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Essere snob è un passepartout per i vuoti salotti di sempre

Rafaël Glucksmann: “C’è il vezzo diffuso di prendere una posizione apparentemente nobile, controcorrente, e che fa sentire più intelligenti e profondi. Molto narcisismo” (Corriere della Sera, 15 marzo 2022, p. 19). A proposito: scriveva Simone De Beauvoir: “‘Il senso comune è la cosa al mondo meglio distribuita’. La destra non potrebbe ammettere un’affermazione così grossolanamente democratica”. Il tutto, per la compagna di Jean-Paul Sartre, avverrebbe all’insegna del “distinguersi ancora, distinguersi sempre”; di conseguenza “soltanto l’eletto si realizza come persona”. Forse si evince che essere “una persona distinta’ implica il rifiuto del prossimo? Philip Swallow (in: David Lodge, Small world: an academic romance) spiega che non potendo egli stesso capire il proprio libro, non può pretendere che la gente comune lo capisca. “È per quello che l’ho scritto” confessa il tapino. Tutto questo va bene finché si tratta di Michel Foucault o di Jacques Derrida, oppure quando ci si rifà (senza saperlo?) ad Hannah Arendt, e non dico dove, perché amo i misteri. Dopodiché, la stagione venatoria torna sempre e, se nei manieri troviamo le splendide teste dei cervi, non possiamo sapere (lo sanno soltanto i mostri descritti in The Origins of Totalitarianism) cosa vi sia nei salotti dell’upper class: tutta la testa o soltanto le corna?

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