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Segre vuole togliere la fiamma da Fdi: ma suo marito la utilizzò con Almirante

Roma (Giuseppe Vatinno di Affari Italiani) – La senatrice a vita Liliana Segre chiede a Giorgia Meloni di togliere la fiamma tricolore dal simbolo di Fratelli d’Italia e quindi piombando in campagna elettorale dichiara: “Nella mia vita ho sentito di tutto e di più, le parole pertanto non mi colpiscono più di un tanto. A Giorgia Meloni dico questo: inizi dal togliere la fiamma dal logo del suo partito”. Dietro l’intervento a gamba tesa c’è il tentativo di creare una connessione diretta tra Benito Mussolini e Giorgia Meloni, al fine di spaventare gli elettori, soprattutto i moderati, ma anche l’opinione pubblica internazionale. Una richiesta che ha provocato ampia reazione nel centro – destra. Ignazio La Russa ha risposto alla senatrice in maniera netta e senza ambiguità di sorta ribadendo che: “La destra italiana ha consegnato il fascismo alla storia ormai da decenni, condannando senza ambiguità la privazione della democrazia e le infami leggi anti-ebraiche”. La Segre spesso attacca frontalmente quelli che lei ritiene eredi diretti del fascismo, ma dimentica di avere anche lei uno “scheletro nell’armadio”, rappresentato dal fatto che suo marito, l’avvocato Alfredo Belli Pace, si candidò nel 1979, alla Camera dei Deputati con Giorgio Almirante sotto il simbolo del Movimento sociale italiano (Msi). Come fa anche notare La Russa, il simbolo del Msi, era allora proprio quella fiamma tricolore che ora la senatrice a vita chiede a Giorgia Meloni di togliere. La Russa ricorda inoltre che Alfredo Belli Pace lo aveva conosciuto personalmente e ne aveva apprezzato le idee e l’agire in coerenza con l’ideologia del partito. La Segre non ha mai chiarito bene questo aspetto della sua vita che la vide giovinetta essere deportata nel campo di concentramento di Auschwitz – Birkenau. Ma quando il marito si candidò con Almirante, immaginiamo si facesse chiamare anche “camerata”, come era in voga in quell’area politica. Allora a lei quella fiamma tricolore, quel nome evocativo, “camerata”, non dava fastidio, non le ricordava l’Olocausto e il dramma collettivo di un intero popolo a cui ella apparteneva? O si tratta di una di quelle “fiamme intermittenti” da accendersi o spegnersi a seconda dell’interesse personale del momento?

 

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