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Cerutti: la trattativa-farsa sulla pelle dei lavoratori

di Andrea Guenna – Sulla vicenda della Cerutti di Casale, un tempo leader nel settore delle macchine per la stampa e oggi fallita con circa 250 dipendenti in cassa integrazione in scadenza, le ombre sono davvero tante. Riguardano la gestione dei curatori, quelle del tribunale e dei sindacati. Dopo che, nell’ottobre scorso, il Tribunale aveva autorizzato la costituzione della newco Gruppo Cerutti Srl in seguito alle istanze depositate da Officine Meccaniche G. Cerutti Spa di Casale e Cerutti Packaging Equipment Spa di Vercelli, l’attività produttiva era in qualche modo ripresa, mentre la storica società Officine Meccaniche Giovanni Cerutti era stata dichiarata fallita. Giudice delegato Elisa Trotta, curatori Salvatore Sanzo e Ignazio Arcuri, entrambi con studio a Milano. Il 28 gennaio 2021 c’era stata l’udienza per l’esame dello stato passivo. Poi la gestione dei curatori e la loro rinuncia di marzo. A questo punto la cassa integrazione era prorogata ma restava da sbrogliare la matassa della vendita. Il tribunale dava tempo fino alle ore 12 di lunedì 3 maggio 2021 per presentare eventuali offerte da parte di chi fosse interessato all’acquisto della Cerutti, ma nessuno si faceva avanti e di offerte non se ne sono viste. Si ingannavano i lavoratori (circa 250) facendo loro credere, tramite i soliti pennivendoli, che c’erano due cordate interessate ma non era vero perché sia la cordata di imprenditori “Rinascita” che la multinazionale svizzera Bobst, che in Italia ha sede a San Giorgio Monferrato, manifestavano interesse al di fuori della procedura fallimentare che era a tutti gli effetti chiusa. Altro che proroga come ha avuto il coraggio di scrivere qualcuno. Il tribunale ormai era uscito e tutto avveniva a livello privato, quindi senza garanzie, tra gli eventuali acquirenti dei rottami della Cerutti e i sindacati. Ed è qui l’ennesima anomalia tutta italiana. Infatti i sindacati possono fare più o meno quello che vogliono ma non possono vendere le aziende. Anche perché alla fine dei conti chi compra fuori dalle regole dettate dalla legge fallimentare, fa quello che gli pare e piace e assume sì e no il 20% dei lavoratori in cassa. Questo sta succedendo in questi giorni, e questa roba qua è spacciata come una vittoria sindacale. Per chi scrive invece si chiama macelleria sociale.
No comment.

(Foto tratta da Prima Vercelli)

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