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In Italia siamo praticamente militarizzati, ma la malavita se ne frega… con un primato mandrogno

di Max Corradi – Le forze di polizia italiane – intese come l’insieme dei quattro corpi di Carabinieri, Polizia, Penitenziaria e Gdf – sono davvero impegnate in una lotta sproporzionata contro il crimine? Ed è vero che negli altri Paesi si investono molte più risorse per questi capitoli, garantendo ai cittadini un dispiego di forze a presidio del territorio ben maggiore? Le cose, viste con l’occhio dei numeri, non vanno esattamente così. A fare chiarezza sul nostro settore della sicurezza è stato nel 2019 l’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica di Milano, guidato da Carlo Cottarelli. In uno studio siglato dai ricercatori Stefano Oliveri e Fabio Angei, si scopre infatti che il numero di appartenenti alle forze di polizia ogni 100.000 abitanti è tra i più alti in Europa. Nel 2017 – quindi dopo la riforma Madia che ha fatto passare i Forestali sotto i Carabinieri, riducendo da cinque a quattro i corpi statali – si contavano circa 306.000 unità. Un rapporto tra personale delle forze dell’ordine e popolazione da primato: su 35 Paesi considerati, l’Italia occupa l’ottava posizione, con 453 unità ogni 100.000 abitanti (uno ogni 220 italiani) contro una media europea di 355. I principali paesi europei paragonabili all’Italia si trovano a valori nettamente più bassi: il Regno Unito è a 211, la Francia a 320, la Spagna a 361 e la Germania a 297. Se anche si volesse tenere in considerazione la diversa presenza di reati da combattere, l’Italia non sembra a corto di forze: se abbiamo l’11,7% di reati per 100.000 abitanti in più della media Ue, il numero del personale delle forze dell’ordine supera la media del 27,6%. Anche la spesa di 1,3 punti percentuali di Pil è ben sopra la media (0,9 per cento) continentale. Alla luce di questi dati, invece di far funzionare le forze dell’ordine, abbiamo deciso di assumere altra gente. Col decreto del 4 settembre 2019 si pensa all’assunzione a tempo indeterminato di nuovo organico da inserire nelle forze dell’ordine. Oltre a nuove assunzioni dovute al naturale turnover, si prevede l’assunzione complessiva di 11.192 unità (4.538 per l’Arma dei Carabinieri, 3.314 per la Polizia di Stato, 1.900 per la Guardia di Finanza; 1.440 per la Polizia Penitenziaria).
La verità è che non abbiamo pochi addetti alle forze dell’ordine e che non spendiamo troppo poco per la sicurezza, anzi.
Ad Alessandria le cose non vanno diversamente ma, soprattutto, la nostra città vanta un record da dimenticare, quello del Generale Francesco Delfino (1936 – 2014, nella foto) comandante della legione carabinieri della provincia. Chi era il Generale Delfino? Già al comando della Legione carabinieri di Alessandria, promosso generale di brigata assumeva nel 1992 il comando della Regione carabinieri Piemonte-Valle d’Aosta con sede a Torino. Nel 1994 passava al comando del secondo servizio della direzione centrale antidroga e di qui al Centro Alti Studi per la Difesa. Infine, divenuto generale di divisione, dopo aver ricoperto per qualche mese la carica di vice ispettore delle scuole dell’Arma dei carabinieri, dal 14 settembre 1996 ne diveniva ispettore.
Ebbene il nostro comando provinciale dei carabinieri vanta il triste primato di un comandante finito in galera. Siamo nell’ottobre del 1998 e proprio l’alessandrino Generale Delfino era condannato dal Tribunale di Brescia (giudice Anna Di Martino) a tre anni e 4 mesi di reclusione per truffa aggravata e tentata truffa aggravata. I sostituti procuratori Salamone e Masini col procuratore capo Tarquini in aula, avevano addirittura chiesto per il generale di Alessandria una condanna a 8 anni di reclusione compresa la riduzione di un terzo della pena prevista col rito abbreviato. Il carabiniere di Alessandria era imputato per concussione e tentata concussione ai danni di Giuseppe Soffiantini, in relazione al miliardo ottenuto e alla seconda richiesta di 700 milioni di Lire – poi rifiutata dalla famiglia dell’imprenditore bresciano – al falso scopo, secondo l’accusa, di facilitare la liberazione dell’ostaggio.

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