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Biometano per la produzione di “acciaio verde” all’ex Ilva?

Novi Ligure – Anche l’Ilva di Novi è coinvolta nella riconversione verde dell’ex Ilva. Sulla carta il progetto è quello di produrre acciaio verde. È il piano industriale che potrà attuare l’ex Ilva ora che il Consiglio di Stato ha fermato lo spegnimento degli altoforni. Tre multinazionali italiane si sono offerte di riconvertire lo stabilimento di Taranto con una nuova tecnologia per un investimento pari a cinque miliardi di euro. L’occasione è propizia, con i 68,6 miliardi stanziati dal Recovery Fund per la transizione ecologica. L’interesse, però, è da verificare, perché Acciaerie d’Italia, la società, creata da Arcelor Mittal Italia e Invitalia per gestire l’ex Ilva non ha ancora chiarito quale sia il suo piano. Ed è un piano strategico che interessa tutti gli stabilimenti come anche quello di Novi. Riguarda la produzione e il come produrre. Ed è qui che nasce la domanda: a quando la produzione di acciaio verde? Secondo quanto dichiarato da Mario Pagliaro, chimico del Cnr, negli impianti di taglia medio-piccola la produzione sarebbe già possibile e in alcune parti d’Europa sarebbe già cominciata. Per gli impianti più grandi, invece, ci vorrà del tempo. Nel dettaglio, l’acciaio verde è l’acciaio prodotto bruciando idrogeno invece che carbone. L’idrogeno si ottiene separandolo dalle molecole di acqua delle quali, con l’ossigeno, è uno dei due elementi. La separazione avviene per elettrolisi e richiede molta energia.

Il Metano, carta vincente
Ma non solo l’acciaio prodotto con idrogeno verde può dirsi verde, come sottolineato da Pagliaro che sul tema ha scritto con il collega greco Athanasios Konstandopoulos il libro “Solar Hydogen: Fuel of the Future”. L’uso del metano in alternativa al carbone e in attesa dell’idrogeno è invece la strategia dei grandi gruppi che producono e installano impianti siderurgici, come l’italiano Danieli, il giapponese Primetals e il tedesco Sms. Oltre tutto si può utilizzare il biometano ottenuto dalla lavorazione della forsu (frazione organica rifiuti solidi urbani), cioè la spazzatura che, da Roma in giù, è abbondante. Si otterrebbe un doppio risultato: eliminare i rifiuti dalle strade delle più belle città del mondo e alimentare a metano l’Ilva di Taranto. In cordata con il conglomerato della difesa Leonardo, che si occuperebbe degli aspetti informatici, e con Saipem, che realizza oleodotti e gasdotti e, in questo caso, curerebbe l’installazione dell’impianto, Danieli ha proposto questa tecnologia per l’area a caldo dell’ex Ilva. Una tecnologia versatile, capace oggi di produrre milioni di tonnellate all’anno di acciaio usando il metano e domani di fare lo stesso usando l’idrogeno: col metano al posto del carbone, il minerale è sempre calato dall’alto, mentre il gas è iniettato dal basso e filtra verso l’alto attraverso il minerale, togliendogli l’ossigeno.

L’idrogeno è “sporco” e costoso
Con l’idrogeno, la procedura non cambia. Il punto è che oggi l’energia necessaria per produrre tutto l’idrogeno che occorrerebbe, sarebbe in gran parte energia sporca. In pratica si ridurrebbero le emissioni di C02 degli altiforni, ma aumenterebbero quelle delle centrali a gas e carbone. Altro problema non da poco è quello dei costi: secondo quanto stimato dal preventivo del gruppo Danieli, per un impianto “verde” che produca 1 milione di tonnellate di acciaio l’anno l’investimento è di un miliardo. Ma è un investimento che si dovrà fare dato che il mondo sta andando in quella direzione, come dimostra il Green Deal, l’insieme di politiche dell’Unione europea per azzerare le emissioni di CO2 nel 2050.

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