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Sul Covid troppi errori e omissioni, e una morte misteriosa che pesa come un macigno

di Andrea Guenna – Erich Grimaldi (a lato), presidente del comitato per la Cura domiciliare Covid-19, ha presentato due esposti, uno alla Procura della Repubblica di Bergamo e uno a quella di Roma, per le gravi omissioni del Ministero della Salute a proposito dello sviluppo delle cure domiciliari per il Covid 19. In Italia pare che ci siano solo i vaccini ma in realtà esistono molte terapie che funzionano e sono applicabili a domicilio evitando di intasare gli ospedali. L’obiettivo è quello di far luce sulla gestione dell’epidemia da parte dei responsabili di questo disastro che hanno puntato tutto sui vaccini guardandosi bene (?) di chiamare in causa i medici di base per pianificare nel minor tempo possibile un programma serio di terapie. È stato fatto proprio qui da noi, ad Alessandria, e ha funzionato. Già dall’aprile 2020 il dottor Grimaldi aveva chiesto alle istituzioni di lavorare a un protocollo di cura domiciliare univoco nazionale, ma non se n’è fatto niente. Su questo a Bergamo si sta già indagando, a Roma invece è partito un procedimento civile in cui i familiari delle vittime di Bergamo chiedono i danni allo Stato.

Terapie domiciliari? Perché no?
Che le terapie funzionino benissimo lo dimostra il Giappone: lì hanno usato sia i vaccini che “gli anticorpi monoclonali”, sponsorizzati anche da Francesco Vaia, direttore dell’Inmi Spallanzani. E il risultato è li da vedere: hanno molti contagi, è vero, ma pochissimi morti.
È la lunga battaglia delle “cure domiciliari”, fatta di esperienze serie, altre un po’ meno, relegata dai grandi media nello spazio dei complottismi quando meriterebbero almeno un dibattito scientifico. La cosa più importante è intervenire subito, nei primi minuti. Se lo si fa correttamente, si evita il ricovero e soprattutto la formazione dei trombi che portano, purtroppo, alla morte.
Occorre precisare che cure domiciliari e vaccini non sono esclusivi. Semmai complementari. I primi servono ad evitare che i casi gravi portino al decesso, i secondi che la malattia non si manifesti con tutta la sua violenza.
Per questo ai promotori delle cure domiciliari non sono andate giù le nuove linee guida rilasciate dal ministero della salute nel novembre del 2021. Sostanzialmente sono identiche a quelle di un anno prima.

Inutili allarmismi su Omicron
Guido Silvestri (a lato), professore di virologia della Emory University di Atlanta, ieri ha postato un messaggio su facebook col quale fa chiarezza sulla situazione attuale: “Mentre i media mainstream straparlano di ‘Tsunami Omicron’ – scrive l’autorevole professore – e quelli alternativi delirano di vaccini tossici e di dittatura degli scienziati, ci sono tre fatti importanti che stanno emergendo sulla nuova variante che meriterebbero una seria discussione. Nel mio piccolo, continuo a provarci, nonostante i mille impegni e la stanchezza, perché – conclude Silvestri – credo ancora nella speranza di poter dare un contributo, magari anche molto modesto, perché il mio Paese lontano esca da questa ondata di isteria collettiva che sembra averlo preso in queste ultime settimane”.
Ed elenca alcuni punti per spiegare la sua teoria
1. La letalità calcolata di Covid-Omicron (in gergo tecnico: Infection Fatality Rate, cioè il rapporto tra numero dei decessi e numero dei casi osservati) sembra molto più bassa di quella delle varianti precedenti. Il dato dal Sudafrica su quasi 400.000 casi parla di 0.26% di letalità, paragonata al 2.5%-4.0% delle ondate precedenti. Questo nonostante la popolazione sia pienamente vaccinata solo al 26.3% (42% degli adulti). In accordo con questa osservazione, la pressione sulle terapie intensive del Sudafrica – un paese da 60 milioni di abitanti – rimane bassa, con un totale di 546 letti occupati (molto meno che in Italia).
2. È emersa la notizia dello studio del National Institute for Communicable Diseases del governo sudafricano diretto da Nicole Walter e Cheryl Cohen, secondo cui il rischio di ospedalizzazione nei pazienti che hanno contratto Omicron è il 20% di quello osservato nei pazienti che avevano contratto Delta (per essere chiari, se il rischio di finire in ospedale per Delta fosse stato del 5%, per Omicron sarebbe dell’1%). Nonostante lo studio utilizzi controlli storici (Delta è sparita dal Sudafrica adesso) l’analisi è stata fatta dopo aver corretto per età, sesso ed anamnesi positiva per aver contratto l’infezione in precedenza [in questo senso lo studio Imperial che alcuni citano non è rilevante per ovvii motivi statistici, in quanto chiaramente underpowered per provare la “null hypothesis” — ed oggi lo stesso Imperial, con più dati, vede una riduzione del rischio del 45%, e lo studio scozzese indica una riduzione del 67%] .
3. È dei giorni scorsi lo studio molto interessante della LKS Faculty of Medicine alla Università di Hong Kong, diretto da Michael Chan Chi-wai e John Nicholls, secondo cui la variante Omicron è più efficace nell’infettare le cellule delle alte vie respiratorie e dei bronchi ma meno efficiente nell’infettare quelle del tessuto polmonare profondo. Questo studio potrebbe rappresentare la base meccanica della minore severità clinica osservata in Sudafrica, in quanto la polmonite interstiziale con danno alveolare diffuso e conseguenti complicanze sistemiche è l’elemento centrale nella patogenesi del Covid severo”.

Una morte senza risposte
Il 27 luglio 2021, cioè il giorno in cui è stato trovato il cadavere del professor Giuseppe De Donno (nella foto in alto) appeso a un trave della sua casa, sono stati in molti a pensare a un omicidio. Il professore, primario di pneumologia dell’ospedale Carlo Poma di Mantova e padre della terapia anti Covid col plasma iperimmune, nonostante gli eccellenti risultati della sua cura, ha dovuto dare le dimissioni dall’ospedale. I malevoli dubbi sul suo decesso non sono venuti solo all’uomo della strada perché a questo proposito la Procura di Mantova sta indagando per il reato di istigazione a suicidio. Tra gli atti disposti dal pm c’è anche l’autopsia sul corpo del medico, effettuata a suo tempo ma di cui non è ancora dato sapere nulla per il segreto istruttorio. Si sta cercando di capire se qualcuno possa aver indotto l’ex primario a togliersi la vita, senza lasciare nessun messaggio. Il cadavere di De Donno è stato trovato dai familiari nella sua casa di Eremo di Curtatone. De Donno, nei mesi caldi della pandemia dello scorso anno, era diventato il simbolo della lotta al virus condotta col plasma prelevato dagli infettati e guariti, e poi trasfuso nei malati. La sua battaglia per imporre la terapia aveva suscitato molte polemiche, dividendo sui social l’opinione pubblica tra favorevoli e contrari.
La sua drammatica vicenda non è chiara e ancora oggi ci si chiede come sia stato possibile che un primario stimato e molto preparato come lui abbia deciso improvvisamente di farla finita. Probabilmente non ha digerito il fatto che il ministero (Speranza) e Aifa avessero bollato la terapia del plasma iperimmune come inefficace. In effetti la cosa fa pesare perché solo qualche mese dopo, la stessa Aifa aveva cambiato idea promuovendo con forza la sua applicazione tanto che oggi a Vercelli se ne fa un uso quotidiano per la salvezza di moltissime vite.

La Lega chiede, nessuno risponde
A proposito del misterioso suicidio del professor De Donno, la Lega ha presentato un’interrogazione indirizzata al Ministro della Salute Roberto Speranza. Nel testo, firmato da Paolo Grimoldi (a lato), si legge fra l’altro: “De Donno era noto per essere stato il pioniere della terapia sperimentale anti-Covid a base della trasfusione di plasma iperimmune; le potenzialità della terapia iperimmune, da tempo oggetto di serio studio in Italia e in diversi Paesi del mondo, si basano sugli effetti benefici che, in alcuni casi, sembrano riscontrarsi per la cura del Covid-19 dall’utilizzo del siero iperimmune e dalla possibilità di estrarre da quest’ultimo anticorpi a fini di prevenzione; inoltre, fin dal periodo iniziale della pandemia, De Donno si era battuto per le terapie domiciliari, poi rivelatesi molto spesso provvidenziali, e anche per questo aveva ingiustamente scontato l’emarginazione e l’isolamento di una parte della comunità medica. Le circostanze del drammatico suicidio del dottor De Donno sono – va avanti l’interrogazione – ancora da chiarire, tuttavia l’interrogante non può fare a meno di pensare alla traumatica vicenda che ha coinvolto De Donno nel maggio 2020 quando, proprio a seguito della sperimentazione della terapia sui pazienti affetti da Covid-19, i carabinieri del Nas di Mantova si sono interessati al lavoro dell’allora primario; fu un duro colpo per De Donno, che percepì chiaramente il tentativo, anche politico, di scoraggiare i suoi sforzi; sembra infatti che la decisione di far intervenire i Nas provenisse direttamente da Roma, dove le terapie complementari del medico avrebbero infastidito alcuni esponenti dell’allora Governo, attenti, secondo l’interrogante, più ad un approccio ideologico che a quello autenticamente terapeutico nei confronti del contenimento del virus”.

Usiamo le terapie per trovare quell’immunità che il vaccino non può dare
Ormai lo sanno tutti: le terapie guariscono dal Covid e danno l’immunità. Un po’ come quando, da bambini, si faceva il Morbillo da cui si guariva e si diventava assolutamente immuni come chi scrive. Ciò è talmente vero che lo stesso presidente dell’Agenzia italiana del Farmaco (Aifa) Giorgio Palù (a lato), in audizione in Commissione Affari Costituzionali del Senato un paio di settimane fa ha reso noto che “si stanno oggi valutando nuovi monoclonali diretti contro la Proteina S, la stessa utilizzata per indurre risposta anticorpale coi vaccini e in grado di neutralizzare con altissima efficacia il virus, bloccando l’infezione e non solo la malattia. Credo che – ha spiegato il professore – presto avremo a disposizione, monoclonali somministrabili per via sottocutanea o intramuscolare e in questo caso si potrà intervenire a casa del paziente, senza intasare ospedali e pronto soccorso”. Palù da indirettamente ragione a De Donno perché se il plasma iperimmune usato dal professore mantovano può servire in emergenza per trattare le persone con le forme più gravi di Covid-19, l’utilizzo degli anticorpi monoclonali – copie prodotte illimitatamente in laboratorio partendo dalle cellule dei pazienti – potrà servirci, sia per trattare le nuove infezioni, che come profilassi per evitare che ci si ammali. Le due cure sono praticamente identiche con la differenza che il plasma iperimmune di De Donno si ottiene da quello dei pazienti guariti, mentre gli anticorpi monoclonali sono riprodotti in laboratorio. Ma il principio è identico: s’inietta il sangue di chi è guarito e guarirà anche chi lo riceve divenendo a sua volta immune.
Questo è un colpo mortale per il vaccino che, in questo caso, non serve quasi più.
Non basta perché il presidente dell’Aifa ha aggiunto che “l’Agenzia sta attualmente valutando anche due antivirali specifici. Uno è l’antivirale orale Molnupiravir e l’altro è un inibitore della proteasi, per i quali abbiamo appena ricevuto il dossier”.
Insomma, nessuno nega più ormai che – chi come noi di Alessandria Oggi affermiamo da sempre – il vaccino non è l’unica soluzione, l’efficacia provata delle terapie in atto e il loro utilizzo può segnare una svolta. Noi l’abbiamo scritto subito, dal momento in cui è scoppiata la pandemia, e l’abbiamo ribadito con un’intervista ad Alessandro Meluzzi che è stato preciso e circostanziato nel prevedere quello che sta accadendo oggi, a distanza di oltre un anno e mezzo. Non eravamo e non siamo no-vax ma no-covid-vax per il semplice motivo che – come ormai tutto il mondo sa – questo non è un vaccino.

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