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I morti al Lercaro e il Giallo del “Turbocovid al Detergente”

Ovada (a.g.) – Da qualche parte si legge che all’Ipab Lercaro di Ovada le persone morte per aver bevuto del detergente non sono due, ma una. Il veleno è un solvente liquido per forni, piastre, grill, friggitrici, filtri e cappe, usato per rimuovere lo sporco incrostato e i residui carboniosi più ostinati della cucina. Si utilizza puro con flacone spruzzatore o diluito per filtri e friggitrice. Un’infermiera, per portarselo a casa, l’aveva diluito e travasato in una bottiglia di plastica vuota, di quelle per l’acqua, che però si è dimenticata in cucina. Qualcuno l’ha presa per servire a tavola gli ospiti e il veleno è passato dalla bottiglia ai bicchieri della mensa, e dai bicchieri della mensa giù nella pancia di tre malcapitati della casa di riposo ovadese: due sono morti all’ospedale, il terzo se l’è cavata. Il fatto risale al marzo 2020 ma è finito in cronaca nera in questi giorni, anche in virtù di un’interrogazione del consigliere comunale di minoranza Piersandro Cassulo essendo il Lercaro un Ipab, quindi un ente pubblico (Istituto pubblico di assistenza e beneficenza). Ma se in un primo momento si parlava di due morti avvelenati, Mohammed Jbilou, marocchino di 66 anni, e Maria Rosa Minasi di Reggio Calabria, 84 anni, il giorno dopo si leggeva che il primo era morto per Covid19. A questo punto la domanda del cronista attento sorge spontanea: lo sapevano o non lo sapevano al Lercaro che Mohammed Jbilou aveva contratto il Covid? Come mai girava per i saloni della casa di riposo al punto che all’ora di pranzo era addirittura seduto a tavola insieme ad altri ospiti? Abbiamo chiesto e ci è stato detto che il suo Covid19 avrebbe agito in pochissimi giorni per cui non c’è stato verso di intervenire. “Ammazza che Covid” direbbe Alberto Sordi incredulo. Eh sì perché in questo caso saremmo di fronte a un Guinness dei Primati, da rivista scientifica che titolerebbe: Turbo Covid Killer uccide in pochi giorni all’Ipab Lercaro di Ovada. Nell’informazione di garanzia (vedere a pie’ d’articolo) fatta pervenire dalla pm Eleonora Guerra alla Oss (operatore socio sanitario) dipendente della cooperativa Pro.ges. che opera in appalto nella struttura, Monica Piquer Gimeno di 47 anni, residente a Tagliolo Monferrato, si legge che l’infermiera avrebbe travasato il detergente nella bottiglia di plastica dimenticata in cucina, venendo meno, secondo il giudice, agli obblighi di prudenza richiesti in questi casi. Nel documento della Procura si fa riferimento alla deceduta Maria Rosa Minasi, mentre per gli altri due ricoverati Jbilou e Carlo Cassandro, torinese, 64 anni, non c’è a suo carico nessun procedimento penale per assenza di querela. Ecco perché, per il secondo deceduto, si parla di Covid, altrimenti dovrebbero risponderne direttamente l’Ipab e il Comune di Ovada. È il solito caso in cui, non sapendo che pesci prendere, si tira in ballo il solito virus. A questo punto c’è di mezzo anche l’ospedale di Ovada al quale abbiamo telefonato venerdì ma dopo estenuanti attese e una risposta di un medico che sembrava ubriaco, non abbiamo cavato un ragno dal buco. È infatti il nosocomio ovadese che deve dimostrare la fulminea morte per un Covid19 di cui, prima del ricovero a causa dell’avvelenamento, non si era accorto nessuno. Un quotidiano che si è occupato del caso ha scritto in proposito che “a morire per un’emorragia causata dall’assunzione del detersivo fu soltanto la donna, mentre l’altro ospite della struttura morì a causa del Covid”. Da quali accertamenti si deduce ciò? Chi ha certificato la morte con Covid? Ma, soprattutto, se all’ospedale di Ovada erano convinti che Mohammed aveva il Covid19, perchè non l’hanno trasferito d’urgenza in isolamento? Troppe domande attendono risposta ed ecco che si spiega la reticenza dimostrata venerdì dalla centralinista del nosocomio ovadese. Siamo alle prese con una brutta faccenda della quale il Comune di Ovada, ovvero il sindaco Lantero, insieme alla cooperativa Pro.Ges che gestisce il Lercaro, dovranno rispondere, se non altro per spiegare il perché un ospite affetto da Covid19 non era stato isolato per tempo nel rispetto delle norme vigenti. Le indagini sono tuttora in corso, portate avanti dai carabinieri di Ovada che sono riusciti a ricostruire l’accaduto, mentre la bottiglia “incriminata” è stata sequestrata e inviata al centro antiveleni di Pavia, dove le analisi hanno rilevato, seppure diluita, la presenza della sostanza chimica riconducibile al detersivo in oggetto. La famiglia della donna, morta il 26 marzo 2020, chiede un risarcimento.
Dal 2016 l’Ipab Lercaro è affidato a un commissario straordinario nominato dalla Regione che, dal maggio 2020, è l’avvocato Ivana Nervi. Al momento non sono state contestate responsabilità penali, ma la casa di riposo, attraverso il suo legale, l’avvocato Paolo Scovazzi di Genova, intende costituirsi parte civile.
Intanto il gruppo consiliare “Insieme per Ovada” che appoggia il sindaco Paolo Lantero (centrosinistra) ha diramato una nota in cui si legge: “Siamo vicini a chi lavora al Lercaro e, da un anno, combatte la pandemia per curare gli anziani. Sulla vicenda, è necessario che la magistratura faccia il suo corso. Fuori da ogni strumentalizzazione, il nostro gruppo attende fiducioso il lavoro degli inquirenti, perché è sul rispetto delle responsabilità e dei ruoli che si fonda la nostra azione politica dentro e fuori le istituzioni. Rispetto che si deve anche a una commissione che non è stata minimamente informata delle esternazioni a cui abbiamo assistito in questi giorni a mezzo stampa”. Insomma, la parola, prima che ai politici, ora passa ai giudici. Della vicenda si dibatterà in un consiglio comunale straordinario, che si terrà a maggio, convocato soprattutto per rispondere all’interrogazione di Cassulo.

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