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Le carceri italiane non funzionano per colpa dei carcerati?

di Andrea Guenna – Bisogna capire perché nelle carceri italiane aumentano in modo preoccupante i casi di violenza.
Cosa c’è che non va?
Perché, è del tutto evidente che qualcosa non va.
Sono inadatte, piccole, anguste e gli agenti sono brutali, o i carcerati si comportano come Tarzan a New York?
O entrambe le cose?
L’ultimo episodio è di ieri ad Alessandria dove al Don Soria un agente è stato colpito da un carcerato con una bombola del gas – utilizzata dai detenuti nelle celle – riportando ferite giudicate guaribili in dieci giorni. Dato per scontato che non tutti i carcerati sono dei gentleman come furono Fr  Andrea Vochieri o Fr  Silvio Pellico, è opportuno interrogarsi sulla professionalità degli agenti, sulla carenza delle strutture e sull’efficacia della magistratura.
Siccome di mestiere faccio il cronista e non sono dalla parte di nessuno se non della Verità che inseguo da una vita come se fosse una bella donna, bisogna dire che, oltre alle botte prese dagli agenti di custodia, ci sono anche i suicidi dei carcerati.
Sono stati 85, nel 2022, quelli accertati nelle carceri italiane. Di questi, 5 sono avvenuti in Piemonte: 4 a Torino e 1 a Saluzzo. Sono 6, a livello nazionale, quelli già verificati nel 2023.
Anche per questo m’ha colpito la lettera d’un detenuto straniero rinchiuso nel carcere di Alessandria San Michele, giunta in redazione.
La cosa m’ha toccato perché comprendo la disperazione di chi, lontano dalla sua Patria, viene sbattuto in galera perché – forse – per sbarcare il lunario ha spacciato un po’ di bamba.
Noi sbattiamo dentro chi la vende e ci inchiniamo davanti a chi la compra.
Com’è strano il mondo.
Il nostro amico ci scrive: “Spero che possiate in qualche modo darmi una mano perché in questo carcere stanno praticamente calpestando i miei diritti”.
E mi viene in mente questa Parabola: “Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. Ma all’alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?
Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo.
Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei. E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo.
Alzatosi allora Gesù le disse: donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata? Ed essa rispose: nessuno, Signore.
E Gesù le disse: neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”
(Giovanni; 8 – 1:11).
Un ricordo, è solo un ricordo, ma importante.
E quel nostro fratello detenuto a San Michele – giustamente per carità – ci scrive: “Ho fatto domanda per poter parlare col direttore del carcere il 17 agosto 2022 ma fino a oggi non ho avuto risposta. Dal primo febbraio ho dichiarato di protestare pacificamente con lo sciopero della fame ma continuano a negare i miei diritti di poter avere assistenza consolare e di avvisare il mio consolato sulle mie condizioni di salute. Ma loro [gli agenti di custodia, n.d.r.] mi trattano come se fossi un animale”.
Non credo che questo amico faccia il furbo, ma credo che nelle carceri italiane qualcosa non funzioni.
E non certo per colpa di carcerati.

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