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Sperimentiamo subito il modello dell’Intelligenza Artificiale su pandemia, clima e meteorologia per verificarne l’efficacia

di Giusto Buroni – Anche stasera in 5 minuti di telegiornale (RAI) si sono sentiti molti impegni ad approfittare le straordinarie qualità dell’Intelligenza Artificiale per risolvere comuni ma rilevanti problemi quotidiani di Amministrazione, Economia, Ecologia, Sanità, Criminalità. Gli annunciatori di tali miracoli si saranno fatti l’idea che questa Intelligenza Artificiale (per gli esperti “AI”) sia finalmente la panacea per tutte le difficoltà (guerra esclusa, come sempre) incontrate fino a oggi dai Governi, specialmente nazionali, i cui componenti hanno dovuto dar fondo, purtroppo senza successo, a tutta la loro “Intelligenza Naturale”. Sono costretto a frenare il loro entusiasmo, non tanto negando che quanto oggi ci viene spacciato per Intelligenza Artificiale abbia non poche proprietà terapeutiche, quanto avvertendo che l’attuale AI è ben lontana dal riprodurre l’Intelligenza Umana, buona o cattiva che sia, perché basata su altri “principi fisici”. È inutile quindi anche lo sforzo di filosofi e sociologi (e politologi, e artisti in generale) che fantasticano sui suoi possibili “Principi Etici e Morali”: per questi dovranno pazientare i soliti altri 30-50 anni, come per la “Fusione Nucleare”.

Un’Intelligenza Doc
Infatti l’Intelligenza Artificiale oggi “avanza”, non tanto nel senso che “progredisce”, quanto e solamente perché appone la propria etichetta, autorevole e infondatamente temibile, su tutte quelle attività che da tempo non sono più gestite “manualmente” dall’Uomo, ma sono controllate, in piccola o grande parte, da congegni elettronici (automatici), cui da circa mezzo secolo si era dato il nome di “computer” e in seguito anche di “robot”. A quanto pare la caratteristica che autorizza a chiamare Intelligenza Artificiale qualunque vecchio computer o robot, col rispettivo software, è la “capacità di apprendere”, sia da un tutore (istruttore) “umano” (ma anche cibernetico, se autorizzato), che “autonomamente”; anche se non ho mai sentito parlare d’un robot che si auto-accenda alla mattina e decida per conto proprio di “imparare” una certa materia, magari incuriosito da ciò che gli ha raccontato un collega-robot in vena di socializzare. E si auto-spenga la sera.

Nuovi profeti
Insomma, l’Intelligenza Artificiale tenta il suo terzo lancio, anche se è ben lungi dall’essere un prodotto commerciale nuovo, completo e provato; un po’ come i vaccini usati durante la pandemia, imposti dai virologi secondo piani solo commerciali. La diffusione mondiale di prodotti del genere suscita giustamente la diffidenza dei possibili fruitori coatti, ma libera anche la fantasia dei “visionari”, specialisti in predizioni e in interpretazioni profetiche. Con un’immagine presumibilmente poetica (l’autore è uno studioso di Borges) alla fine dell’agosto scorso l’Unità, l’ex testo sacro dei “Trinariciuti di Guareschi”, proclamava solennemente che “l’intelligenza artificiale si estende tra le ossa della quotidianità”, (macabra) affermazione che sinceramente mi ha lasciato sconcertato, anche dopo aver letto il successivo “chiarimento”, ossia: “La natura effimera e disordinata della nostra esistenza, tra virus, cambiamenti climatici e guerre è oggi più palese che mai, malgrado gli sforzi collettivi di dissimulazione”; e quindi “come non mettere indiscriminatamente le proprie vite nelle mani di intelligenze superiori, ordinate e precise?”, l’lntelligenza Artificiale, appunto. L’intellettualoide rinunciatario e suicida che liquida così l’Intelligenza Artificiale prima ancora di averla veduta in azione (ammesso che si decida a capire di che cosa si tratti) sarà presto smentito dal fatto che l’attuale Intelligenza Artificiale non è per niente “superiore, ordinata e precisa” e non è proprio il caso che l’Umanità si metta nelle sue “mani” (?); al contrario conviene prepararsi alla più prosaica attività di sfruttarne i vantaggi per cui è stata fin dall’inizio concepita: per esempio, oltre a migliorare ovunque la precisione, alleviare fatiche e ridurre pericoli per il Genere Umano, che però ne mantiene il pieno controllo.

Occorre capacità di sintesi
Forse a pochi “addetti ai lavori” è chiaro che per raggiungere l’ambizioso obiettivo che la Comunità Scientifica s’è posto (l’emulazione di un’intelligenza umana), il prodotto attuale dovrà essere completamente riprogettato, liberandosi dei vincoli e dei limiti dell’elettronica digitale quale è stata sviluppata fino a oggi. Infatti la struttura del cervello e del sistema nervoso che esso comanda non potrà mai essere riprodotta da una tecnologia basata sulle semplici “reti logiche” di cui sono fatti i computer ((N)AND, (N)OR, registri flip-flop, azionati da uno o più precisi orologi fra loro sincronizzati): per rappresentare la fisiologia umana l’AI dovrà essere un misto di reazioni elettriche e chimiche (e chissà che altro ancora) azionate da varie unità di controllo facenti capo a un “controllore centrale”: infatti da mezzo secolo stiamo commettendo l’errore di cercare di riconoscere nel sistema nervoso e cognitivo umano (o animale e anche vegetale) analogie con il funzionamento dell’elettronica moderna, pur avendo prove sperimentali evidenti di differenze fondamentali. Tale attività di ricerca ha dato utilissimi frutti in ambiti circoscritti (come tutta la robotica e lo sviluppo di protesi controllate da impulsi elettrici generati dal sistema nervoso biologico), ma in molti casi ha fatto perdere di vista l’obiettivo di riprodurre l’Intelligenza della Specie Umana (che forse non deve essere disgiunta, a scapito dei tempi di sviluppo, dalla Sensibilità, qualunque cosa essa sia).

Mancanza di stile
Il fatto che l’AI sia ora anche “generativa” (in pratica può creare solo musica e voci o letteratura, imitando, a richiesta, lo stile di questo o quell’autore; e forse non possiede nemmeno uno stile “proprio”) non è che la conferma che l’AI odierna non è altro che un sofisticato e nemmeno troppo elegante “mock-up” (“simulacro”, quindi non “clone”) della neurologia umana, che le attuali generazioni di scienziati dovranno sforzarsi di utilizzare al meglio e senza timori reverenziali (o complessi di colpa) come un tempo non lontano (e spesso ancor oggi) si sfruttavano gli schiavi, i quali presentano l’inconveniente di essere veri e completi “esseri umani”, finalmente in teoria non “sfruttabili”. La riflessione sul “mock-up” è rivolta in particolare anche a quei medici che, incuriositi, si informano e si aggiornano su testi di “neuroscienze cognitive”, per essere pronti a capire e a usare l’Intelligenza Artificiale: se si fossero aggiornati anche sull’elettronica (e la logica) dei computer e dei robot si sarebbero resi conto della profonda differenza e della limitata compatibilità fra le due “discipline”.

Un immenso serbatoio di dati
Comunque è innegabile che l’Intelligenza Artificiale (ex-computer) abbia doti di “apprendimento”: preleva dati (copiandoli) da una grande “banca” e li trattiene in una memoria propria; ma credo non abbia ancora la dote della “curiosità”, per cui paradossalmente il (super)computer, che ha una disponibilità di dati praticamente infinita e incrementabile, ne usa una quantità trascurabile e sempre su “commissione” diretta o indiretta d’un operatore, mentre la sana mente umana, che può avere una sete di sapere illimitata, è frenata dalle dimensioni fisiche del sistema nervoso, ma soprattutto dalla “capienza” della memoria che nel tempo è rimasta quasi sempre la stessa (del Neanderthal) mentre la quantità di dati (e stimoli) disponibili aumentava enormemente. È proprio la diversa efficienza nell’utilizzo dei rispettivi dati che differenzia l’Intelligenza Artificiale da quella “naturale” e che rende la prima nettamente superiore alla seconda, almeno nell’uso quotidiano”. Le posizioni si invertono quando si rende necessaria la dote dell’”inventiva” (curiosità+scoperta).

L’uomo è ancora insostituibile
L’apprendimento non può essere spontaneo, altrimenti a ogni accensione il dispositivo di AI dovrebbe andare a “ripassare” l’infinita quantità di dati di cui può disporre: è necessario che un operatore umano gli assegni dei compiti e eventualmente gli indichi le categorie ritenute utili per l’esecuzione di quei compiti: anche per l’archiviazione dei dati potrebbe essere indispensabile, almeno per i primi decenni, disporre di materiale umano e di un forte scambio di informazioni fra i vari specialisti, minimizzando possibilmente gli inconvenienti derivanti dai “copyright”. Sono tutte esigenze che corrispondono alla formazione, in tutti gli Stati del Mondo, di nuove categorie di specialisti, che per i primi due o tre decenni andranno ad occupare posti di lavoro multidisciplinari di grande responsabilità, soprattutto per assicurare la correttezza e la completezza delle informazioni scambiate su scala mondiale. Sarà il caso, dunque, che i Sindacalisti e i sociologi la smettano di preoccuparsi per la tremenda possibile perdita di posti di lavoro: sarà piuttosto il contrario, e per posti finalmente a molto minore rischio di incidenti.

Stragi senza colpevoli
Teoricamente tali attività di elaborazione, soprattutto statistica, di enormi quantità di dati sono già state avviate per alcune discipline, come ci è stato assicurato durante la Pandemia (ricerca e sperimentazione medica e farmacologica, prevenzione, cura e trattamenti postpandemia), ma proprio l’esperienza della pandemia ha rivelato inammissibili deficienze (organizzative, manageriali e strutturali, oltre che intellettuali) che hanno portato a vere e proprie “stragi” i cui colpevoli sono rimasti impuniti perché i Potentati hanno proibito di denunciarli e processarli, col pretesto che ogni professionista coinvolto aveva fatto più che diligentemente la propria parte e quindi le stragi sono state provocate da pazienti indisciplinati e criminalmente refrattari a ogni trattamento esclusivamente concepito per il loro benessere. Sarebbe dunque utile che, come si fa per tutte le attività scientifiche, le prime esperienze di Intelligenza Artificiale venissero organizzate proprio su una “simulazione”, di una pandemia nel caso specifico, che comportasse l’attivazione di tutte le strutture interessate, proprio per evidenziare possibili negligenze pregresse ma soprattutto per verificare se l’Intelligenza Artificiale, sapientemente gestita, sarà in grado di porre rimedio ai difetti riscontrati nel triennio 2019-2022. E mentre questa potrebbe essere un’utilissima “esercitazione” capace di prevenire e sconfiggere una prossima pandemia, proporrei contemporaneamente l’impiego immediato dell’AI nello studio dei problemi climatici, che dagli anni 1990 sono stati affrontati praticamente “a mani nude” (=dilettantisticamente) con inefficaci rimedi rivelatisi tutt’altro che ecologici perché fortemente inquinati (come tutti i processi “globali”) da interessi economici, e condizionati da situazioni conflittuali geopolitiche: una gestione da parte di Intelligenza Artificiale “neutrale” potrebbe comportare, in vetta alla piramide delle discipline scientifiche coinvolte, un potente “filtro” che tenda ad eliminare ogni ingerenza che non sia esclusivamente interessata al miglioramento del clima (o, meglio, delle condizioni dell’essere umano).

Semplicità e ordine
Infine, su una scala minore ma con un elevato livello d’urgenza, si dovrebbe tentare di mettere ordine nella Meteorologia in ogni singolo Stato ma in condizioni di massima trasparenza Internazionale. Ciò permetterebbe di mantenere una sola “Agenzia Meteorologica” gestita dall’Aeronautica Militare che tratterebbe i dati forniti dall’Aeronautica civile in infrastrutture fornite dallo Stato (o dal CNR). L’accentramento del Servizio permetterebbe di trattare in un modo più razionale, cronologicamente e geograficamente omogeneo ed economico, una mole di dati nettamente superiore a quella che oggi è trattata in una miriade di stazioni spesso situate a pochissimi chilometri l’una dall’altra. Uno o due modelli matematici, approvati e certificati dall’Autorità Scientifica fornirebbero responsi certamente più precisi e attendibili di quelli ottenuti negli ultimi due secoli senza alcun controllo centrale. Chiunque può verificare che attualmente ogni singolo giornale, anche televisivo, ha il proprio “meteorologo di fiducia”, che l’utente sceglie in base alla simpatia che ispira (in libri e talk show) e non per la quantità di previsioni azzeccate. Insomma: con l’AI in meteorologia potremmo finalmente guardare fuori dalla finestra di casa e constatare che piove proprio dove e quando il bollettino meteorologico aveva previsto che sarebbe piovuto. A mio parere, una conquista da Premio Nobel praticamente a costo zero e di incommensurabile utilità anche per gli studi dei climatologi. Questi infatti, essendo impegnati su scala globale (e non “locale” come i meteorologi) non disponendo di dati congruenti devono ricorrere a strumenti di misura astrusi (come la “concentrazione dell’anidride carbonica nell’atmosfera”) per mettere in relazione fra loro le temperature misurate o previste in località distanti nello spazio e nel tempo, generando nel pubblico una confusione e un’apprensione inammissibili. Quindi ben venga questa nuova ondata di pseudo Intelligenza Artificiale se ci fornirà dati scientifici utili e rassicuranti e non solo filmetti di fantascienza inquietanti.

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