Press "Enter" to skip to content

Funivia di Stresa: Tadini ha confermato al gip di aver messo il forchettone

Il suo legale al termine dell’udienza di convalida: “Non è un delinquente, secondo lui non è collegabile il problema dell’impianto frenante con la rottura della fune”. Perocchio: “Scelta scellerata di Tadini”

Verbania (Adnkronos) – In carcere a Verbania l’udienza di convalida per il gestore dell’impianto della funivia del Mottarone Luigi Nerini, il capo servizio Gabriele Tadini e il direttore di esercizio Enrico Perocchio in stato di fermo dall’alba di mercoledì per il disastro di domenica 23 maggio quando una cabina è precipitata uccidendo 14 dei 15 turisti a bordo. I tre vengono ascoltati dal gip Donatella Banci Buonamici la quale dovrà decidere se convalidare la prima misura presa dalla procura di Verbania per evitare una possibile fuga e l’ordinanza di custodia cautelare che mette nero su bianco, in dieci pagine, le accuse per omicidio colposo plurimo, lesioni colpose, rimozione dolosa di sistemi di sicurezza.

Difesa Tadini
“Ha risposto in maniera compiuta a diverse domande del giudice, è stato un interrogatorio profondo. Ha confermato le sue responsabilità e ha ammesso di aver messo ‘forchettone’” sulla cabina numero 3, ha riferito l’avvocato Marcello Perillo, difensore di Gabriele Tadini, al termine dell’interrogatorio di convalida del fermo davanti al gip, udienza durata circa tre ore. “E’ distrutto, sono quattro giorni che non mangia e non dorme, il peso di questa cosa lo porterà per tutta la vita – ha detto il legale – E’ morta gente innocente, potevano esserci il figlio di Tadini o il mio” in quella cabina precipitata.
“Non è un delinquente, non avrebbe mai fatto salire le persone con l’impianto bloccato sapendo che la fune si poteva rompere” ha riferito ancora l’avvocato Marcello Perillo, che ha chiesto gli arresti domiciliari per Tadini essendoci le condizioni, a suo dire, per concederli. Secondo “il mio cliente e i consulenti che ho sentito, non è collegabile il problema dell’impianto frenante con la rottura della fune”, ha spiegato il legale, secondo il quale non c’è il reato di falso – rispetto alle mancate annotazioni sul malfunzionamento dell’impianto – perché l’indagato “non è un pubblico ufficiale”. La decisione del giudice è in attesa in giornata.

Difesa Perocchio
“Non potevo prevedere, né sapere che qualcuno ha fatto un uso vietato della legge e scellerato delle ganasce”. Sono le parole che Enrico Perocchio, difeso da Andrea Da Prato, ha riferito al giudice di Verbania nel corso dell’udienza di convalida del fermo. “Ha parlato a lungo, ha risposto a tutte le domande. Ha ribadito con grande partecipazione e scrupolo la sua estraneità”, nell’incidente della funivia, ha detto il legale che assiste il direttore di esercizio dell’impianto.
“Incredulo, inebetito, ha detto ‘io non monterei su una funivia con delle ganasce inserite’. Quella è una scelta scellerata di Tadini, è chiaro che se la funivia del Mottarone chiude per manutenzione l’ingegnere Perocchio non perde denaro ma dorme su otto cuscini” ha affermato il difensore Andrea Da Prato. “Non sappiamo le cause dell’incidente”, quello che appare certo è che la presenza delle ganasce sulla cabina “ha impedito al freno di entrare in funzione”, ha aggiunto il difensore. Quanto alla cause della rottura della fune, “non sappiamo perché si è rotto il cavo e non è un nostro problema. Il freno è rosso perché lui lo ha preteso come scrupolo ulteriore”, ha proseguito il legale, ricordando come contro Perocchio c’è solo “una dichiarazione superficiale di Tadini”.
Il legale ha detto inoltre che un tecnico di una società esterna alla gestione dell’impianto avrebbe reso dichiarazioni che “dimostrano l’estraneità di Perocchio” nell’incidente. L’avvocato ha ricordato che una volta informato dal capo servizio dell’impianto Gabriele Tadini dell’incidente della cabina 3 ha provveduto a inviare una mail alla procura di Verbania per essere ascoltato, invece è scattato il fermo senza interrogatorio. “Non ci sono le esigenze per lasciarlo in carcere come non c’erano le esigenze cautelari per eseguire il fermo. Ha chiesto di essere sentito, si è presentato in caserma a Stresa ma lo hanno portato dietro le sbarre nonostante l’assenza del pericolo di fuga. Ha la stessa maglietta con cui si è presentato davanti ai militari, ha una moglie e un figlio a casa e spero di poterlo portare oggi stesso da loro”, ha concluso il legale.

Difesa Nerini
“Non dite che ha risparmiato sulla sicurezza, la sua attività si è svolta in piena trasparenza. Sapeva del problema al sistema frenante ma anche che era stata chiamata per due volte la manutenzione, non è Nerini che può fermare la funivia”. Così l’avvocato Pasquale Pantano difensore di Luigi Nerini gestore dell’impianto della funivia del Mottarone, interviene al termine dell’udienza di convalida del fermo. Nerini avrebbe avuto più interesse a bloccare ora la funivia per fare dei lavori, “piuttosto che in alta stagione”; quindi per il difensore non avrebbe agito per interessi, come sostenuto dalla procura di Verbania.
“Ha risposto, ha dato la sua versione spiegando chi deve fare cosa in un una società, cioè chi deve occuparsi della sicurezza e chi del business. Per legge è così, due decreti legislativi dicono che se ne deve occupare il capo servizio dell’impianto e il direttore di esercizio”, ossia rispettivamente Gabriele Tadini ed Enrico Perocchio, ha detto ancora l’avvocato Pantano.

Procura
Tadini, interrogato dal procuratore capo Olimpia Bossi e dal pm Laura Carrera, è l’unico che ha ammesso di aver lasciato il blocco sui freni impedendo alla cabina, una volta che la fune traente si è spezzata per cause da accertare, di restare ancorata al cavo portante. Una scelta “consapevole” dettata dai continui blocchi del sistema frenante e dunque dal rischio che la cabinovia si fermasse a metà corsa costringendo a pericolosi recuperi i passeggeri, ma soprattutto dalla volontà di evitare una lunga chiusura dell’impianto per manutenzione.
La decisione per i magistrati è condivisa sia con Nerini, difeso dall’avvocato Pasquale Pantano, sia dall’ingegnere Perocchio assistito dal difensore Andrea Da Prato. I due, fermati in caserma a Stresa dopo la confessione di Tadini ma mai sentiti dai pm, l’avrebbero avallata per evitare “ripercussioni di carattere economico”. I pm credono a Tadini perché sarebbe illogico pensare che un semplice dipendente compia da solo una scelta pericolosa da cui non ha “alcun vantaggio”. Nerini, per gli inquirenti “è operativamente e quotidianamente convolto nelle operazioni di funzionamento” e ha un interesse a forzare le procedure di sicurezza per non perdere gli incassi già quasi azzerati dal Covid. Anche Perocchio, secondo la procura, “era assolutamente consapevole delle anomalie che il sistema frenante presentava da tempo, come sapeva che “erano necessari interventi più radicali”.
Per tutti la procura chiede il carcere sostenendo sia l’ipotesi di fuga, che il possibile inquinamento probatorio e la reiterazione del reato.
“E’ una cosa allucinante, sono morti anche dei bambini a cui è stata strappata la vita. Io sono garantista ma se colpevoli gli devono dare l’ergastolo”, dice un cittadino che davanti al carcere tiene tra le mani il cartello ‘Se colpevoli ergastoli’.
A pochi passi dall’ingresso del carcere, sulla ringhiera di una scuola c’è un lenzuolo dove si legge: “Un abbraccio al piccolo Eitan da tutti noi”.
L’unico sopravvissuto alla tragedia è ricoverato all’ospedale infantile Regina Margherita di Torino.

 

Comments are closed.