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Tra le tante cose, cinque parole e un vino in nome del Vate

Roma (Alice Figini) – Gabriele D’Annunzio ha creato dei veri e propri neologismi entrati nell’italiano corrente? Diverse parole inventate dal poeta vate sono entrate di diritto nell’italiano standard, divenendo parte del nostro lessico quotidiano. Se oggi diciamo ad esempio “tramezzino”, “automobile”, “scudetto”, siamo debitori all’autore de La pioggia nel pineto.
Il contributo alla lingua italiana del poeta vate non si è limitato solamente all’ambito letterario, ma ha influenzato anche quello linguistico. Aderendo alla politica linguistica del fascismo, D’Annunzio contribuì lui stesso in prima persona all’invenzione di nuove parole ed espressioni linguistiche.
Prima di entrare nel merito, una curiosità: tra i neologismi coniati da Gabriele D’Annunzio troviamo anche nomi propri di persona, come Cabiria e Ornella, derivati da alcune sue celebri opere. Fu sempre lui a battezzare con il nome di Liala, la celebre scrittrice di romanzi rosa Amalia Liana Negretti Odelaschi.
Ma l’aspetto più sorprendente dell’innovazione linguistica di Gabriele D’Annunzio è che il poeta non si limitò solamente all’ideazione di vocaboli letterari o nomi di personaggi, ma battezzò persino oggetti di uso comune e, in apparenza, totalmente estranei al mondo della letteratura.
Scopriamo insieme alcuni vocaboli creati dal vate (scommetto che non sarete più in grado di mangiare un tramezzino, da ora in poi, senza pensare a D’Annunzio).

Le parole inventate da Gabriele D’Annunzio entrate nel vocabolario

  • Automobile
    Non fu propriamente D’Annunzio a creare la parola “automobile”, ma fu il poeta vate a dare al termine il genere femminile. Ricordiamo che ci troviamo nei primi anni del Novecento, quando in Italia l’invenzione meccanica e assolutamente tecnologica della “vettura a motore a quattro ruote” costituiva ancora una novità.
    L’origine della parola automobile derivava dal francese, che aveva mutuato il prefisso greco auto, per indicare “da sé stesso”, unendolo all’idea di mobile e di mobilità; inizialmente il termine veniva usato come oggettivo, a fine Ottocento tuttavia arrivò a designare la tipologia di vettura. In Italia, però, la parola era declinata al maschile: da anni si dibatteva la questione, se fosse di genere maschile o femminile. Nel primo manifesto del Futurismo la parola era declinata al maschile: un automobile.
    Fu Gabriele D’Annunzio a stabilire una volta per tutte, attraverso una lettera inviata a Giovanni Agnelli nel 1926, che automobile era femminile.
    Il vate risolse la questione linguistica, in questi termini (spoiler alert: misoginia e maschilismo a livelli estremi):
    L’Automobile è femminile. Questa ha la grazia, la snellezza, la vivacità di una seduttrice; ha inoltre una virtù ignota alle donne: la perfetta obbedienza.
    Ma, per contro, delle donne ha la disinvolta levità nel superare ogni scabrezza.
  • Tramezzino
    Fu sempre D’Annunzio a italianizzare l’inglesismo “sandwich”, perché il vate era contrario all’uso della terminologia anglosassone e sosteneva l’utilizzo della lingua italiana contro ogni genere di forestierismo.
    Leggenda narra che, dopo aver gustato il famoso sandwich in un locale di Torino, il Caffè Mulassano di Piazza Castello di proprietà di Angela Demichelis Nebiolo (era stata la donna a portare in Italia il “sandwich”, da lei scoperto durante un viaggio in America, Ndr), D’Annunzio avesse stabilito di chiamarlo tramezzino perché la forma a triangolo del panino gli rammentava il tramezzo della casa di campagna della sua infanzia. Al caffè Mulassano di Torino, ancora oggi, sono disponibili più di trenta varietà diverse di “tramezzino”.
    Una curiosità: D’Annunzio cercò di italianizzare anche il francesismo cognac, chiamandolo “arzente”, ma questo termine, a differenza di tramezzino, non ebbe molta fortuna.
  • Scudetto
    Anche il termine sportivo “scudetto” fu coniato da Gabriele D’Annunzio. L’idea venne al vate dopo una partita di calcio amatoriale disputata durante l’occupazione di Fiume, il 7 febbraio 1920. Pare che il poeta fosse un appassionato di calcio, fin da ragazzino era solito improvvisare delle partite estive sulla spiaggia di Francavilla vicino alla sua natia Pescara.
    In quell’occasione sulle maglie dei giocatori-militari D’Annunzio decise di cucire, anziché uno scudo sabaudo, una sorta di targa ispirata ai colori della bandiera italiana. Da qui il classico triangolo di colore appuntato sulle divise dei giocatori, che prende il nome di “scudetto”. Qualche anno più tardi, nel 1924, gli organizzatori del Campionato Italiano di calcio si ispirarono proprio a quel simbolo di forma “sannitico antica” creato da Gabriele D’Annunzio. Fu deciso che la squadra avesse vinto il titolo di campione, nella stagione successiva avrebbe potuto porre uno “scudetto” sulla propria maglia.
  • Oro Saiwa
    Avete presente i biscotti “Oro Saiwa”? Ebbene, anche questa specialità dolciaria italiana deve il suo nome a Gabriele d’Annunzio, che di questi dolci era golosissimo.
    Il marchio dei celebri biscotti nacque nel 1922, quando la pasticceria genovese di via Galata di proprietà di Pietro Marchese ebbe un’esplosione commerciale divenendo la prima azienda italiana a produrre biscotti confezionati e una delle prime imprese dolciarie europee. Era stato Marchese, a inizio Novecento, a scoprire la ricetta dei biscotti, denominati “sugar wafer”, in Inghilterra e a decidere di importarli in Italia.
    In seguito all’inatteso boom commerciale, Marchese aveva bisogno di un nuovo nome per la sua “Società Accomandita Industria Wafer e Affini”. Fu D’Annunzio, con la sua abilità da pubblicitario, a coniare il termine “S.A.I.W.A.” per la nuova ragione sociale, derivato dall’acronimo delle iniziali del nome della società.
    Il nome dei biscotti Saiwa è quindi il frutto di una simpatica semplificazione linguistica.
  • Vigili del Fuoco
    In Italia i Vigili del Fuoco erano chiamati “pompieri”, nome derivato da un calco dal francese sapeur-pompier (da cui deriva il celebre detto “les pompiers sans peur”, reso in italiano da “Il pompiere paura non ne ha!” adottato come inno ufficiale, Ndr), almeno finché non ci mise lo zampino Gabriele D’Annunzio.
    Alla nascita del Corpo Nazionale per il servizio antincendio, nel 1935, fu il poeta vate a battezzarli “Vigili del Fuoco”, mutuando il termine dal latino vigiles (significa vigilare, sorvegliare, Ndr), con cui erano designate le organizzazioni paramilitari dell’Antica Roma, suddivise in sette coorti da sette centurie ciascuna. Il corpo dei vigiles fu istituito originariamente nel VI sec. d.C. dall’imperatore Ottaviano Augusto che per governare gli incendi e altre situazioni di allarme pubblico si serviva di un gruppo di circa mille schiavi che alloggiavano in caserme, denominate statio.

Gabriele D’Annunzio e la conservazione della lingua italiana
L’aspetto più curioso dei neologismi coniati da D’Annunzio è che per la maggior parte derivavano da un tentativo di non accogliere i termini stranieri, come anglicismi e francesismi; erano quindi il frutto di un’ideologia fortemente conservatrice, che non si apriva alla contaminazione e al dialogo con le culture straniere. Di contro molte “invenzioni” cui D’Annunzio aveva dato il nome, come l’automobile, il tramezzino, il biscotto Saiwa, erano nate proprio grazie al contatto con il diverso, con il nuovo.
Insomma, per quanto oggi possiamo apprezzare vocaboli che usiamo correntemente, non possiamo non attualizzare in negativo lo spirito linguistico conservatore di D’Annunzio che appare in perfetta antitesi con i nostri tempi contemporanei.
Oggi si calcola che dal 1990 a oggi, gli anglicismi nella lingua italiana sono passati da circa 1.700 a 4.000. Probabilmente alla notizia D’Annunzio avrebbe un mancamento, vedendolo come un attentato alla lingua italiana. In realtà anche le parole si fanno specchio riflesso di un mondo in evoluzione e oggi la battaglia contro i forestierismi è una causa persa, perché non si possono arginare né costringere i confini delle parole, così come quelli del pensiero.
Nei neologismi 2023 appena entrati nel Devoto-Oli troviamo, ad esempio, termini quali underdog, fatshaming, quiet quitting, smishing. Chissà, se fosse ancora in vita, quali bizzarre e fantasiose alternative proporrebbe D’Annunzio.
Ma il Vate ha a che fare anche con la tradizione enologica. Infatti nel 160° anniversario dalla sua nascita l’intento della Fondazione Il Vittoriale degli italiani di Gardone Riviera, presieduta da Giordano Bruno Guerri insieme a Domìni Veneti, premium brand di Cantina Valpolicella Negrar, daranno vita a Fratefoco, un Valpolicella Ripasso Doc Classico Superiore dal profumo intenso e dal sapore corposo.
“Siamo orgogliosi – afferma Renzo Bighignoli, presidente di Cantina Valpolicella Negrar – che Giordano Bruno Guerri abbia riconosciuto in Domìni Veneti il produttore d’eccellenza e l’interlocutore ideale per l’ideazione di Fratefoco che, oltre ad essere un vino d’alta gamma, è esso stesso espressione di una grande cultura enologica”.

Il vino ispirato e dedicato a d’Annunzio
Ottenuto attraverso la rifermentazione del Valpolicella fresco con le vinacce del Recioto, per cui naturalmente sensuale e al contempo puro, autentico, come deve essere un Ripasso, Fratefoco vuole narrare la contemplazione mistica di un uomo confinato tra le mura della propria dimora, la Prioria al Vittoriale, che arde delle passioni più terrene. Un “gioco da grandi”, venato di sensuale ironia, che vuole inoltre omaggiare il gusto per gli pseudonimi e i “travestimenti letterari” del Vate.
Fratefoco, infatti è uno dei noms de plume che d’Annunzio usava per firmare lettere destinate ad amici e amanti, come risulta dai preziosi documenti consultati da Michele Battistoni, direttivo creativo del progetto e marketing manager della cantina, e gli archivi del Vittoriale. Fratefoco è prodotto in edizione limitata, ed è disponibile al pubblico presso i wine shop Domìni Veneti di Sirmione, Cavaion Veronese (VR), Negrar di Valpolicella (VR) e una selezione di ristoranti, enoteche e botteghe storiche della costa bresciana del Garda.

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