti, e i “cassonetti intelligenti” peggioreranno la situazione

Alessandria (Renzo Penna) – Nella regione Piemonte il Comune di Alessandria, in tema di gestione dei rifiuti solidi urbani, si colloca agli ultimi posti in tutti gli indici:

  • percentuale di raccolta differenziata;
  • tasso di riciclaggio;
  • produzione totale dei rifiuti.

La percentuale della Raccolta Differenziata da anni vede Alessandria ferma, e costantemente al di sotto del 50%, mentre gli altri capoluoghi di provincia – con l’esclusione di Torino che, però, sta migliorando – sono prossimi o superiori al 70% (Verbania 81,8%, Biella 78,5% , Novara 73,9%, Vercelli 71,7, Cuneo 71,4, Asti 69,4, Alessandria 48,5%, Torino 47,7%).
Il tasso di riciclaggio, vista la pessima qualità dei materiali raccolti, non si conosce mentre le disposizioni di legge e il piano della Regione prevedono una quota utile per il riciclo dei materiali almeno superiore al 50%. Per quanto attiene alla Produzione Totale annua di rifiuti, con 572 Kg, Alessandria è tra i comuni che producono e raccolgono più rifiuti.

Il “porta a porta” è attuato, con ottimi risultati, in tutti i comuni capoluogo del Piemonte
È utile ricordare che in tutti i comuni capoluogo del Piemonte – con maggioranze politiche molto diverse – dove si raggiungono alte percentuali di raccolta differenziata  è in vigore il sistema di raccolta domiciliare dei rifiuti detto “porta a porta” . Da diverso tempo, sia la società “Amag Ambiente” che il Consorzio alessandrino, non realizzano campagne di informazione rivolte ai cittadini per incentivare la qualità della raccolta, o di formazione nei confronti delle scuole. Le uniche informazioni fornite, di recente, dall’azienda hanno riguardato i controlli degli ispettori ambientali. Attività che nei confronti dei contenitori posti sulla strada non comporta, praticamente, alcun beneficio, mentre potrebbe risultare utile per le due zone ancora a “porta a porta” (il Centro e parte del quartiere Cristo). Ma non risulta che ciò accada vista la bassa percentuale di RD che anche li si registra.
Si continua, inoltre, a non tenere distinto il materiale raccolto a domicilio da quello stradale, peggiorandone la qualità e vanificando il possibile riciclo.
In provincia, nel Consorzio più grande che raggruppa i comuni della Valle Scrivia e dell’acquese, la raccolta “porta a porta” si è, da ultimo, positivamente avviata nelle zone di Ovada e Acqui, raggiungendo, a fine 2019, percentuali tra il 70 e l’80 percento e, dalla metà del 2000, sta interessando le realtà del Novese e del Tortonese.

L’immobilismo di Amag e di Palazzo Rosso
L’attuale Amministrazione di Alessandria non ha portato avanti il programma predisposto dalla passata giunta che prevedeva, a partire dai sobborghi e le frazioni della Fraschetta, l’estensione di una raccolta domiciliare molto semplificata e dai costi ridotti, più adatta a realtà poco urbanizzate. Una scelta che conferma una incomprensibile e ripetuta idiosincrasia della destra alessandrina per la modalità di raccolta “porta a porta”.
A questa valutazione sono seguiti anni di completo immobilismo e, recentemente, la Giunta e l’azienda hanno comunicato la decisione, che dovrebbe essere operativa entro l’anno, di utilizzare per la raccolta i cosiddetti “cassonetti intelligenti”, per un investimento pari a 12 milioni e mezzo di euro. Per valutare se tale modalità sia la più utile per Alessandria occorre fare qualche valutazione, così come servirebbe una più attenta verifica preventiva. Le innovazioni tecnologiche sono, infatti, sempre benvenute, ma prestando grande attenzione a tutti gli aspetti e alle conseguenze del loro utilizzo.
Effettivamente nel settore è in atto una riproposizione di soluzioni tecnologiche come già avvenuto all’inizio degli anni 2000, con i grandi contenitori da 2,4 – 3,2 metri cubi che richiedevano grandi camion a “monoperatore a caricamento laterale”. Soluzione adottata in provincia dal comune di Novi Ligure e, di recente, abbandonata.
Come già per i grandi contenitori la soluzione dei “cassonetti intelligenti” è promossa dalle maggiori “multiutility” pubbliche, le stesse che, qualche anno fa, avevano incentivato l’istallazione delle “isole interrate”. Soluzione, quella delle “isole”, scelta a suo tempo dal comune di Valenza, dove, però, ha dato pessimi risultati (Valenza registra una delle percentuali di RD peggiori del Consorzio). Ad Alessandria, in piazza della Libertà, è ancora presente in “bella vista” una delle due “isole” installate che, credo, non abbia mai funzionato.

La tecnologia può fare a meno delle persone?
La filosofia che bravi commercialisti portano avanti, magnificando le doti dei “cassonetti intelligenti” e convincendo gli amministratori e i tecnici delle società partecipate, risponde sempre alla stessa logica: quella di ritenere sia possibile risolvere i problemi con la sola tecnologia e facendo a meno del concorso delle persone. Un indirizzo verso il quale molte pratiche esperienze suggeriscono di manifestare forti dubbi. Per funzionare il sistema necessita, in primo luogo, che la grande maggioranza dei cittadini sappia e sia abituata a raccogliere e a conferire i rifiuti in maniera separata per le diverse tipologie. Come, da tempo, avviene nelle zone del Trentino Alto Adige. Una capacità che gli alessandrini avevano iniziato ad apprendere negli anni del “porta a porta” (2005-2007), ma che in seguito, per i diversi e opposti cambiamenti intervenuti, hanno, come risulta con grande evidenza, perso.
In assenza di questa consolidata abitudine il concreto rischio è che succeda come a Carrara dove, accanto ai nuovi cassonetti dotati di “eco card”, si sono formate vere discariche con sacchetti e  immondizia di ogni genere (La Nazione – Massa Carrara: “Caos rifiuti, il centro diventa una discarica”. 26 marzo 2021).
O a Siena dove è più volte capitato che il sistema di apertura dei cassonetti si sia bloccato per diverse ragioni e siano cresciuti i sacchetti abbandonati per terra (Radio Siena TV: “Cassonetti intelligenti:  cresce l’insoddisfazione degli utenti”. 14 dicembre 2020).
Va infatti precisato che questi nuovi contenitori necessitano d’una costante manutenzione per il loro funzionamento, sono strutture rigide ed essendo posizionate lungo le strade anch’esse possono essere soggette a vandalismi. Inoltre, sovente, il loro funzionamento non consente il calcolo della tariffa puntuale, come avviene molto più naturalmente con il “porta a porta”.

Investimenti sproporzionati al risultato
Come abbiamo visto l’investimento per il loro acquisto richiede altri investimenti importanti, così come per i mezzi necessari a svuotare quei contenitori che non sono riutilizzabili per altro, mentre acquistare sacchi, bidoncini e mastelli costa molto meno e i mezzi di raccolta possono essere usati per diverse funzioni. Con la raccolta domiciliare, ad esempio, il sistema si può facilmente adattare in base ai risultati che si conseguono. Se, come in genere avviene, si riduce la quantità di rifiuti totali raccolti, il sistema è in grado di riorganizzarsi rapidamente, abbassando le frequenze delle diverse tipologie da settimanale a mensile. Nei comuni a tariffa puntuale, tra il 70 e l’80% di RD, e con produzioni di indifferenziato sotto i 70 Kg/abitante anno, questo può essere addirittura raccolto ogni mese e mezzo – due. Con evidenti e generali risparmi.
Tutti ragionamenti che sarebbe stato meglio fare prima di decidere e con un ampio coinvolgimento dei cittadini-utenti. In assenza, come mi sembra stia accadendo in Alessandria, il rischio di un insuccesso del nuovo sistema di raccolta è nelle cose.
Infine, secondo la giunta comunale uno degli aspetti positivi del nuovo sistema consisterebbe nel risparmio di personale. Posizione che, se veicolata dai commercialisti per vendere il prodotto, anche se, a mio giudizio, errata, si può giustificare, ma se sostenuta da amministratori pubblici, in una fase di grave crisi occupazionale come l’attuale, sorprende e dovrebbe anche preoccupare le organizzazioni sindacali.
Ricordo, infatti, che quando, a metà degli anni ’70, la giunta del Comune di Alessandria decise la realizzazione delle “municipalizzate” per potenziare i principali servizi pubblici (raccolta rifiuti, fornitura acqua- gas e trasporto pubblico) numerosi furono i lavoratori che, perso il lavoro per la crisi del comparto industriale (fabbriche tessili, metalmeccaniche, argentiere), trovarono nelle aziende del comune una nuova e stabile occupazione.

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