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Ancora un giudice che dichiara incostituzionali i Dpcm

Reggio Emilia (Mattia Caiulo di Dire) – A partire da quello dell’8 marzo 2020, tutti i Dpcm del Governo per contenere la pandemia e le limitazioni agli spostamenti in essi contenuti sono “illegittimi per violazione della legge Costituzionale”. Lo afferma Dario De Luca, Gup del tribunale di Reggio Emilia, nelle motivazioni di una sentenza depositate il 27 gennaio e visionate dalla ‘Dire’.
Il caso esaminato risale invece al 13 marzo dell’anno scorso quando, nel pieno della prima ondata del Covid, una coppia della provincia di Reggio sorpresa fuori casa dai Carabinieri fornisce ai militari un’autocertificazione non veritiera. La donna aveva riferito di essersi dovuta recare in ospedale a Correggio per delle analisi e che l’uomo l’aveva accompagnata. Una verifica dell’Arma aveva però appurato che non c’era stato alcun accesso alla struttura sanitaria e per i due era scattata la denuncia. Il giudice De Luca li ha assolti entrambi dichiarando “il non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato”.
Nella motivazione, scritta in punta di diritto, si sottolinea in premessa che il Dpcm “stabilendo un divieto generale e assoluto di spostamento al di fuori della propria abitazione, con limitate e specifiche eccezioni, configura un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare“. Tuttavia, prosegue la sentenza, “nel nostro ordinamento giuridico, l’obbligo di permanenza domiciliare consiste in una sanzione penale restrittiva della libertà personale che viene irrogata dal giudice penale per alcuni reati all’esito del giudizio (o in via cautelare, in una misura di custodia cautelare disposta dal giudice, nella ricorrenza di rigidi presupposti di legge) e in ogni caso nel rispetto del diritto di difesa”.
Inoltre, “sicuramente nella giurisprudenza è indiscusso che l’obbligo di permanenza domiciliare costituisca una misura restrittiva della libertà personale“. Ed è a questo punto che il giudice reggiano chiama in causa l’articolo 13 della Costituzione, secondo cui le misure restrittive della libertà personale possono essere adottate solo su “atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”.
Da questo principio il Gup desume due corollari. Il primo “è che un Dpcm non può disporre alcuna limitazione della libertà personale, trattandosi di fonte meramente regolamentare di rango secondario e non già di un atto normativo avente forza di legge”. Il secondo corollario è invece quello secondo il quale “neppure una legge (o un atto normativo avente forza di legge, qual è il decreto-legge) potrebbe prevedere in via generale e astratta, nel nostro ordinamento, l’obbligo della permanenza domiciliare disposto nei confronti di una pluralità indeterminata di cittadini, posto che l’articolo 13 della Costituzione postula una doppia riserva, di legge e di giurisdizione, implicando necessariamente un provvedimento individuale, diretto dunque nei confronti di uno specifico soggetto”. In terzo luogo, “poiché trattasi di un Dpcm, cioè di un atto amministrativo, il giudice ordinario non deve rimettere la questione dì legittimità costituzionale alla Corte costituzionale, ma deve procedere, direttamente, alla disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo”.
Infine, motiva ancora la sentenza, “non può neppure condividersi l’estremo tentativo dei sostenitori, ad ogni costo, della conformità a Costituzione dell’obbligo di permanenza domiciliare sulla base della considerazione che il Dpcm sarebbe conforme a Costituzione, in quanto prevederebbe delle legittime limitazioni della libertà di circolazione secondo l’articolo 16 della Costituzione e non della libertà personale”. Infatti, “come ha chiarito la Corte Costituzionale la libertà di circolazione riguarda i limiti di accesso a determinati luoghi il cui accesso può essere precluso, perché ad esempio pericolosi, ma giammai può comportare un obbligo di permanenza domiciliare“. Quando invece “il divieto di spostamento non riguarda i luoghi, ma le persone, allora la limitazione si configura come vera e propria limitazione della libertà personale”.
In conclusione, sentenzia De Luca, “deve affermarsi la illegittimità del Dpcm indicato per violazione dell’articolo 13 della Costituzione con conseguente dovere del Giudice ordinario di disapplicare tale Dpcm”. I due imputati sono quindi stati assolti con formula piena perché “costretti a sottoscrivere un’autocertificazione incompatibile con lo stato di diritto del nostro Paese e dunque illegittima”.

 

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