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L’Italia imbalsamata come una Mummia

di Marcello Veneziani – Una sconfitta per l’Italia, per la democrazia, per il futuro, per la libertà. Riconfermare Mattarella al Quirinale certifica l’impotenza del Parlamento e l’incapacità di fare un solo passo avanti. Italia imbalsamata, ridotta a Mummia. Si è confermata l’incapacità di intendere e di volere dei maggiori leader politici nostrani. Dopo Draghi viene Draghi, dopo Mattarella viene Mattarella, scrivemmo già mesi fa. Con loro rimasti ai loro posti, resta ai loro posti anche il Parlamento. Dopo la settimana bianca sul Colle, si torna al punto di partenza, Nuvola Bianca resta al Quirinale, salvo suoi sperabili dinieghi. Non sappiamo se lui volesse davvero andar via come ha finora detto o se non fosse disponibile solo a protrarre il mandato di un annetto per scaldare il posto a Draghi; e invece non si tira indietro se la platea dei parlamentari, a larga maggioranza, lo richiama sul palcoscenico per il bis. Lo vedremo. A me la sua riconferma sembra negativa, anzi avvilente, per ragioni oggettive e soggettive, ovvero sia per il quadro generale delle istituzioni, sia per quel che è stato Mattarella al Quirinale.
Le ragioni oggettive sono lo stallo e la miseria di un Paese che non riesce a uscire dalla situazione in cui è, e di un Parlamento minorenne, per non dire di peggio, che non ha le chiavi di casa e non sa fare un passo senza i genitori, non riesce a trovare un’altra figura per il Quirinale; non sa darsi un futuro che non sia la prosecuzione automatica del presente; non conosce libertà ma solo soggezione al potere vigente, forever. Draghi qua Mattarella là, a oltranza. Un paese monarchico nel peggiore dei modi, per conformismo da gregge, non attaccato al valore della continuità simbolica e impersonale di una dinastia ma alla perpetuazione degli assetti politici eurosinistri e al feticismo verso una persona che non è certo un Cavour o un De Gasperi, e che era un gregario di seconda fila nella prima repubblica.
Un paese statico senza essere stabile, conformista per viltà e servilismo e per mantenere gli stessi posti a ogni livello.
La sua rielezione è stata una prova ulteriore dell’arroganza mascalzona della sinistra che dopo aver finto di accettare il ruolo di esploratore (o kingmaker) di Salvini e dopo aver finto di valutare candidature provenienti dall’altro schieramento, ha poi bocciato tutte le figure che di destra propriamente non erano ma che pur provenendo da uno schieramento (come tutti i presidenti della repubblica precedenti, Mattarella e Napolitano inclusi) avevano tuttavia coperto ruoli istituzionali o pubblici con dignità, senza spirito di parte. Ma è la dimostrazione che ormai tutti gli italiani hanno capito: non sarebbe mai piaciuto uno che non provenisse dai loro ranghi e dalle loro indicazioni. Se non è dei loro, e se non è deciso da loro, non è super partes. Si identificano a tal punto con l’establishment che sono loro a certificare chi è, e chi non è supra partes e adatto al ruolo presidenziale. L’unico criterio guida è la Stasi, cioè lasciare al potere chi è già al potere. Più la finzione scenica che il Paese a gran voce, all’unanimità, salvo la Meloni e il suo partito (onore a loro, va detto), richiede Mattarella. Non è così, il paese è spaccato, nonostante il lavaggio del cervello massiccio di ogni giorno. E si allontana ancor più dalla politica, con nausea.
Detto questo, Matteo Salvini ha giocato male anche questa partita, ed ha sbagliato ad andare alla conta sapendo di perdere, e in quel modo poi, con la seconda carica dello Stato. Ed ha finito chinando la testa su Mattarella. Ma è stata davvero insopportabile la supponenza di Letta nei suoi dinieghi e del coro che lo ha accompagnato.
Resta l’immagine fallimentare dei tre protagonisti principali della settimana bianca al Quirinale: Letta, Conte e Salvini si sono mostrati inadeguati e ancora una volta è emerso che il più sveglio nel pollaio resta Matteo Renzi, piaccia o non piaccia.
Ma a parte le ragioni di ordine generale, Mattarella non è stato né un arbitro sopra le parti né un garante, e tutto quel che ha fatto ha sempre coinciso con la volontà e l’interesse del suo partito di provenienza, il Pd, e del sorvegliante, il Padronato europeo. È stato l’interprete di una nuova stagione del catto-comunismo, o del catto-sinistrismo di casta e di potere, pur nella mimesi andreottiana-democristiana. Sul piano dell’azione non ha mai detto una parola critica verso i poteri forti, non ha mai difeso l’Italia e la sovranità nazionale quando c’era da dire qualcosa che potesse divergere dall’Unione europea e dall’Alleanza atlantica.
Non ha mai detto nulla sulla deriva liberticida in atto nel nostro Paese, sul regime di restrizioni e di violazioni dei diritti costituzionali che si è instaurato, non ha difeso mai le minoranze discriminate (si è solo accodato a tutelare le altre minoranze protette). Non ha mai osato toccare la Magistratura neanche quando essa si autodiscreditava in modo clamoroso, coinvolgendo anche il Csm di cui lui è pure il presidente. Ha posto veti su personaggi sgraditi a lui e all’establishment (il caso Paolo Savona a Palazzo Chigi è esemplare).
Sul piano dei valori Mattarella è stato la traduzione in borghese del papato di Bergoglio e dei suoi temi. Sul piano storico si è dimenticato degli orrori del comunismo ma non ha mai mancato le celebrazioni degli orrori del “nazifascismo”, arrivando a dire – con un negazionismo che offende la storia, la realtà e il comune buon senso – che il fascismo non ha avuto alcun aspetto positivo, è dunque solo Male Assoluto (non lo diremmo di nessun fatto storico, nemmeno del comunismo).
Poi, certo, Mattarella ha avuto garbo istituzionale, senso della misura e del decoro, non è mai andato oltre le righe. È stato il Custode del Palazzo e di tutti gli assetti dell’establishment, ha ripetuto i luoghi comuni del politically correct, fino all’ovvietà e alla narcosi. Sette anni sono lunghi da passare, ma dopo averli passati, immaginarne altri sette così è un supplizio dantesco.

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