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Contro la siccità tappare subito le falle e creare una rete di distribuzione intelligente, il dissalatore può attendere

di Giusto Buroni – Ad ogni “allarme-siccità” gli “esperti” si affrettano a colpevolizzare la gente che deve già scontare “delitti contro il clima”, indicati come causa prima anche della siccità. Così i “comuni cittadini”, per un complesso di colpa ormai emisecolare, lieti di essere chiamati di nuovo in causa, recitano il “mea culpa” e, in segno di buona fede e di volontà di redimersi, escogitano mille modi di centellinare il prezioso “oro blu”, disposti a sostituire l’acqua con la pipì dei colleghi, come hanno loro spiegato ripetutamente (e male) che avvenga sulla Stazione Spaziale Internazionale. Giornali e TV pubblicano più che volentieri le manifestazioni di autolesionismo, che, confermando la sottomissione dei sudditi, scagionano del tutto le “Proprietà” e i “Potentati” da cui ottusamente (o servilmente) esse dipendono. E, ogni volta che questo accade, i sempre più sparuti cittadini intellettualmente e moralmente indipendenti si devono sforzare di spiegare i fenomeni fisici che portano alla calamità del momento, il modo di impiegarli a proprio favore, e gli accorgimenti per sottrarli al controllo e allo scempio da parte dei suddetti Potentati. Rieccoci dunque a parlare di siccità con minaccia di desertificazione in un Paese, come l’Italia, situato a latitudini “temperate” e con orografia e idrografia favorevoli, da millenni, all’esistenza di una Civiltà Umana.
Sul territorio italiano, una bella penisola che di prolunga nel tranquillo Mare Mediterraneo, certamente da molte migliaia di anni l’acqua “dolce” percorre il suo ciclo completo “naturale”: precipita come pioggia o neve, scende le valli, convogliata da fiumi, e sbocca nel mare, da cui ri-evapora (e così di seguito, giorno dopo giorno, anno dopo anno). È improprio (e idiota) chiamare “sprecata” (o persino “consumata”) l’acqua che si usa per bere, lavarsi, cucinare, innaffiare o anche solo rinfrescarsi (fontane pubbliche). Se non la intercetto io per queste innocenti “attività antropiche”, la intercetterà un altro nella sua corsa verso il mare, e sarà giusto chiamare “sprecata” proprio quell’acqua che, arrivando al mare avrà speso solo l’”energia potenziale” della sua “caduta”, e nessun’altra delle sue innumerevoli “qualità vitali”. Insomma: avere l’acqua e non sfruttarla, o addirittura proibire di usarla, è segno di inciviltà (prodotta da volgare ignoranza). Allora l’uso corretto dell’acqua consiste nella regolazione della sua discesa dai monti al mare e non nel suo razionamento, specialmente quando è ormai a fondo valle. In Italia il “Riscaldamento Globale”, qualunque sia la sua causa, sta riducendo il volume dei grandi “accumulatori”, o serbatoi, costituiti dai ghiacciai, esposti a Sud, che liberavano l’acqua nei mesi caldi in quantità più che sufficiente, e quindi senza necessità di “modulazione”. La portata dell’acqua che dal cielo, attraverso monti e valli, si riversa in mare pare che si sia ridotta negli ultimi decenni, tanto che porzioni sempre più grandi di territorio restano per qualche giorno all’anno all’asciutto. Ma, fatti i conti, si trova che l’acqua sarebbe sufficiente se fosse correttamente distribuita, per mezzo di una “rete” (di questi tempi “intelligente”), in gran parte già consolidata nei millenni e perfezionata negli ultimi due secoli. La situazione, non ancora tragica, può e deve dunque essere migliorata; e immediatamente, senza concedere, secondo la moda corrente dei piani per la riduzione di emissioni inquinanti, 10 o 20 anni. Si calcola, senza smentite, che addirittura la metà dell’acqua dolce in Italia non raggiunga le destinazioni a cui è indirizzata, a causa di perdite (falle) ma anche di “prelievi abusivi” (non meglio definiti). Occorre dunque anzitutto neutralizzare una buona volta chi da decenni impedisce la manutenzione delle condutture (e ne intasca gli stanziamenti). e, insieme, sventare gli abusi: non basta punirli “simbolicamente”: bisogna combatterli decisamente, con sistemi di sicurezza e monitoraggio. Nel contempo, e riducendo le lungaggini burocratiche, si provvederà a potenziare i numerosi serbatoi costituiti dai bacini idrici naturali (laghi) e artificiali (le centrali idroelettriche azionate da questi bacini forniscono quasi un terzo dell’energia necessaria alla Nazione), di costruirne altri, ovunque sia possibile e conveniente (senza badare troppo all’”impatto ambientale”, ormai stravolto dalle pale eoliche e dai pannelli solari), e di organizzarne le reti di comunicazione e di comando (per lo più esistenti, a causa dell’uso secolare che se ne fa per distribuire energia elettrica), per mezzo di sistemi “intelligenti”, esattamente, appunto, come si è imparato a fare per la distribuzione elettrica. Occorre quindi smetterla di nascondersi dietro la scusa dello scioglimento dei ghiacciai e di ricominciare a usare cervelli e denaro per realizzare un grande progetto di pubblica utilità, che certamente rispetta tutti i requisiti di sostenibilità e ecologia e sicuramente porterà vantaggi anche al clima. Si noterà tuttavia che i provvedimenti suggeriti non implicano sviluppi di nuove tecnologie e che la nuova “rete intelligente” è senz’altro alla portata di gruppi di lavoro delle rinomate Università italiane. Questa mancanza di “innovatività” potrebbe essere un ostacolo in un momento in cui tutti i governanti capiscono bene che “si devono spendere solo i soldi del PNRR” (che finanzia solo progetti “innovativi”); ma in Italia non mancano certo i manager che, come Descalzi, riusciranno a far passare per “acqua pesante”, su cui condurre ricerche, anche quella che viene da qualche fonte minerale della Valle Brembana, e così anche il PNRR sarà soddisfatto.
E a questo proposito mi nasce il sospetto che già si facciano forti pressioni per fare approvare, nell’ambito della lotta contro la siccità, l’acquisto di svariati “desalinizzatori” che sono quel genere di impianti misteriosamente complessi e inutili, dal prezzo incontrollabile dalle leggi di mercato (tutti prototipi), che perciò fanno gola alla Mafia. Un toccasana per i Paesi Equatoriali in gran parte desertici, che il problema della scarsità di acqua (potabile) lo hanno in ogni giorno dell’anno, i “Dissalatori” sono impianti che durante il funzionamento richiedono la presenza di personale specializzato, che in Italia, dove la siccità è pur sempre evento eccezionale, starebbe con le mani in mano per oltre sei mesi all’anno. Ma “provvidenzialmente” i nostri ricercatori (CNR) hanno individuato, nei nostri mari, un “nuovo” problema legato alla siccità da Riscaldamento Globale, che si chiama “Cuneo Salino”. È notevole e (bi)giornaliero sulle coste occidentali nord europee (latitudine di Mont Saint Michel), ma in Italia sussisterebbe solo per qualche giorno all’anno in periodi di forte siccità. Si tratta, in parole semplici, del fenomeno per cui in alcune località costiere e specialmente durante l’alta marea il livello del mare supera quello del flusso dei fiumi e quindi acqua salata percorre per molti chilometri all’inverso il letto dei fiumi in secca, lasciando senza fiato il turista occasionale, perché, essendo l’acqua dolce meno densa di quella salata, mentre risale il letto del fiume l’acqua di mare porta sopra di sé un (sottile) strato di acqua dolce che tende a scivolare verso il mare. Si intuisce una certa turbolenza negli strati di acqua (dolce e salata) coinvolti nel fenomeno. Soprattutto, se la falda o la foce interessate dal fenomeno fanno parte della rete di fornitura di acqua potabile o di irrigazione di colture agricole, c’è da temere l’inquinamento da acqua salata fino a una distanza dalla costa, come si è detto, di diversi kilometri, il che farebbe prendere in considerazione uno o più impianti “dissalatori” per fare sì che il “cuneo salino” diventi innocuo per le coltivazioni o per l’acqua potabile. A me sembra però che una rete idrica ben progettata potrebbe permettere di isolare temporaneamente i tratti di impianto affetti da “cuneo salino”, possibilmente sostituendoli con acqua dolce “pulita” proveniente da altre maglie della rete. Quello che mi sembra certo è che il dissalatore debba essere posto in coda alle priorità sopra indicate riguardanti le perdite nelle condutture e la costruzione di reti intelligenti di controllo dei flussi. E, se queste priorità non sono “innovative” tanto meglio, perché saranno meno care e più utili del “prototipo di dissalatore”.

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