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Attualità e inattualità di Jules Isaac

Emanuele Calò (Osservatorio Enzo Sereni) – Jules Isaac (1877-1963) eminentissimo storico, dopo l’Olocausto si interroga sull’antisemitismo, individuandone la causa principale nell’antisemitismo cristiano (nella foto l’incontro del 13 giugno 1960 tra Papa Giovanni e Jules Isaac). Dal Portale PARS: Tra il 30 luglio e il 5 agosto del 1947, a Seelisberg, cittadina svizzera del Canton Uri, si svolse una Conferenza internazionale contro l’antisemitismo (Conférence d’urgence contre l’antisémitisme) a cui presero parte alcuni rappresentanti ebrei e circa un centinaio di delegati cristiani di diverse confessioni provenienti da una ventina di paesi. I lavori della conferenza erano coordinati dal celebre storico francese Jules Isaac e dal gran rabbino di Francia Jacob Kaplan. Al termine del confronto, fu stilato un documento in dieci punti passato alla storia col nome della località in cui ebbe luogo la Conferenza, che in seguito sarebbe stato considerato come la Magna Carta del dialogo ebraico-cristiano.
Il decalogo di Seelisberg:

  1. Ricordare che è lo stesso D-o vivente che parla a tutti noi nell’Antico come nel Nuovo Testamento.
  2. Ricordare che Gesù è nato da una madre ebrea, della stirpe di Davide e del popolo d’Israele, e che il suo amore e il suo perdono abbracciano il suo popolo e il mondo intero.
  3. Ricordare che i primi discepoli, gli apostoli, e i primi martiri, erano ebrei.
  4. Ricordare che il precetto fondamentale del cristianesimo, quello dell’amore di Dio e del prossimo, promulgato già nell’Antico Testamento e confermato da Gesù, obbliga cristiani ed ebrei in ogni relazione umana senza eccezione alcuna.
  5. Evitare di sminuire l’ebraismo biblico nell’intento di esaltare il cristianesimo.
  6. Evitare di usare il termine “giudei” nel senso esclusivo di “nemici di Gesù” o la locuzione “nemici di Gesù” per designare il popolo ebraico nel suo insieme.
  7. Evitare di presentare la passione in modo che l’odiosità per la morte inflitta a Gesù ricada su tutti gli ebrei o solo sugli ebrei. In effetti non sono tutti gli ebrei che chiesero la morte di Gesù. Né sono solo gli ebrei che ne sono responsabili, perché la croce, che ci salva tutti, rivela che Cristo è morto a causa dei peccati di tutti noi. Ricordare a tutti i genitori e educatori cristiani la grave responsabilità in cui essi incorrono nel presentare il Vangelo e soprattutto il racconto della passione in un modo semplicistico. In effetti, essi rischiano in questo modo di ispirare, lo vogliano o no, avversione nella coscienza o nel subcosciente dei loro bambini o uditori. Psicologicamente parlando, negli animi semplici, mossi da un ardente amore e da una viva compassione per il Salvatore crocifisso, l’orrore che si prova in modo così naturale verso i persecutori di Gesù, si cambierà facilmente in odio generalizzato per gli ebrei di tutti i tempi, compresi quelli di oggi.
  8. Evitare di riferire le maledizioni della Scrittura ed il grido della folla eccitata: “che il suo sangue ricada su noi e sui nostri figli”, senza ricordare che quel grido non potrebbe prevalere sulla preghiera infinitamente più potente di Gesù: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”.
  9. Evitare di dare credito all’empia opinione che il popolo ebraico è riprovato, maledetto, riservato a un destino di sofferenza.
  10. Evitare di parlare degli ebrei come se essi non fossero stati i primi ad appartenere alla chiesa.

Jules Isaac, lodevolmente, anziché cimentarsi nel mero contrasto, si impegna dal punto di vista teorico nello studio e dal punto di vista, diciamo, pratico, si impegna nel fondare l’Amicizia ebraico cristiana. Un’efficace sintesi del suo insegnamento potrebbe rinvenirsi nell’individuazione della nozione di disprezzo (vedi Jules Isaac, “L’enseignement du mépris” (Fasquelle, Paris, 1962; edizione italiana: Verità e mito Il dramma ebraico al vaglio della storia, Carabba, Roma, 1965). Isaac ne aveva riferito a Papa Roncalli: “Per prima cosa espongo la parte più importante della mia conferenza alia Sorbona dimostrando come si e andato gradatamente formando quello che ho chiamato ‘ l’insegnamento del disprezzo» tuttora esistente. Fortunatamente, aggiungo, esiste una contro-corrente di cristiani illuminati che si va rinforzando di giorno in giorno. Fra queste due tendenze contrarie, l’opinione cattolica resta divisa, perplessa. Ecco perché è indispensabile che una voce si faccia sentire dall’alto, dal cosi detto ‘ vertice la voce del Capo della Chiesa per condannare solennemente questo ‘insegnamento del disprezzo ‘ nella sua essenza anticristiana” ; così Jean Toulat, Ebe Finzi; Una Visita a Jules Isaac, La Rassegna Mensile Di Israel, vol. 38, no. 11/12, 1972, p.553.
Prima della venuta di Cristo, la Diaspora era un fatto compiuto (cit., p. 69) scrive Isaac, onde sfatare il mito della dispersione degli ebrei quale punizione per il mancato riconoscimento del Messia e/o per il c.d. deicidio. A quest’ultimo riguardo, Isaac contesta l’immagine evangelica di Ponzio Pilato, che lo ritrae come compassionevole, al cospetto delle testimonianze storiche dalle quali emerge come un assassino efferato (cit., p. 127). Parimenti, Isaac confuta la tesi che attribuisce all’ebraismo dei tempi di Gesù la connotazione di un “legalismo senz’anima” (cit., p. 79 ss.).  Quanto al “deicidio”, Isaac asserisce che i crocifissori erano i romani, mentre i crocifissi erano gli ebrei (cit., p.121; Varo, legato di Siria, obbligato ad intervenire in Giudea, aveva fatto crocifiggere duemila ebrei (p. 119).). L’antisemitismo cristiano sarebbe stato l’unico modo di giustificare la mancata conversione degli ebrei, ai quali la nuova dottrina era destinata (Jules Isaac, Has anti-semitism roots in Christianity? National Conference of Christians and Jews, N.Y. 1961, p. 54 ss.).Ormai appare datato, il tutto, sostituito talvolta a livello diffuso, da una  visione pauperistica, cospirativa, terzomondista e populista, dove lo spazio per la ragione è rinviato a tempi migliori, mentre le posizioni della Chiesa appaiono per fortuna ancora attestate sul dialogo con l’ebraismo. Nondimeno, appare ancora necessario ribadire, con Isaac, che “un vero cristiano non può essere antisemita” (Verità e mito, cit., p. 25 ss.).
Non saremo noi ad impegnarci in questioni teologiche, per manifesta pochezza, il che non toglie che la mancata conoscenza dei Vangeli da parte di tanti cristiani non è certo d’aiuto alla causa della fraternità, ancorché Isaac ne contesti l’esattezza storica, quali opere di catechesi e di insegnamento religioso (Isaac, Verità e mito, cit., p. 122 ss ).  Scrive Massimo Giuliani: “Fin dal 1942, a dire il vero, Isaac aveva iniziato a leggere le Scritture cristiane scoprendo che esiste una discrepanza tra  la verità storica e il lascito della tradizione , tra mito popolare e fatti narrati nei testi. Nel Carnet du lépreux, Il quaderno del lebbroso come ormai si considerava dopo il 1940 troviamo scritto: “Ho letto i vangeli (. . .) e avendoli letti, scrutati , onestamente e meticolosamente, per quel che riguarda Israele e la posizione di Gesù in rapporto a Israele, sono arrivato alla conclusione che la tradizione ricevuta non quadra con il testo evangelico, che essa deborda da ogni parte. Sono giunto cioè alla convinzione che tale tradizione, insegnata per centinaia e centinaia di anni e tramandata per mezzo di migliaia e migliaia di voci, sia stata l’origine primaria e permanente dell’antisemitismo, la matrice potente e secolare sulla quale tutte le altre varietà di antisemitismo, anche le più divergenti, sono venute innestandosi”. Così Isaac scopre che l’insegnamento del disprezzo degli ebrei nelle chiese è un tradimento dei Vangeli” (SeFeR, 144, Ottobre Dicembre 2013).
Jules Isaac pone fra le basi dell’antisemitismo cristiano la mancata conoscenza e l’incomprensione dei Vangeli (op. ult. cit., p. 171) come  dire che per non essere antisemita un cristiano dovrebbe conoscere non tanto gli ebrei quanto se stesso. Queste conclusioni scaturiscono anche dall’esperienza di chi scrive, e portano a porsi una domanda: perché i Vangeli, un testo fondamentale anche per chi non è cristiano, sono oggetto di una così diffusa ignoranza? Se per ragionare bisogna conoscere, l’accantonamento dei testi non può che essere di nocumento. Nelle Scritture disponibili sul sito vaticano, Gesù è chiamato Rabbino tredici volte: siamo sicuri che ciò sia privo di significato?

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